Opere HOT ZONE - LA ZONA ROSSA

Valchiria

SoHead Perfumier - Queen of the year
si è assolutamente un mito, come ho fatto in tutti questi anni a non sapere delle tue doti? :pippotto:
 

Mersault l'Apostata

Chosen one
Fantacalciaro
:rotflawesome:


a breve, comunque, per celebrare la stagione estiva, un torrido sogno-ricordo adolescenziale molto spinto e perverso, il quale, credo, precederà la storia dello studente e la sua prof di chimica, che puo' sempre aspettare settembre, quando riaprono le scuole. vi invito a mantenere le vagine umide e i peni barzotti, sarà una lunga estate di piacere!
:riot:
 

Mersault l'Apostata

Chosen one
Fantacalciaro
sto ultimando EDIPO (a) tRE (ricordo di un'estate)


nel frattempo, tanto per gradire e perché me ne sono ricordato ieri sera, vi porgo una canzoncina oscena che mi rivelo' una mia compagna di classe (Virginia, presto da tutti chiamata Svirginia) il primo giorno di scuola in seconda media, dopo averla appresa durante l'estate a Castiglion della Pescaia
ricordo tutto come se fosse ora


la melodia riprende quella di TEOREMA di cocciante (prendi una donna, dille che l'ami...)

PRENDI UNA DONNA
SBATTILA AL MURO
FAJE SENTIRE ER SILURO

DAJE DE RENI E
SFONNAJE ER CULO
FAJE SENTI' QUANT'E' DURO

APRIJE 'E COSCE
INFILACE ER PESCE
FAJE SENTI' COME CRESCE

DAJE DE RENI E
SFONNAJE ER CULO
FAJE SENTI' QUANT'E' DURO...

credo finisse qui, qualcuno la conosce?
buone masturbazioni/amplessi estive/i, a presto
:zhat:
 

Mersault l'Apostata

Chosen one
Fantacalciaro
7a stanza


[size=small]EDIPO (a) tRE[/size]
[size=small]ricordo di un'estate[/size]

