(Dissolvenza incrociata)
Usava la mia testa come un oggetto che la faceva mormorare, spingendomela e strusciandomela sulla spaccatura mentre io, inerte, mi lasciavo ricoprire tutto dalla lava bollente, assaporando quel gusto ferroso e minerale come da una sorgente di roccia, senza tuttavia capire nulla di cosa stessimo facendo. D'improvviso, mi afferrò le mani con una decisione quasi violenta, e me le schiaffò sui seni invitandomi con gesti impazienti a stringerli, a riempirmene, a tirarle i capezzoli. Nelle mie gambe sentivo accumularsi nel frattempo un'energia nuovissima e ruggente: percepii di iniziare a volere davvero qualcosa da lei, che in quel momento mi ciucciava le dita arrivate alla bocca, leccandomi mentre io coprivo ogni angolo del mio viso con quella polpa umida, infilandoci dentro il naso, il mento, e muovendomi dappertutto come un insetto drogato, finché mi attanagliò la faccia con le cosce e mi tirò i capelli, sussurrando emaciata
«ora la lingua, la lingua, tira fuori la lingua e leccamela, dai».
Stupito e imbarazzato, sia dalla sua audacia selvaggia che per non averci pensato prima, eseguii il suo comando, e fu in questo modo che scoprii cosa sia leccare una fica, patrimonio UNESCO dell'umanità.
Ma come il viaggiatore sente i millenni, e il paradosso del tempo, al cospetto delle piramidi di Giza, io stesso sentii opprimente la consapevolezza che fosse tutto più grande, più forte e più antico di me, allorché non sapevo bene cosa fare e continuavo a sfregare, accorgendomene a malapena, il cazzo sul letto. La sua fregna sembrava un Leviatano, immenso e invisibile, che mi sgusciava da tutte le parti; ero in debito d'ossigeno e, pensando di far bene, la scopavo con la lingua, tenendola dura con somma fatica, ma proprio mentre cominciavo a stancarmi, rischiando i crampi come in Samp-Barcellona, la zia sembrò innervosirsi: mi fermò, e per un istante parve quasi riprendere l'atteggiamento da insegnante che le era effettivamente proprio:
«aspetta, aspetta, non così, aspetta... guarda, qui... qui»
dischiuse lentamente le labbra con le dita, e posandovi l'indice sopra mi mostrò quella che era la sostanza, il quid della faccenda, la chiave di volta dell'arco, il segreto del bosco vecchio
«vedi qui, guarda, vedi il fagiolino? Vieni, vieni qui con la lingua, e muovimela sul fagiolino».
Trepidante e insicuro mi accostai a esso, sentendolo distintamente sulle labbra: cominciai a leccarlo.
La zia apprezzava, e nonostante a volte lo perdessi, mescolato al resto tra le pieghe del suo sipario di carne, lo ritrovavo poi subito, e subito riprendevo a leccarlo, a leccarlo, leccarlo come se non ci fosse un domani, affogando tra labbra e fagiolino, ormai vera e propria stella polare del mio cieco viaggio incosciente
«si, si, bravo, bravo, oh, sei bravo, si, vai sul fagiolino, il fagiolino, si, ecco, si, mi piace, mi piace, il fagiolino, fagiolino, si, è il clitoride, si chiama 'clitoride', è mio, è il mio, si, è il mio organo, si, l'organo, l'organo uh, l'or... l'organo del piacere, si, si, clitoride, dal greco, per piacere, si, dal greco, dal greco...»
«...Dal greco κλειτορίς, il greco κλειτορίς, κλειτορίς, capisci, il greco, dai, il greco antico, il greco antico, si, si, lì, ecco, lì, si, resta lì, dai, il greco κλειτορίς, dai κλειτορίς, dai, dai, dai col greco κλειτορίς, si, si, vai, vai, dai, dai, dai di greco, dai col greco, dai col grecoah, dai col grecah, dai col grah, dai cah, ah, ah, ah! Ah! Ah...! Basta, basta, piano, basta»
come a un cucciolo di cane che non smette di leccare e mordicchiare una mano.
