In una societa' tribale ( e quindi molto vicina a uno stato di natura) il tatuaggio ha un valore sociale e gerarchico estremamente rilevante. A livello antropologico serve a creare un'idea di collettivita' che e' funzionale alla sopravvivenza della tribu' stessa, a livello gestuale e' un accettare di essere parte di un tutto ( certo, questo e' riduttivo).
In una societa' come la nostra, piuttosto lontana dallo stato di natura ( e dai sui equilibri) in cui la globalizzazione e la nuova socialita' condizionano anche i modi di sentire, oltre ai modo di fare, ci allontaniamo molto da quelle che sono le radici della nostra appartenenza e le nostre tradizioni (usi e costumi compresi).
Se perdiamo di vista da dove veniamo non possiamo sapere dove stiamo andando (questo e' per me insindacabile) e io credo che la nostra attuale posizione sia questa; siamo dei bambini smarriti. Questo porta in automatico a cercare l'identita' in atteggiamenti o simboli, e uno dei pochi appigli che abbiamo sono l'atteggiarsi e il "credersi" cio' che in realta' non si e' affatto.
Un tatuaggio aquista adesso quindi una funzione di pietra volontariamente inamovibile, per creare una "nuova radice", ma in fin dei conti piuttosto goffa, o almeno goffa quanto un fiorentino cresciuto a pappa col pomodoro fra le colline toscane si fa il tatuaggio di un dragone giapponese solo perche' gli piacciono i manga.
Discorso analogo puo' essere fatto sui neofascisti di 20 anni cresciuti senza passato che cercano punti di riferimento senza un apparente coscienza di quello che fanno. Sono gli stessi figli dello stesso smarrimento