[size=small]Quell'anno fu davvero memorabile: il Milan vinceva la sua quinta coppa dei campioni frantumando 4-0 il Barcellona di Romario, l'Italia entrava ufficialmente nella fase politica del berlusconismo, morivano (tra gli altri) Bukowski, Nixon, Senna e Kurt Cobain, in Ruanda cadevano come mosche una milionata di persone e io, proprio prima dell'estate, raggiungevo altrettanto ufficialmente la pubertà, ottenendo la mia prima eiaculazione con una caparbia goccetta bianca che vidi uscire, lentamente, dal mio orifizio uretrale. Avevo 11 anni, e orgoglioso di me stesso finivo il primo anno di scuole medie senza grosse difficoltà (eccetto educazione tecnica e geometria) prima di lanciarmi nelle vacanze estive, che avrei passato, come sempre, nella casa al mare tra gli amici che non vedevo mai durante l'inverno e la mia famiglia, riunita pi[/size][size=small]ù[/size][size=small] o meno al completo (secondo il mio affetto e simpatia): i nonni materni, la zia Elena (sorella di mia madre) e lo zio Glauco, i loro due figli miei cugini, mia sorella e ovviamente i miei genitori. La casa era grande e su tre piani, un ampio terrazzo pieno di sedie a sdraio ospitava i pranzi e le cene, le pennichelle e le partite a carte, spesso in compagnia di amici di famiglia.[/size]
[size=small]Ogni giorno mi svegliavo, verso le 9, per bere il latte col nesquik accompagnato da un cornetto al cioccolato, leggendo la Gazzetta dello Sport per poi mettermi il costume, prendere il telo e scendere a mare, dove con gli altri facevamo di tutto prima di rientrare per il pranzo, chiamati dalla campanella piazzata sul terrazzo. Mia nonna, che non veniva in spiaggia, a volte aiutata dalle altre donne di casa, preparava di continuo pranzi incredibili a base di caponate, parmigiane, linguine al sugo di pesce, pesci al forno o fritture micidiali; le grigliate venivano consumate pi[/size][size=small]ù[/size][size=small] spesso per cena, ed erano invece gli uomini ad occuparsene. Era bandito per[/size][size=small]ò[/size][size=small] il maiale, e io non capivo perché: mi dicevano semplicemente che d'estate non si mangia.[/size]
[size=small]Terronate, insomma, cui tuttavia guardo, ora, con l'indulgenza quasi commossa dell'uomo civilizzato, che torna col pensiero al piccolo mondo antico, tempo perduto scomparso per sempre, affondato come un'Atlantide nella mitologia tribale, metà ancestrale memoria semi-cosciente, metà fantasia. Esattamente come il ricordo che voglio raccontare, che forse non è mai successo ma che da tanto tempo credo di portare dentro di me, e che nemmeno un Freud o un Fargnoli potrebbero spiegarmi. Allora mi affido alla letteratura, consegnandole i recessi pi[/size][size=small]ù[/size][size=small] nascosti, abissali del mio animo, dandomi al/la lettore/lettrice tuttavia con la preghiera di non giudicare né me, né tantomeno la mia casa e la mia stirpe: dopotutto, io ero solo un ragazzino, e le macerie della mia famiglia ingombrano come un'Aquila fantasma la mia memoria, cos[/size][size=small]ì[/size][size=small] antica seppur ancora giovane.[/size]
[size=small]Ogni giorno di quell'estate, come tutte le estati precedenti ma come mai più sarebbe avvenuto, tornavamo verso l'una e mezza dalla spiaggia mentre già la tavola veniva apparecchiata. Noi ragazzi correvamo, ancora sporchi di sabbia e sale, sotto la doccia sul terrazzo, facendo a gara a chi arrivava primo per bagnarsi sotto il primo getto riscaldato dal sole sulla tubatura, giacché dopo l'acqua diventava fredda ed era tutto un tremare un po' teatrale. Solitamente, io non riuscivo a strappare che la seconda posizione, perché mio cugino Filippo, già quattordicenne, cannibalizzava tutte le volte la competizione (le femmine, mia sorella Irene e mia cugina Teodora, solo di rado godevano d'un'episodica, magnanima cavalleria, quasi sempre elargita da Filippo, cui io non potevo che sottomettermi). Ci chiudevamo poi negli accappatoi, e andavamo ad asciugarci al sole, mentre la nonna e le madri già ci chiamavano per sederci a tavola. Mangiavamo tutti insieme e gli adulti bevevano birra ghiacciata o vino bianco, mentre noi andavamo di sprite, coca cola o fanta, ciascuno coi suoi gusti che però mai si smarcavano da questa triade.[/size]
