Mikhail Mengsk
MSPAINT OVERTYRANT
IL FLAGELLO DEI NANI
Era arrivata la bella stagione, si, ma era ancora agli inizi. L'inverno stentava a ritirarsi, e la mattina era ancora fredda, nell'accampamento dell'armata di Shigga Banemace. I corni suonavano l'adunata, i soldati e gli attendenti degli ufficiali radunavano armi, armature e bagagli e iniziavano a stiparli sopra i carri.
Shigga Banemace, già in tenuta da marcia, con l'ascia e la pistola al fianco, osservava il campo da un piccolo rilievo. Come sempre i suoi Nani erano i primi a completare i preparativi. La marmaglia orleasiana e i Nani delle caste basse erano più lenti, ma ormai c'era abituata. La sua armata era un'accozzaglia informe, ma grazie al suo talento organizzativo e all'addestramento col tempo era diventata una forza con la quale fare i conti.
E lei stava per portarla in guerra, a sud. Il Grande Tengri era un osso duro, con i suoi cavalieri e arcieri, ma Shigga aveva un piano.
Stava rimuginando su di esso, quando sentì il ruggito.
Si guardò intorno, sconcertata. Leoni? Lupiù Orsi? Nel bel mezzo di un accampamento militare?
Era stato forte, ma aveva la sensazione che fosse arrivato da lontanissimo. E da sopra.
Scrutò il cielo, confusa.
No, era impossibile. Impossibile.
Se lo stava ancora ripetendo, quando vide Skalak il Terribile, il Flagello dei Nani, l'Antico Dragone Rosso delle leggende, tuffarsi attraverso le nuvole basse, ruggendo con la voce della più possente creatura di Ardania, e avventarsi sull'accampamento.
I soldati là sotto si voltarono verso l'ombra discesa dal cielo. Dopo, morirono.
Skalak atterrò direttamente al centro della tendopoli, schiacciando decine di tende, carri, cavalli e soldati sotto il suo peso immane. Grande come un campo di Bloodbowl, escluse la coda e le ali, coperto di scaglie rosso cupo, ruggì di nuovo e iniziò a soffiare fiamme su ogni cosa.
Terrorizzata, agghiacciata dalla visione dell'antico nemico della sua razza, dato per morto e poi risorto, e adesso lì, proprio davanti a lei, Shigga lo guardò mentre faceva a pezzi i suoi uomini, le sue donne guerriere. Inarrestabile, invincibile, implacabile. Quasi tutti i soldati fuggivano, o almeno cercavano di farlo. Skalak torreggiava su ogni cosa, sembrava essere ovunque, pronto a calpestare, bruciare, squarciare o frantumare con le zanne i più lenti. Non era una battaglia: era un massacro. Qualsiasi forma di disciplina era svanita, cancellata dal terrore che irradiava dalla bestia con la stessa intensità del calore che si sprigionava dalle sue fauci.
Di fronte allo scempio della sua armata, di fronte alla fine di tutti i suoi sogni, di fronte alla sua stessa, inevitabile fine, Shigga Banemace pianse. E tolse la sicura alla pistola.
Urlando piena di rabbia, di ancestrale paura e furore, scavalcando i corpi dei suoi soldati e le rovine del suo accampamento, caricò l'immane drago da sola. Fu vicino ad esso, fu sotto di esso. Celata alla vista del mostro dal suo stesso mastodontico corpo, Shigga Banemace sparò con la pistola e colpì con l'ascia. Sparò, ricaricò e colpì per quella che le parve un'eternità, sfogando tutta la sua rabbia, la sua paura e la sua disperazione in quell'inutile atto di sfida ad un essere troppo, troppo potente per essere sconfitto da lei.
Skalak ne fu dapprima profondamente sorpreso, poi sprezzantemente irritato. Con un'agilità insospettabile per un essere della sua mole, sbatté le immense ali e si erse sulle zampe posteriori. Messo a nudo l'invisibile guerriero, non si dette neanche la pena di usare il suo soffio di fuoco contro di esso: lo ghermì con una delle sue zampe anteriori e lo scagliò lontano.
Il gesto disperato di Shigga ispirò quel che restava dei suoi compagni Nani. Nuclei di fanti pesanti e fucilieri si riorganizzarono ed attaccarono Skalak. Troppo pochi e divisi per sperare di cacciarlo, ma nessun Nano, dopo il sacrificio del loro comandante, avrebbe mai pensato di fuggire ancora. Urlando maledizioni o cantando gli antichi inni di battaglia del Karaz Angainor, andarono incontro alla morte.
