Quando udì i rumori oltre la pesante porta di legno della sua cella, Tyrion Lannister si preparò a morire.
"Era ora" pensò. "Forza, dài, ponete fine." Si alzò in piedi. Aveva le gambe intorpidite per averle tenute piegate sotto di sé troppo a lungo. Si chinò in avanti e le massaggiò vigorosamente, per cercare di eliminare le fitte della sofferenza. "Non andrò al ceppo del boia barcollando e incespicando."
Si chiese dove lo avrebbero ucciso, se là sotto, nelle tenebre, o se invece lo avrebbero trascinato per le vie della città, in modo che ser Ilyn Payne potesse staccargli pubblicamente la testa. Dopo quella turpe farsa da guitti che era stato il processo, forse la sua delicata sorellina e il suo amorevole padre preferivano liquidarlo in silenzio. "Sanno che potrei rivelare alla marmaglia un po' di interessanti cosette, se avessi la possibilità di parlare." Ma sarebbero stati così stolti?
Le chiavi sferragliarono nella serratura. Con un cigolio la porta della cella venne aperta verso l'interno. Tyrion si addossò con la schiena contro la parete satura d'umidità, e desiderò di possedere un'arma. "Posso ancora mordere e scalciare. Morire con in bocca il sapore del sangue... non è poi male." Desiderò anche di essere in grado di pronunciare le ultime parole destinate a essere famose. Difficilmente "Andatevene tutti a fare in culo" gli avrebbero fruttato un posto d'onore nei libri di storia.
La luce baluginante di una torcia investì il suo volto. Tyrion alzò una mano per schermarsi gli occhi. «Fatti avanti! Cos'è, hai paura di un nano? Forza, figlio di una puttana impestata... Forza!» La sua voce, rimasta troppo a lungo in silenzio, aveva qualcosa di raschiante.
«Puttana impestata? Ma ti pare questo il modo di parlare della veneranda lady nostra madre?» Un uomo avanzò nello spazio angusto, reggendo la torcia con la mano sinistra. «Questo posto è addirittura più fetido della cella dove mi avevano messo a Delta delle Acque, anche se non altrettanto umido.»
Per un momento, Tyrion si ritrovò con il fiato mozzato. «Tu?»
«Diciamo la maggior parte di me.» Jaime Lannister appariva deperito, i capelli corti. «Una mano l'ho lasciata a Harrenhal. Far arrivare i Bravi Camerati dall'altra sponda del mare Stretto non è stata una delle idee più brillanti di nostro padre.» Sollevò il braccio destro.
Tyrion vide il moncone. Uno scoppio di riso isterico gli sgorgò dalla bocca. «Ah, per gli dèi...» Poi riuscì a calmarsi. «Jaime, perdonami ma... dèi, siate misericordiosi: tu guardaci, fratello. "Senzamano" e "Senzanaso": i ragazzi Lannister.»
«Certi giorni la ferita è così maleodorante che vorrei essere io il Senzanaso. » Jaime abbassò la torcia, illuminando il volto del fratello. «Non male la cicatrice.»
Tyrion girò la faccia per il chiarore troppo intenso. «Mi hanno mandato in battaglia senza il mio valoroso fratello a proteggermi.»
«Ho sentito dire che per poco non bruciavi tutta la città.»
«È una sporca menzogna. Ho bruciato solo il fiume.» All'improvviso, Tyrion si ricordò di dove si trovava e del motivo per cui era là. «Sei venuto a uccidermi?»
«Sei proprio un ingrato. Se continui a essere così scortese ti lascerò marcire qui dentro.»
«Marcire non è esattamente la fine che Cersei ha in mente per me.»
«Effettivamente no, hai ragione. Verrai decapitato domani, sul vecchio campo dei tornei.»
Tyrion rise di nuovo. «Ci sarà almeno da mangiare? E tu dovrai anche aiutarmi con le mie ultime parole, la mia arguzia continua a girare in tondo come un topo in un barile.»
«Non avrai bisogno di ultime parole, Tyrion.» C'era un'insolita solennità nella voce di Jaime. «Sono venuto a salvarti.»
«E chi dice che voglio essere salvato?»
«Sai una cosa, mi ero quasi scordato di che tappetto irritante sei in realtà. Ma adesso che mi hai rinfrescato la memoria, credo proprio che non impedirò a Cersei di tagliarti la testa.»
«Oh, no invece.» Tyrion arrancò fuori della cella oscura. «È giorno o notte, là sopra? Ho totalmente perso la cognizione del tempo.»
«Tre ore dopo la mezzanotte. La città dorme.» Jaime tornò a sistemare la torcia nella nicchia tra due celle.
