«Chiusura forte» è un’espressione generica per mezzo della quale, è evidente, metti insieme cose diversissime tra loro e addirittura prive di collegamento. Ma non è colpa tua, è la narrazione che si è costruita. Non c’è alcun collegamento scientificamente fondato tra il divieto di uscire di casa e «i posti letto che finiscono». Non c’è alcun collegamento scientificamente fondato tra il divieto di stare all’aria aperta e «la gente che muore». Non c’è alcuna consequenzialità logica tra l’evitare di ammassarsi e l’obbligo di portare la mascherina ovunque. Inoltre: il fatto che una misura sia in linea di principio giusta non significa che poi si debba tacere se la sua messa in pratica è incongrua o stupida. Soprattutto, il fatto che una misura sia giusta non implica che si debba per forza accettare acriticamente tutto il pacchetto. Non c’è affatto, non c’è mai stato un unico pacchetto possibile, perché non c’è una sola via per contenere l’epidemia.
E la via italiana è lungi da poter fare da modello:
siamo il paese con più alto tasso di mortalità, non abbiamo fatto il lockdown ad Alzano e Nembro perché non voleva Confindustria, abbiamo infettato gli ospedali con una serie impressionante di errori, abbiamo trasformato RSA e case di riposo in luoghi di morte di massa per coronavirus… Una condotta non solo negligente ma criminale, dalla quale si è cercato di distogliere l’attenzione mettendo la popolazione agli arresti domiciliari, vietando de iure o de facto di prendere una boccata d’aria (quasi un unicum in occidente) e colpevolizzando i singoli cittadini: i runner, chi esce «senza motivo», i vecchi che fanno «troppe volte» la spesa ecc.
Tu parli di terapia intensiva e dici che nemmeno con diecimila posti si sarebbe potuta fronteggiare la situazione. Ma l’errore è già quello di incentrare il ragionamento sulla terapia intensiva. A una situazione in cui si finisce in tanti in terapia intensiva non si sarebbe proprio dovuti arrivare, come giustamente scrive Ardini nel link che ho messo poco sopra:
«la strategia [seguita in Germania] – appena rilevati sintomi di febbre le persone vengono testate e subito ricoverate – ha sicuramente contribuito a diminuire la letalità del virus.
Come rilevato da molti virologi, infatti […] si dovrebbe evitare che i pazienti raggiungano lo stato in cui l’infezione attacca i polmoni, aggravandosi, per cui diventa poi necessario il ricovero in terapia intensiva (accrescendo la probabilità di morte). In Italia, in generale, si è seguita la pratica di “stare a casa, anche se si ha la febbre” per contattare poi il medico e farsi ricoverare se la situazione peggiora.»
L’altro errore contenuto nel tuo commento è ritenere che si stia parlando della mia/tua libertà anziché della
nostra, ovvero pensare sia una faccenda puramente individuale. E infatti usi l’epiteto «egoista». Peccato che invece si stia parlando delle libertà di tutte e tutti, degli spazi che sarà o non sarà possibile usare per un agire collettivo. Come ho già fatto altre volte, cito da un articolo uscito sull’Avvenire l’11 marzo scorso, perché riassume in poche righe la portata di quanto è accaduto mentre gran parte delle persone pensava si trattasse “solo” di non poter fare una passeggiatina:
«[…] Questi decreti hanno messo in campo la più intensa limitazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione dal momento in cui questa è in vigore, cioè da 72 anni a questa parte: non è solo limitata la libertà di circolazione, ma anche quella di riunione, così come il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro e la libertà di iniziativa economica, nonché, almeno in parte la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa e la stessa libertà personale […]»
Sarà mica «egoismo» far notare queste cose?