[size=small]Finivamo il pranzo non prima delle tre pomeridiane, rintontiti dal caldo e dalla digestione lenta, come conchiglie avevamo ancora il rumore del mare nelle orecchie, che si univa al ronzio delle vespe che venivano a cercare i resti di pesce. I grandi si sdraiavano fuori, a sonnecchiare a bocca aperta e a leggere i giornali, i romanzi o a far cruciverba, mentre noi ragazzini dovevamo andare nelle nostre stanze a dormire. Per forza, anche se non volevamo. Almeno fino alle quattro e mezza-cinque, la casa sprofondava in un silenzio irreale, inizialmente guastato da rumori di cucina e voci basse, poi abitato solo dalle cicale. Era una noia mortale per noi, che tra l'altro non potevamo neppure stare insieme (ognuna delle due coppie di fratelli abitava una stanzetta coi letti a castello ma io, solo con mia sorella di otto anni, non combinavo granché, specie perché il pi[/size][size=small]ù[/size][size=small] delle volte la sua presenza mi infastidiva).[/size]
[size=small]Quell'anno, per[/size][size=small]ò[/size][size=small], piuttosto che attardarmi ancora su Topolino o qualcuno dei libri per l'estate consigliati dalla prof di italiano (se non ricordo male, c'era di mezzo “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee e “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque) la mia nuova, segreta e intima occupazione era andare in bagno, chiudermi a chiave e farmi una sega, già da allora nominata “il seghino del dopopranzo” che subito pales[/size][size=small]ò[/size][size=small] non solo il suo piacere intrinseco, ma anche il gusto della ripetizione, del rituale, della dipendenza, con lo stesso valore , negli anni a venire, del caffé dopo pranzo, della canna dopo pranzo, del giornale dopo pranzo. Mi chiudevo in bagno, mi sedevo sulla tazza e ci restavo le mezz'ore, eccitandomi con la fantasia di compagne di classe, sorelle pi[/size][size=small]ù[/size][size=small] grandi dei miei amici e, qualche volta, addirittura con mia cugina Teodora, che mi era coetanea e con la quale correva, sotterranea e inespressa, una simpatia magnetica e lontanamente sconcia, un'attrazione che ci aveva già portati, piccolini, a mostrarci reciprocamente i genitali, a sollevare le gonne e a darsi baci in bocca. Addirittura, tra i 4 e i 5 anni fummo sposati, prima che l'inizio delle scuole elementari ci regalasse ad altri partner.[/size]
[size=small]Mi facevo delle grandi seghe, insomma, forse le migliori della mia vita, ancora arricchite dalla fatica di raggiungere l'orgasmo e dall'orgoglio di scoprirmi un uomo. Dopo, tornavo in camera e mi sdraiavo, e a volte ero cos[/size][size=small]ì[/size][size=small] sereno che mi addormentavo anch'io, come Irene che respirava piano e pesante sotto di me, dandomi il ritmo di una pacifica armonia fraterna.[/size]
[size=small]L'estate passava facile e rapida, inizialmente scandita dai mondiali americani, fino a quella maledetta sera del 17 luglio, quando vidi piangere come un bambino il capitano Franco Baresi, cos[/size][size=small]ì che[/size][size=small]piansi anch'io; riassorbii la batosta, per[/size][size=small]ò[/size][size=small], lentamente ogni pomeriggio, quando tornavo al mio giovanissimo pene funzionante, che mi regalava sensazioni inesprimibili e un senso di potenza che superava, sul momento, tutte le disillusioni e le difficoltà della vita.[/size][size=small]Un pomeriggio, avevo cos[/size][size=small]ì tanta voglia di masturbarmi che dimenticai di chiudermi a chiave, e mentre correvo ad occhi chiusi con la mano sul mio corpo, nei pressi dell'eiaculazione sul pensiero di fare sesso nel bagno della scuola con la prof di ginnastica, entrò come un fulmine in estate mia zia Elena: aprii gli occhi e sentii il mio viso prendere fuoco, vedendola che rimaneva immobile e che, mi accorsi, guardava il mio uccello in mano. Fu un istante in fermo-immagine, poi mi fissò negli occhi con un vago sorriso che non riuscii ad interpretare (che non avevo mai visto in nessun essere umano) e se ne andò, richiudendo delicatamente la porta.[/size]
[size=small]Mani nei capelli, lacrime agli occhi, volontà di finire sottoterra con una fucilata in bocca: quel pomeriggio non dormii, nero di nuvole pesanti nel mio essere, tanto che mi venne la febbre, come un temporale per permettermi di cancellare le tracce superficiali della mia vergogna dentro il fango di una pozzanghera profondissima. Stavo male, si, ed esteriormente il motivo era una mezza insolazione o una mancata asciugatura di capelli dopo la doccia serale. Dentro, tutt'altri guai e costipazioni: mi sentivo morire di vergogna, mi sarei voluto tagliare via il cazzo, sparire dal suolo terrestre per non essere più visto/visibile a nessuno.[/size]