Il corridoio era così male illuminato che Tyrion per poco non inciampò nel carceriere, sdraiato a faccia in giù sul gelido pavimento di pietra. Gli diede un paio di corpetti con la punta dello stivale. «È morto?»
«Addormentato. E anche gli altri tre. L'eunuco ha riempito il loro vino di dolcesonno, ma non in quantità tale da ucciderli. O almeno questo è ciò che spergiura. Ci sta aspettando vicino alle scale, con addosso una tonaca da septon. Scenderai con lui fino alle fogne, e così raggiungerai il fiume. Una galea ti attende nella baia. Agenti di Varys nelle città libere faranno in modo non ti manchi il conio... ma cerca di non farti notare troppo. Cersei manderà sicari a cercarti, non c'è dubbio su questo. Farai meglio a cambiare nome.»
«Cambiare nome? Ma certo. E quando gli Uomini senza Faccia verranno a uccidermi, io gli dirò: "Ma no, ve la state prendendo con l'uomo sbagliato, io sono un nano diverso da quello che ha queste grottesche cicatrici in faccia".» Tyrion e Jaime non poterono fare a meno di ridere per l'assurdità della situazione. Jaime appoggiò un ginocchio a terra e baciò il fratello su entrambe le guance, sfiorando con le labbra i margini frastagliati delle cicatrici.
«Ti ringrazio, fratello» disse Tyrion. «Per la mia vita.»
«Era... un debito che avevo con te.» La voce di Jaime era strana.
«Un debito?» Tyrion inclinò la testa di lato. «Non capisco.»
«Meglio così. Certe porte devono rimanere chiuse.»
«Per gli dèi, che sarà mai?» esclamò Tyrion. «C'è forse dietro qualcosa di tetro e di sinistro? Non è che qualcuno ha detto qualcosa di crudele nei miei confronti, vero? Cercherò di non piangere. Forza: dimmelo.»
«Tyrion...»
"Jaime ha paura!" «Parla, fratello» insistette Tyrion.
Jaime distolse lo sguardo. «Tysha» disse in un soffio.
«Tysha?» Lo stomaco di Tyrion si contrasse. «Che cosa c'entra Tysha?»
«Non era una baldracca, Tyrion. E non fui io a portartela. Quella fu una menzogna che nostro padre mi ordinò di dirti. Tysha era... esattamente quello che sembrava: la figlia di un contadino, incontrata per caso su una strada.»
Tyrion poteva udire il respiro risuonare come un sibilo nella cicatrice che aveva preso il posto del suo naso. Jaime non riusciva a guardarlo negli occhi. "Tysha." Tyrion cercò di ricordare il suo viso. "Una ragazzina, nient'altro che una ragazzina, dell'età di Sansa."
«Mia moglie» la sua voce era un rantolo. «Volle sposarmi...»
«Per il tuo oro, disse nostro padre. Lei era del volgo, mentre tu eri un Lannister di Castel Granito. Quello che lei voleva era il tuo oro, il che non la rendeva diversa da una baldracca, quindi... non sarebbe stata una menzogna, non del tutto, e poi... lui diceva che avevi bisogno di una bella lezione. Dalla quale avresti imparato, e un giorno mi avresti ringraziato...»
«Ringraziato?» Tyrion stentava ad articolare le parole. «Nostro padre l'ha gettata in pasto alle sue guardie. Un intero baraccamento pieno di guardie. E mi ha costretto... a guardare!» "Aye, e non solo... poi l'ho presa anch'io... mia moglie..."
«Non avevo idea che avrebbe fatto una cosa del genere. Devi credermi.»
«Ah, davvero?» ringhiò Tyrion. «E perché mai dovrei crederti? Era mia moglie, Jaime!»
«Fratello...»
Tyrion lo colpì. Un manrovescio in cui mise tutta la sua forza, tutta la sua paura, la sua rabbia, la sua sofferenza. Jaime, accovacciato sui talloni, perse l'equilibrio. Il colpo lo fece cadere all'indietro sulla pietra. «Questo... io credo di essermelo meritato.»
«Oh, ti sei meritato ben di più, Jaime. Tu e la nostra dolce sorella e il nostro amorevole padre, oh, sì, non hai idea di quello che tutti voi vi siete meritati. Ma lo avrete, te lo giuro. Un Lannister ripaga sempre i suoi debiti.»
Tyrion si allontanò con quella sua andatura ondeggiante, e nella foga quasi inciampò di nuovo nel carceriere. Dopo una decina di iarde, si ritrovò a urtare contro la grata di ferro che sbarrava il passaggio. "Ah, per gli dèi..." Ma riuscì a trattenere la sua rabbia.
