per me è un immenso specchio del paese quella canzone. è tutt'altro che scontata e rappresenta completamente la maggioranza del nostro popolo. un popolo di spergiuri, bugiardi, accattoni, bulli, guappi, coglioni e soprattutto xenofobi. Ma è un senso ahimè che trovo io attraverso un processo creativo, nell'intento degli autori non v'è nulla di tutto ciò.
credo ci sia soprattutto xenofobia in quella canzone: è di una xenofobia sotterranea quella canzone, un orgoglio nazionalistico che non è solare e tutto sommato pimpante, sulle note di "Giovinezza", si parla di cultura e religione, ma in termini talmente aspecifici che la cultura può essere tutto: dal tortellone di Levizzano al supplì di Monte Mario, al ripristino del dialetto varesotto...la religione e questo riferimento a Dio, sottointeso come quello apostolico, cattolico romano.
Come sempre la semplicità non è il semplicismo: analizzandola per il suo valore sociale e politico, questa canzone che nell'intento dovrebbe risultare una canzone impegnata, in realtà è l'emblema del nulla. Lo stridente primo verso di echi socialdemocratici viene smascherato con quel "più serenamente si specchia nella nostra storia". Con questa omissis, perchè quando una canzone è politica deve dichiarare, ed è il parere di un minuscolo artista, perchè io mi definisco un minuscolo artista per quanto misconosciuto da tutti: il suo percorso. Con questo vergognoso omissis, dove dio, patria, lavoro, miserie, italiani brava gente, italiani che si sbattono e sudano, con quest'orgia di sentimentalismo generalizzato "piezz'e core" sbattuto li, con il suo voluto semplicismo per intestini bassissimi, questa canzone insulta il pubblico.
Col principe emanuele filiberto redivivo showman assolto alla televisione, babilonia-sacerdotessa, da un vipreality danzereccio, che se la canta. Uno che appartiene alla stessa famiglia nel nome della quale sono morti decine di italiani, quando l'Italia non esisteva ancora, quell'italia di Mazzini e di Nino Bixio, pronipote di quel Re a cui Garibaldi portò in dote lo scalpo del suo sogno repubblicano...ecco vedete che il capolavoro della definitiva devastazione della verità, attraverso questo omissis voluto e indegno per il pubblico, che da un artista deve pretendere le goccie dello spirito, le lacrime della realtà quando è dolorosa o i sorrisi dell'amore quando l'amore è provato...ecco che, dicevo, assistiamo allo scempio definitivo.
Alla morte del rapporto empatico con il pubblico, che non è nemmeno più coccolato dall'illusione di non essere quello che è da sempre: un flusso di soldi che devono confluire da qualche parte. Egli è dichiarato stupido, imbecille, incolto e per onta finale, un Savoia gli fa una carezza. L0unico valore che posso trovare in una canzone è nella possiblità che qualcuno possa condividere questa mia critica demolitrice e accenda una fiammella sottilissima di dibattito. Ma questa provocazione non è voluta, io credo nell'intento degli autori: loro cercano la vetrina di un Giletti e un ospitata da qualche migliaio di euro.
Il tenore che sostiene col suo tecnicismo, la professionalità meccanizzata di Pupo, non fanno altro che farcire il nulla di un penoso maniglione di salvataggio.
Più in generale è lo specchio di una manifestazione maciullata. Un festival di Sanremo dove canta Belen, dove piovono giovani talenti dai talent show nati per la televisione, dove la musica conta meno dell'impatto visivo, che viene insegnato ai giovani cadetti come si insegna un accordo. Ma è davvero possibile che sia stato così necessario issare la bandiera bianca affinchè a Sanremo non vada più nessuno che ama la musica e non l'applauso? Ma è davvero giusto che ci si arrenda a qualsiasi cosa in questa nazione? che si picchino degli stranieri perchè è troppo complicato fare distinguo tra un negro che ruba e uno che è qua a lavorare? ma perchè il semplicismo è idolatrato in questa nazione, mentre la semplicità di vedere il bene e il male, o meglio il cultralmente conveniente a lungo terminecontroe il "velocismo" conveniente per il portafogli, è così terribilmente difficile da perseguire?
Sarebbe invece la prima regola fondamentale che ogni artista dovrebbe possedere: quella di mettere sul palco la propria intimità, il ricreare l'atmosfera da cameretta mentre con la chitarra o il pianoforte o il foglio e la penna dai una misura al tuo stato d'animo. Invece no: omissis, popolo considerato e poi reso idiota e accarezzato come una formica titilla un afide per una gocciolina di melata...
In questa canzone c'è tutto questo: c'è la rovina definitiva del concetto che la musica non serve ad essere solamente venduta. Che la musica non è una vetrina di passere, non è un rampone con cui spaccare il ghiacciaio di un contenitore domenicale pseudomoralista condotto da pseudogiornalisti senza alcuna professionalità; la musica andrebbe consumata in un roveto ardente, non mangiucchiata al mc donald e cagata dopo due ore poco prima di tornare in disco o in TV.
La musica è Dio, che ci crediate o no, e se non è Dio è la fede in qualcosa di metafisico, in qualcosa di eterno come una tua emozione che assomiglia ad un altra emozione di un altro uomo/donna che ti ascolta: sotto un palco o in macchina mentre guida nella notte. La condivisione che cancella questa terribile solitudine. E' li in quella presenza che si manifesta nella distanza di quei 4 cm tra la tua voce, che gli fa da amplificatore, e la creazione. Se non si ha più voglia ne fede di prendersi seriamente per il culo incarnandosi in una specie di profeta, per tutti, allora tutto appare svuotato di ogni significato più profondo.
Quando ascolto Beethoven credo che Beethoven facesse musica per sentirsi meno solo e per cercare di sconfiggere la morte. Tutta la morte non solo la sua. Non c'era supponenza ne sboraggine, c'era la grandissima umiltà di mettersi al servizio di quella chiamata.
Ecco perchè Pupo è Pupo e Beethoven è Beethoven. E c'è meno distanza tra Pepito e Beethoven che tra Pupo e Ludovico van.