[size=small]La mattina seguente, mio nonno, mio padre e mio zio avevano promesso di portare me e Filippo in barca, a pescare sulla pilotina di un loro amico di Ferrara; non cancellarono l'uscita, ma io fui lasciato a casa. Avevo 37° ma non mi opposi, immerso com'ero in quella sorta di apatica atarassia che gli altri non comprendevano, ma che mia zia avrebbe potuto indovinare.[/size]
[size=small]Era giovedì, giorno di mercato, e le donne avevano deciso di comprare alcuni chili di pomodori, per tagliarli a metà, stenderli su tavolate sotto il sole al fine di essiccarli e, in seguito, farcirli di aglio, peperoncino e basilico, perché dopo qualche mese, nell'inverno piovoso, si mangiassero i pomodori secchi ricordando il fresco dei grilli notturni e la canicola ferragostana. E mentre io consumavo una svogliata e scialba colazione, leggendo senza trasporto i proclami (ai miei occhi ridicoli) del nuovo allenatore della Juve, quel Marcello Lippi che veniva dalle buone stagioni al Napoli, le donne si organizzarono: ad accudire il malato ne poteva restare una sola, mentre le altre sarebbero andate a godere del mercato paesano, portandosi dietro anche le ragazzine. Per restare al mio capezzale si offrì la zia Elena, indicando un vago mal di testa e la volontà di restare all'ombra a leggere il suo romanzo italiano. Mia nonna, mia madre, mia sorella e mia cugina salirono vivacemente sulla Fiesta, e dalla finestra le vidi allontanarsi dentro una nuvola di polvere terrosa. Non appena mi resi conto che sarei rimasto solo in casa con la zia, un'erezione indecente scoppiò nelle mie mutande, senza che io potessi niente per fermarla. Mi buttai sul letto con la faccia sul cuscino, pieno di vergogna e di una libidine insaziabile. Cominciai a sfregare il mio pene sul materasso in un gesto istintivo, come farebbe un cane che vuol scopare la gamba di qualcuno, fin quando sentii i[/size][size=small]suoi[/size][size=small]passi che salivano le scale. Alzai la testa, mi ricomposi, arrossii prima ancora che entrasse.[/size][size=small]Lei[/size][size=small]aprì l'uscio lentamente, come per non fare rumore, ed io ebbi il tempo di fingermi dormiente. Nel buio dei miei occhi, la immaginai ferma sulla soglia a contemplarmi, giacché non sentivo alcun rumore se non la vaga sensazione del suo respiro calmo, ma mentre cercavo di tendere l'udito verso quel ritmo inafferrabile, sentii la mia fronte sfiorata dalle sue dita, tanto che ebbi un sussulto e un breve «Hhh!» di paura e sconcerto. Anche lei si spaventò, e ritrasse la mano istintivamente[/size]
[size=small]«Scusa, credevo stessi dormendo, non volevo disturbarti, solo vedere come stai... Hai bisogno di qualcosa?»[/size]
[size=small]«Mmmzia, stavo dormendo, si... Insomma, non mi sento tanto bene, ho un po' freddo...»[/size]
[size=small]«La febbre l'hai misurata stamattina? Fammi sentire...»[/size]
[size=small]e mi infilò la mano nel collo caldo, affondandola nella mia pelle e operando un massaggio avanti e indietro dall'orecchio (che sfiorava con il pollice) al petto, arrivando fino al cuore e al capezzolo, che toccò diverse volte allungando il mignolo; il mio giovane uccello si gonfiò ancora, e si indurì all'istante in modo spropositato, mai esperito. Lo sentii bollente e, per un attimo, ebbi un pensiero di guerra, di battaglia, di cani che si mordono addosso e di morte, di morte, di morte.[/size]
[size=small]«Sei caldissimo, si, sei caldo... Mi sa che un po' di febbriciattola ce l'hai. Aspetta che vado a prendere il termometro e torno»[/size]
[size=small]«Va bene»[/size]
[size=small]Alzandosi, mi passò ancora la mano addosso, come non apposta, stavolta senza entrare sotto la maglietta, ma la guardai, girandosi, cercarmi il pube tra le lenzuola, dove non le fu difficile trovare il mio cazzo rialzato che faceva una montagnola sotto il copriletto bianco. Sorrise, forse, poi chiuse la porta, come per darmi modo di restare davvero solo con me stesso, di raccogliermi prima del suo ritorno. Istantanemente, mi acchiappai la fava e la strinsi con la mano, sentii che se solo avessi accennato la pugnetta sarei venuto in un momento. Non sapevo pensare a cosa volesse fare di me la zia, non ci arrivavo e davo tutte le “colpe” di quel caos solo alla mia libidine oscena, al mio desiderio fino ad allora inconscio di[/size][size=small]Lei[/size][size=small], che mentre l'aspettavo