Jaime arrivò alle sue spalle. «Ho le chiavi del carceriere.»
Tyrion si fece da parte. «Allora usale.»
Jaime fece scattare la serratura, aprì la grata con una spinta e passò per primo. Oltre la soglia, si voltò verso Tyrion. «Non vieni?»
«Non con te.» Tyrion varcò a sua volta la grata. «Dammi le chiavi e vattene. Troverò Varys da solo.» Inclinò il capo, fissando il fratello con i suoi occhi asimmetrici. «Jaime, puoi combattere con la mano sinistra?»
«Meno bene di te» rispose Jaime con amarezza.
«Magnifico. Dovessimo incontrarci di nuovo, sarà uno scontro alla pari. Lo storpio e il nano.»
Jaime gli diede il mazzo delle chiavi. «Io ti ho detto la verità. Adesso mi devi la stessa cosa. Sei stato tu? Lo hai ucciso veramente?»
Per Tyrion, quella domanda fu una seconda lama girata dentro le viscere. «Sei certo di volerlo sapere?» chiese al fratello. «Joffrey sarebbe stato un re ben peggiore di Aerys il Folle. Ha rubato una delle daghe di suo padre e l'ha data a un sicario, mandandolo poi a tagliare la gola a Brandon Stark. Lo sapevi?»
«Io... sospettavo che potesse averlo fatto.»
«Bene, tale padre, tale figlio. Quando fosse salito al potere, Joff avrebbe assassinato anche me. Poco ma sicuro. Per il crimine nefasto di essere basso e brutto, crimine del quale sono chiaramente colpevole.»
«Non hai risposto alla mia domanda.»
«Povero cieco storpio patetico. Vuoi proprio che ti dica tutto? D'accordo. Cersei non è altro che una puttana bugiarda. Si è fatta fottere da Lancel, da Osmund Kettleblack e, per quanto ne so, probabilmente anche dal nostro guitto di corte. E io sono il mostro che tutti dicono. Sì, l'ho ucciso io quel tuo figlio infame.» Tyrion cercò di sorridere. Il ghigno del Folletto. Nella semioscurità sanguigna della torcia, doveva essere uno spettacolo orribile a vedersi.
Senza dire una parola, Jaime gli voltò le spalle e se ne andò. Tyrion lo osservò allontanarsi, sulle lunghe gambe forti e una parte di lui voleva urlare, dire al fratello che non era vero, implorare il suo perdono. Ma poi gli tornò alla mente Tysha. E così rimase in silenzio. Ascoltò il rumore dei passi che si affievoliva. Poi, quando non udì più nulla, si incamminò alla ricerca di Varys.
L'eunuco era come in agguato nelle tenebre sotto una scala a chiocciola, drappeggiato in una tonaca marrone divorata dalle tarme, il pallore del volto celato dal cappuccio.
«Ci hai messo molto tempo» esordì nel vedere Tyrion. «Temevo che qualcosa fosse andato storto.»
«Oh, no.» La voce di Tyrion aveva un tono velenoso. «E che cosa mai avrebbe potuto andare storto?» Alzò la testa a guardare l'eunuco. «Ti avevo mandato a chiamare durante il processo.»
«Non sono potuto venire La regina mi faceva sorvegliare giorno e notte. Non ho osato aiutarti.»
«Adesso però mi stai aiutando.»
«Davvero? Ah.» Varys ridacchiò. Sembrò stranamente fuori luogo in quel luogo di gelida pietra e tenebra piena di echi. «Tuo fratello sa essere molto persuasivo.»
«Varys, sei più infido e viscido di un verme, te l'ha mai detto nessuno?
Hai fatto del tuo meglio per uccidermi. E adesso forse dovrei restituirti il favore.»
L'eunuco sospirò. «Il cane fedele è preso a calci e, a dispetto di quanto intricata sia la tela del ragno, non è mai amato. Ma se tu dovessi uccidermi ora, temo per la tua sorte, mio signore. Potresti non ritrovare mai più la via che conduce alla chiara luce del sole.» Gli occhi del senzapalle, scuri, acquosi, scintillarono alla luce incerta della torcia. «Queste gallerie sono colme di trappole perniciose per l'incauto.»
Tyrion grugnì. «Incauto? Sono l'essere più cauto che sia mai esistito: ho imparato da te.» Si fregò il resto del naso. «Allora, dimmi, stregone, dove si trova la mia innocente e vergine mogliettina?»