Riaprii gli occhi come da un sogno, sgiostrato e con le labbra, la lingua e tutta la faccia completamente intorpidite; la guardai sommessamente, con il rispetto di un pavido servo indonesiano contemplante la sua padrona olandese. Lei aveva ancora gli occhi chiusi, e sembrava che qualcosa del suo orgasmo le continuasse a circolare in corpo. Allora intuii: avevo contribuito e assistito a quell'evento miracoloso, a quella spiegazione della femminilità, a quella recita encomiabile ricca di desiderio, di forza, di sofferenza e piacere, e alla fine non potevo provare per lei che una devota, subalterna ammirazione, mentre sentivo il fagiolino contrarsi ancora sulla mia lingua.
La zia ritornò, e mi sorrise infine: il ritratto della pace. Capii il suo appagamento ma, teso come un cavallo alla mossa, ebbi l'istinto d'avventura di rifarmi sotto: non ci pensai due volte, ormai pienamente, pre-coscientemente disposto a giocare il mio possibile ruolo, in quanto portatore d'uccello, in quella lezione di vita diretta e capitale, quell'atto esoterico di cui lei era la maîtresse magnanima e io il discepolo esclusivo
«si amore, certo, è chiaro, vieni, dammi il cazzo, dammi il tuo cazzo e mettimelo dentro».
Mi feci avanti in ginocchio; lei si alzò a sedere sul letto e mi accarezzò il giovanissimo petto, i lombi, le cosce, fino a prendermi l'uccello con entrambe le mani, rollandoselo tra i palmi umidi come un giocattolo
«sei diventato grande, cucciolo, sei grande, sei bello, è proprio bello, è grande, vieni, dammelo, vieni a sentire, senti, senti».
Si adagiò lentamente sulla schiena, aprì le cosce e mi mise direttamente l'uccello nella sua fessura. Come un tuffo lento, si immerse in me o io mi immersi in lei, e dai fianchi in un attimo sentii tutto il mio intero corpo riempirsi di gioia ferina, di un'onda nera che mi sbatté indietro e davanti, mentre nella punta del pene che sondava l'interno di quella donna sentivo esserci il senso del mondo
«non mi venire dentro»
aprii gli occhi e ci guardammo: mi sentii scoperto, perduto. Lei m'intese, e in un lampo si sfilò per finirmi con la bocca sulla cappella; guardandola compiere quel gesto unico, semplice e perfetto, e sentendo il suo palato, la sua lingua, la sua gola bagnata, stretta, dolce e forte che scorreva come spire dal glande alla base del mio roseo, beato, benedetto, brillante, fausto, favorevole, felice, prospero, ricco, invidiabile, positivo, vincente, bello, grato, lieto, gioioso, ottimo, promettente, augurale, meraviglioso, splendido, miracoloso, buono, benefico, gioviale, opportuno, provvido, utile, gaio, ottimista, piacevole, radioso, giocoso, allegro, contento, festoso, geniale, amico, destro, secondo, si, sacro, santo cazzo
eiaculai all'istante.
Mi restò attaccata tutto il tempo come un'amorevole molossina, bevendosi fino all'ultima stilla del mio sperma fortunato, prima di staccarsi quando sentì che non ne avevo più, allorché cominciai a tremare. Allora si rialzò, come una cavalla dressata, e finimmo guardandoci, l'uno di fronte all'altra, in ginocchio, con un senso quasi di profonda amicizia che adesso sembrava essere sceso su di noi come trascendenza.
«La prossima volta ti faccio venire dentro, va bene?»
«Va bene, zia. Ti amo».
Mi era uscito fuori da sé, ancora carico d'istinto, ancora prima che potessi accorgermi di quello che dicevo. Solo allora mi resi conto che, dopo averne sentito tanto parlare, era la prima volta che pronunciavo quelle parole. Ebbi paura.
«Anch'io».
Mi accarezzò, e forse ci sentimmo entrambi momentaneamente al sicuro.
«Ora fammi andare a preparare il pranzo che sennò non mangiamo niente, anche se io sono già piena, gnam gnam, slurp»
strizzandomi l'occhio, maliziosa ma anche ostentatamente infantile, nel gesto di “massaggiarsi il pancino”. Le sorrisi, affascinato da quella padronanza, da quell'ironia, e la guardai uscire dalla porta da cui era entrata un'ora prima, prima che la mia vita cambiasse per sempre.
«E' La Luce e io sono solo un insetto che morirà per Lei».
Avevo trovato la mia religione. Avevo iniziato la mia condanna.