mi appariva, nella fantasia, vestita con una tunica bianca, come una di quelle sacerdotesse dell'antichità di cui avevo sentito parlare il nonno e che avevo visto nei fumetti mitici di De Crescenzo. Elena, la zia giovane e bella, la sorella minore della mamma, fiore di bellezza minuta che gli amici di famiglia paragonavano a Valeria Golino, stava per ritornare col termometro e io non sapevo se avrei resistito ancora al suo sguardo, alle sue dita che scorrevano come seta profumata sul mio corpo in ebollizione, in trasformazione, mutante da un essere che stava per scomparire per sempre, il bambino, a qualcosa che ancora non conoscevo e che non potevo che indovinare nei tumulti dell'animo, dell'anima, dell'animus, dell'animale: in fin dei conti, la radice latina è la stessa, l'anima e l'animale sono una cosa sola. Non lo sapevo questo, ancora in quel momento, ma lo presentivo nella forza ancestrale di terremoti e vulcani, di pangee in entropia che avveniva nel mio esserci-corpo, nel mio ventre e nel mio pube, nel canale inconosciuto-inconoscibile che collega il cervello, il cuore e i genitali.[/size]
[size=small]Mentre il mio battito cardiaco subiva un'altra accelerazione, sentii la zia entrare in bagno, nel silenzio complice della grande casa vuota, la sentii sedersi sulla tazza, emettere lo scroscio discreto della sua urina, poi il suono della carta igienica staccata, il fruscio languido sulla vulva per asciugarla. Andò dunque al bidet, e quasi eiaculai all'immaginarla seduta di fronte, passarsi la mano là sotto per sciacquarsela, come avrebbe fatto una ninfa del Parnaso, perdendo quasi la ragione nel pensare alla sua fica come ad una bestia da abbeverare.[/size]
[size=small]Pregavo senza sapere perché, forse proprio per non impazzire; se fossi stato un personaggio letterario, mi sarei domandato se casomai stessi sognando, ma naturalmente sapevo di non potermi illudere. Se infatti, mentre si è addormentati, avviene di vivere il sogno come se fosse vita vissuta nel mondo condiviso con lo spazio, il tempo e gli altri esseri e le cose fisiche, mai (a meno di essere schizofrenici o fortemente drogati) succede davvero di scambiare la realtà per un sogno: la carne della vita è spessa, grassa e innervata, laddove invece l'esperienza onirica è fatta di nebbie, vapori, leggi gravitazionali non ancora scoperte, come un'esistenza esperita nello spazio profondo privo di suoni emissibili (come quando si vuol gridare in sogno e non ci si arriva) oppure sott'acqua, nel ventre materno o nell'oceano da cui è nata la vita terrestre (come quando si vuol correre, o dare calci e pugni).[/size]
[size=small]Ero sveglio, insomma, concentrato tra pene e cervello, allorché la zia tornò, mostrandomi il termometro come una pediatra rassicurante.[/size]
[size=small]«Fammi un po' di posto che ti aiuto»[/size]
[size=small]Spostandomi, sollevai le ginocchia per nascondere la torre che portavo addosso, mentre lei entrava sotto le lenzuola[/size]
[size=small]«Dove lo vuoi mettere?»[/size]
[size=small]«Come?»[/size]
[size=small]«Apri, te lo metto in bocca, così hai le mani libere, ma non lo mordere eh, che se ti mangi il mercurio muori»[/size]
[size=small]«Si, va bene»[/size]
[size=small]«Ti sei ammalato, mannaggia, ma vedrai che ora starai meglio, aspetta che ti riscaldo io un pochino»[/size]
[size=small]Si attaccò a me completamente, come una polipessa, manovrando sotto il lenzuolo per coprire dall'ascella ai piedi tutto il mio corpo, ma qualcosa sembrava disturbarla[/size]
[size=small]«Il pareo, me lo tolgo che non mi riesco a muovere... Ecco, ecco qua»[/size]
[size=small]e lo fece frusciare via dal letto, restando solo con il bikini. Aderiva al mio lato sinistro, sdraiata sul suo fianco destro[/size]
[size=small]«Stai comodo? Hai ancora freddo?»[/size]
[size=small]io bollivo, ma ebbi l'arditezza di mentirle, compiendo un atto inequivocabilmente colpevole e complice, allora lei mi prese tra le braccia, mi cacciò il termometro galeotto dalla bocca stringendomi delicatamente la testa al suo seno caldo, e portando la sua coscia destra su di me, piegandola per premerla proprio sul pube, in un movimento altrettanto colpevole. Non c'era più alcun'ombra di innocenza ormai, il velo era caduto e l'avevamo persa entrambi, ma non dicemmo niente. Io provavo un piacere mai sentito, come un'onda profonda che sbatteva senza violenza dalle ginocchia allo stomaco, nel sangue e nelle viscere, dall'arteria femorale all'intestino. Sul mio cazzo la sua coscia, la coscia benedetta di mia zia[/size]