Skalak si trovò assediato da ogni parte, la sua corazza venne intaccata, i suoi artigli scheggiati. Non si fermò, non fuggì, era ben consapevole di poterli sconfiggere senza troppo affanno, ma fu sicuramente sorpreso dalla tenacia di quei piccoletti. Forse la sua mente tornò ai vecchi tempi, nei quali regnava sul Karaz Angainor con potere supremo. Forse pensò addirittura al giorno della sua sconfitta, quando i Nani credettero di averlo ucciso. Se anche lo fece, non lo diede a vedere. Lentamente ma inesorabilmente, schiacciò ogni resistenza, e terminò la sua opera di distruzione.
Quando arrivarono le truppe Njemegen, con i mercenari in testa, Skalak stava finendo di divorare le provviste dell'armata ormai distrutta. Sprezzante, gettò verso di loro il corpo frantumato di Shigga Banemace, che aveva recuperato poco prima.
"Siete in ritardo, mortali."
Si erse sulle zampe posteriori e spiegò le ali, mettendo in ombra gran parte dell'armata Njemegen in uno sfoggio di impressionante magnificenza, e si alzò in volo. Alle sue spalle, le rovine dell'accampamento dei mercenari finivano di bruciare.
LA BATTAGLIA DI ZGARODA
Le staffette portavano parecchi messaggi, e tutti preoccupanti. Il Generale Crimean della Grande Armata di Storozhev li leggeva uno dopo l'altro mentre i suoi attendenti spostavano pedine sulla mappa della provincia di Zgaroda distesa sul grande tavolo. L'aria era ancora fredda, l'inverno che aveva duramente colpito la sua armata non era ancora mutato del tutto nella calda estate della Frontiera.
Due formazioni mercenarie erano entrate nella provincia, da ovest. Erano grosse. Un paio di migliaia di popolani avevano imbracciato armi arrivate da chissà dove e si erano uniti a loro. Marciavano verso la fortezza, dalle quali mura si udivano chiaramente squilli di tromba e il rombo di truppe in marcia.
Crimean non era uno sciocco, sapeva benissimo cosa stava per succedere: i mercenari e gli insorti avrebbero attaccato la sua armata, e le truppe della fortezza avrebbero effettuato una sortita cercando di prenderlo in mezzo. Sapeva altrettanto bene cosa c'era da fare. Quando il legittimo Zar gli aveva dato il comando, era stato dubbioso: lui era specializzato nella difesa; sapeva come schierare le artiglierie in modo da coprire il campo, quali fortificazioni erigere, quali ostacoli naturali sfruttare per massimizzare le sue possibilità. Assaltare una fortezza non gli era congeniale, ma a quanto pare il nemico lo aveva tolto d'impaccio.
Una folla di portaordini iniziò a partire dal quartier generale; l'armata Storozhevoy usciva dal campo fortificato e si rischierava qualche miglio verso ovest, su un piccolo rialzo costellato di boschetti. Un paio d'ore dopo le truppe dell'usurpatore Vladimir uscivano come previsto dalla fortezza, mentre all'orizzonte apparivano le truppe mercenarie.
Visto fallire il tentativo di manovra a tenaglia, le truppe nemiche si riunirono in un'unica formazione compatta, con i mercenari sulle ali, e si diressero verso l'armata Storozhevoy. Crimean era ormai pronto ad accogliere l'usurpatore. Aveva 6000 cavalieri, equamente ripartiti fra veloci Ussari e i nuovi Cavalieri di San Jurij; più di 7000 tiratori, dei quali la metà erano i superbi Strelky; più di 3000 Granatieri; quasi 5000 Picchieri; quasi 3000 fanti leggeri e, infine, 150 possenti Cannoni dello Zar.
Il nemico schierava circa 9000 miliziani, 5000 paesani armati di archibugi, un paio di migliaia di Fucilieri, 2000 Strelky traditori, 2000 Granatieri, 2000 Ussari, 4000 fanti armati alla leggera, e i 1000 Cavalieri di San Jurij che formavano la guardia personale di Vladimir. Le sue forze formavano il centro dello schieramento nemico; l'ala destra era occupata dalle Solide Lance, 5000 cavalieri ben addestrati; all'estremo opposto dell'armata stazionavano le truppe mercenarie del Capro Nero, feroci ma infide.
