Esattamente come il suo predecessore, Dark Souls II non è un gioco difficile: è un gioco maledettamente impegnativo. Il titolo fantasy e l'action-RPG perfetto, perché ogni metro guadagnato al nemico in questo mondo ostile conta, ed esplorare un ambiente nuovo non è attività che si compia a cuor leggero, ma generatore d'ansia sparato al massimo, da culo strettissimo sulla punta del divano per chi impugna il pad. Perché ogni singola arma o pezzo d'armatura non è solo una roba per far peso nell'inventario. Perché ogni errore è una morte, e ogni morte ti insegna qualcosa. E allora il tuo personaggio, crepando a nastro più delle gestioni di un ristorante inutile in periferia, si rafforza. E con lui, ti rafforzi te che lo guidi: gli ostacoli insormontabili di prima diventano scartini da tirar giù con un paio di fendenti, dritto spedito verso il nuovo ostacolo insormontabile. Ogni azione, ogni errore, ogni morte, ogni maldestro suicidio colposo, ogni imprecazione che chiami in causa anche i beati e le persone semplicemente stimate dalla Chiesa perché i santi son finiti, ti migliora e indurisce, è un nuovo traguardo strappato al nemico. E il nemico, si badi, non sono i mostri del mondo di gioco, ma quei bastardi degli sviluppatori - cit docmanhattan