[size=small]«Mmmm si che sei caldo, caldo caldo»[/size]
[size=small]Con la mano destra mi prese la nuca e mi premette il viso sulla sua mammella, muovendolo leggermente sul suo capezzolo, che sentivo duro e grande tra il naso e la bocca, dandomi un gusto incommensurabile, che mi chiuse gli occhi e mi portò, allora si, nei pressi di un'estasi onirica, vicino alla scollatura dalla realtà. Avevo scoperto il seno femminile, ed era quello di mia zia.[/size]
[size=small]«Ahi ahi ahi piccolino, vedrai che starai meglio, vedrai, vedrai, ora passa, ora passa, si, passa tutto, passa tutto»[/size]
[size=small]Continuava a sfregarmi il viso sul capezzolo, sempre meno leggermente, con il respiro sempre più pesante, seguitando a premermi la coscia sull'uccello (che stava davvero per scoppiare). Si avvicinò ancora e ancora mosse la coscia, passando dal ginocchio all'inguine sul mio giovane pene, rompendomi il fiato e contribuendo, così, ancor più a piombarmi in una trance estatica che per un istante mi parve realmente sogno. La abbracciai forte, senza più pensieri, tutto e solo cazzo e voluttà[/size]
[size=small]«Si, si»[/size]
[size=small]mi strinse ancor più, mentre io mi sentivo svenire senza respiro, e con un gesto di impazienza espose la tetta togliendola dal bikini e mettendomi il capezzolo in bocca, premendomici dentro la faccia[/size]
[size=small]«Si, oh si, succhia, succhiala tutta, succhia, succhia, succhia»[/size]
[size=small]mi prese il cazzo con la stessa mano, lo tolse dalle mutande e se lo portò sulla fica, tenendolo come cosa sua sul clitoride, muovendolo su e giù mentre le ciucciavo il capezzolo duro. Non respiravo più e stavo godendo, come un essere[/size][size=small]altro[/size][size=small]da ciò che ero stato fino ad allora, e dopo pochi secondi che lei mi sbatteva il cazzo sulla sua grande fessa, facendomi assaggiare anche la cavità profonda della sua vagina senza tuttavia oltrepassare il costume, cominciai a venire, pulsando nella sua mano, eiaculando divinamente, emettendo il mio sperma sul tessuto e sulla sua pelle, mentre lei continuava a premerlo sul suo clitoride[/size]
[size=small]«Vieni, si, vieni, vienimi in mano piccolo, vienimi tutto, tutto»[/size]
[size=small]Respiravamo forte come cavalli, e lei non smetteva di usarmi l'uccello per masturbarsi, ma io non ne potevo più e cominciai a tremare, a muovere i fianchi con scatti incontrollati, tanto che la zia si fermò, tolse la mano e se la portò alla bocca, leccandosi avidamente il palmo pieno di sborra, mantenendomi però il pene serrato sulla sua vagina. Nel frattempo, mentre arrivavo al mio primo orgasmo condiviso con qualcuno (con mia zia) avevo lasciato il morso dalla sua mammella bianchissima, e lei sospirando la reintromise nel pezzo di sopra del suo bikini blu, mollando infine la presa del suo inguine sul mio pube e abbracciandomi con un gesto di riposo e affetto.[/size][size=small]Restammo in silenzio alcuni secondi, la sua coscia ancora sul mio cazzo bagnato fuori le mutande, respirando insieme ad occhi chiusi. Io non volevo dire niente e non volevo che mi lasciasse, lei mi dava bacini sulla fronte, finché disse[/size]
[size=small]«Questo è il nostro segreto, vero amorino?»[/size]
[size=small]«...Si, zia»[/size]
[size=small]Questa confessione d'amore, di passione d'altomare, di segretezza e di tradimento di tutto e tutti mi fece ricrescere il cazzo, che ricominciò a inondarsi di sangue e a farsi durissimo. La zia lo sentì con la sua coscia santissima e immediatamente si rifece sotto[/size]
[size=small]«Bravo, bravo il mio cucciolo, fatti abbracciare ancora, ancora, ancora...»[/size]


[size=small](continua)[/size][size=small]



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Mersault l'Apostata

Chosen one
Fantacalciaro
Nutellaccia ha scritto:
Teorema non è di Cocciante, ma di Ferradini.


guarda per trovare il titolo del pezzo ho dovuto scrivere su google "prendi una donna dille che l'ami" e ho trovato l'indicazione "teorema"
poi per implementare il discorso avevo pensato di mettere il pezzo da youtube ma scrivendo "teorema cocciante" non m'è apparso un cazzo
tuttavia non mi sono interessato di capire meglio la situazija, quindi grazie per la precisazione
;)


ora, leggi il racconto e poi masturbati, per favore
fallo, per me
 
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