Crimean ricevette la resa dell'usurpatore con fredda cortesia: il giovane arrogante aveva causato decine di migliaia di morti alla sua patria, e se anche lo Zar l'avesse mai perdonato, lui non l'avrebbe mai fatto. Spedì l'usurpatore verso la capitale estiva con un grosso distaccamento di Ussari, e spedì due messaggeri alla Fortezza di Zgaroda con la richiesta di resa. Poche ore più tardi, entrava nella Fortezza e vi trasferiva il suo quartier generale. La ribellione di Vladimir era conclusa.
Era arrivata la bella stagione, si, ma era ancora agli inizi. L'inverno stentava a ritirarsi, e la mattina era ancora fredda, nell'accampamento dell'armata di Shigga Banemace. I corni suonavano l'adunata, i soldati e gli attendenti degli ufficiali radunavano armi, armature e bagagli e iniziavano a stiparli sopra i carri.
Shigga Banemace, già in tenuta da marcia, con l'ascia e la pistola al fianco, osservava il campo da un piccolo rilievo. Come sempre i suoi Nani erano i primi a completare i preparativi. La marmaglia orleasiana e i Nani delle caste basse erano più lenti, ma ormai c'era abituata. La sua armata era un'accozzaglia informe, ma grazie al suo talento organizzativo e all'addestramento col tempo era diventata una forza con la quale fare i conti.
E lei stava per portarla in guerra, a sud. Il Grande Tengri era un osso duro, con i suoi cavalieri e arcieri, ma Shigga aveva un piano.
Stava rimuginando su di esso, quando sentì il ruggito.
Si guardò intorno, sconcertata. Leoni? Lupiù Orsi? Nel bel mezzo di un accampamento militare?
Era stato forte, ma aveva la sensazione che fosse arrivato da lontanissimo. E da sopra.
Scrutò il cielo, confusa.
No, era impossibile. Impossibile.
Se lo stava ancora ripetendo, quando vide Skalak il Terribile, il Flagello dei Nani, l'Antico Dragone Rosso delle leggende, tuffarsi attraverso le nuvole basse, ruggendo con la voce della più possente creatura di Ardania, e avventarsi sull'accampamento.
I soldati là sotto si voltarono verso l'ombra discesa dal cielo. Dopo, morirono.
Skalak atterrò direttamente al centro della tendopoli, schiacciando decine di tende, carri, cavalli e soldati sotto il suo peso immane. Grande come un campo di Bloodbowl, escluse la coda e le ali, coperto di scaglie rosso cupo, ruggì di nuovo e iniziò a soffiare fiamme su ogni cosa.
Terrorizzata, agghiacciata dalla visione dell'antico nemico della sua razza, dato per morto e poi risorto, e adesso lì, proprio davanti a lei, Shigga lo guardò mentre faceva a pezzi i suoi uomini, le sue donne guerriere. Inarrestabile, invincibile, implacabile. Quasi tutti i soldati fuggivano, o almeno cercavano di farlo. Skalak torreggiava su ogni cosa, sembrava essere ovunque, pronto a calpestare, bruciare, squarciare o frantumare con le zanne i più lenti. Non era una battaglia: era un massacro. Qualsiasi forma di disciplina era svanita, cancellata dal terrore che irradiava dalla bestia con la stessa intensità del calore che si sprigionava dalle sue fauci.
Di fronte allo scempio della sua armata, di fronte alla fine di tutti i suoi sogni, di fronte alla sua stessa, inevitabile fine, Shigga Banemace pianse. E tolse la sicura alla pistola.
Urlando piena di rabbia, di ancestrale paura e furore, scavalcando i corpi dei suoi soldati e le rovine del suo accampamento, caricò l'immane drago da sola. Fu vicino ad esso, fu sotto di esso. Celata alla vista del mostro dal suo stesso mastodontico corpo, Shigga Banemace sparò con la pistola e colpì con l'ascia. Sparò, ricaricò e colpì per quella che le parve un'eternità, sfogando tutta la sua rabbia, la sua paura e la sua disperazione in quell'inutile atto di sfida ad un essere troppo, troppo potente per essere sconfitto da lei.
Skalak ne fu dapprima profondamente sorpreso, poi sprezzantemente irritato. Con un'agilità insospettabile per un essere della sua mole, sbatté le immense ali e si erse sulle zampe posteriori. Messo a nudo l'invisibile guerriero, non si dette neanche la pena di usare il suo soffio di fuoco contro di esso: lo ghermì con una delle sue zampe anteriori e lo scagliò lontano.