«Triste a dirsi, ma ad Approdo del Re non ho trovato traccia alcuna di lady Sansa Stark. E nemmeno di ser Dontos Hollard, il quale, secondo inappuntabile logica, a quest'ora avrebbe dovuto rispuntare fuori ubriaco da qualche parte. La notte della scomparsa di lady Sansa, vennero visti assieme sulla scalinata di pietra. Dopo di che, più nulla. C'era molta confusione quella notte. I miei uccelletti tacciono.» Varys tirò lievemente il Folletto per la manica e lo guidò verso la scala a chiocciola. «Mio signore, dobbiamo procedere. Il tuo cammino porta in basso.»
"Questa, per lo meno, non è una menzogna." Tyrion seguì l'eunuco, con i tacchi che strisciavano sulla pietra scabra. L'aria nel condotto della scala era gelida, e l'umido gli penetrò fino al midollo delle ossa facendolo subito tremare. «In quale parte delle segrete ci troviamo?» chiese.
«Maegor il Crudele volle quattro diversi livelli di segrete nella Fortezza Rossa» rispose Varys. «Al livello superiore, ci sono le celle più grandi, dove i criminali comuni possono venire confinati in gruppo. Queste celle sono dotate di strette finestre, in alto rispetto al pavimento. Il secondo livello ospita celle più piccole, dove vengono detenuti i prigionieri di lignaggio. Sono prive di finestre, ma la luce delle torce nei corridoi filtra attraverso le sbarre. Al terzo livello, le celle sono ancora più piccole e le porte sono di legno massiccio. Vengono chiamate "le celle oscure". Tu eri detenuto in una di queste, come prima di te lo fu anche Eddard Stark. Infine c'è un altro livello, al di sotto delle celle oscure. Quando un uomo viene portato a questo quarto livello, non vedrà mai più la luce del sole, né udrà più una voce umana e il suo respiro non sarà mai più privo di terribile sofferenza. Maegor fece costruire le celle del quarto livello per un unico scopo: il tormento.»
Raggiunsero il fondo della scala a chiocciola. Di fronte a loro si apriva una porta priva di qualsiasi luce.
«Questo è il quarto livello. Dammi la mano, mio signore. È più sicuro avanzare al buio. Ci sono cose qui che è meglio tu non veda, credimi.»
"Crederti?" Tyrion ebbe un momento di esitazione. Varys lo aveva già tradito una volta. Chi poteva sapere quale fossero le vere intenzioni dell'eunuco? E quale luogo migliore per assassinare qualcuno di queste tenebre eterne, in un sotterraneo, che nessuno sapeva esistesse? Il suo corpo non sarebbe mai stato trovato.
D'altra parte, che scelta aveva? Risalire la scala a chiocciola e uscire dalla porta principale? Non era possibile.
"Jaime non avrebbe paura" pensò Tyrion, ma poi si ricordò di quello che Jaime gli aveva fatto, della terribile menzogna che si era tenuto dentro per tutti quegli anni. Afferrò la mano dell'eunuco e lasciò che lui lo conducesse attraverso l'oscurità totale, seguendo solo il lieve fruscio del cuoio sulla pietra.
Varys camminava in fretta, sussurrando di quando in quando qualche avvertimento: «Attento, più avanti ci sono tre scalini» oppure «In questo punto il tunnel si inclina, mio signore». "Sono arrivato ad Approdo del Re a cavallo varcando una delle porte della città alla testa di uomini che mi avevano giurato fedeltà" rimuginò Tyrion "e adesso me ne vado come un topo che zampetta nel buio, tenuto per mano da un ragno."
Davanti a loro, un debole chiarore apparve nelle tenebre. Troppo debole per essere la luce del giorno, ma che crebbe a mano a mano che Tyrion e Varys avanzavano in quella direzione. In breve, il Folletto riuscì a distinguere una porta ad arco, sbarrata da un'altra grata di ferro. Varys tirò fuori una chiave. Entrarono in una piccola stanza rotonda. Lungo la parete ricurva si aprivano cinque porte, tutte sbarrate in ferro. Nel soffitto c'era una sesta apertura, alla fine di una fila di pioli metallici infissi nel muro. Da un lato c'era un braciere a forma di testa di drago. I carboni nelle sue fauci spalancate erano ridotti a braci dalle quali emanava uno smorto bagliore arancione. Eppure, per quanto fioca, quella luce era la benvenuta dopo le tenebre del tunnel.
Per il resto la stanza con le cinque porte era vuota, a terra c'era un mosaico a tessere nere e rosse che raffigurava il drago con tre teste dei Targaryen. Un vago ricordo affiorò alla mente di Tyrion. Poi si fece chiaro. "Questo è il posto di cui mi parlò Shae, la prima volta che Varys la portò nel mio letto."