Il gesto disperato di Shigga ispirò quel che restava dei suoi compagni Nani. Nuclei di fanti pesanti e fucilieri si riorganizzarono ed attaccarono Skalak. Troppo pochi e divisi per sperare di cacciarlo, ma nessun Nano, dopo il sacrificio del loro comandante, avrebbe mai pensato di fuggire ancora. Urlando maledizioni o cantando gli antichi inni di battaglia del Karaz Angainor, andarono incontro alla morte.
Skalak si trovò assediato da ogni parte, la sua corazza venne intaccata, i suoi artigli scheggiati. Non si fermò, non fuggì, era ben consapevole di poterli sconfiggere senza troppo affanno, ma fu sicuramente sorpreso dalla tenacia di quei piccoletti. Forse la sua mente tornò ai vecchi tempi, nei quali regnava sul Karaz Angainor con potere supremo. Forse pensò addirittura al giorno della sua sconfitta, quando i Nani credettero di averlo ucciso. Se anche lo fece, non lo diede a vedere. Lentamente ma inesorabilmente, schiacciò ogni resistenza, e terminò la sua opera di distruzione.
Quando arrivarono le truppe Njemegen, con i mercenari in testa, Skalak stava finendo di divorare le provviste dell'armata ormai distrutta. Sprezzante, gettò verso di loro il corpo frantumato di Shigga Banemace, che aveva recuperato poco prima.
"Siete in ritardo, mortali."
Si erse sulle zampe posteriori e spiegò le ali, mettendo in ombra gran parte dell'armata Njemegen in uno sfoggio di impressionante magnificenza, e si alzò in volo. Alle sue spalle, le rovine dell'accampamento dei mercenari finivano di bruciare.
LA BATTAGLIA DI ZGARODA
Le staffette portavano parecchi messaggi, e tutti preoccupanti. Il Generale Crimean della Grande Armata di Storozhev li leggeva uno dopo l'altro mentre i suoi attendenti spostavano pedine sulla mappa della provincia di Zgaroda distesa sul grande tavolo. L'aria era ancora fredda, l'inverno che aveva duramente colpito la sua armata non era ancora mutato del tutto nella calda estate della Frontiera.
Due formazioni mercenarie erano entrate nella provincia, da ovest. Erano grosse. Un paio di migliaia di popolani avevano imbracciato armi arrivate da chissà dove e si erano uniti a loro. Marciavano verso la fortezza, dalle quali mura si udivano chiaramente squilli di tromba e il rombo di truppe in marcia.
Crimean non era uno sciocco, sapeva benissimo cosa stava per succedere: i mercenari e gli insorti avrebbero attaccato la sua armata, e le truppe della fortezza avrebbero effettuato una sortita cercando di prenderlo in mezzo. Sapeva altrettanto bene cosa c'era da fare. Quando il legittimo Zar gli aveva dato il comando, era stato dubbioso: lui era specializzato nella difesa; sapeva come schierare le artiglierie in modo da coprire il campo, quali fortificazioni erigere, quali ostacoli naturali sfruttare per massimizzare le sue possibilità. Assaltare una fortezza non gli era congeniale, ma a quanto pare il nemico lo aveva tolto d'impaccio.
Una folla di portaordini iniziò a partire dal quartier generale; l'armata Storozhevoy usciva dal campo fortificato e si rischierava qualche miglio verso ovest, su un piccolo rialzo costellato di boschetti. Un paio d'ore dopo le truppe dell'usurpatore Vladimir uscivano come previsto dalla fortezza, mentre all'orizzonte apparivano le truppe mercenarie.
Visto fallire il tentativo di manovra a tenaglia, le truppe nemiche si riunirono in un'unica formazione compatta, con i mercenari sulle ali, e si diressero verso l'armata Storozhevoy. Crimean era ormai pronto ad accogliere l'usurpatore. Aveva 6000 cavalieri, equamente ripartiti fra veloci Ussari e i nuovi Cavalieri di San Jurij; più di 7000 tiratori, dei quali la metà erano i superbi Strelky; più di 3000 Granatieri; quasi 5000 Picchieri; quasi 3000 fanti leggeri e, infine, 150 possenti Cannoni dello Zar.
Il nemico schierava circa 9000 miliziani, 5000 paesani armati di archibugi, un paio di migliaia di Fucilieri, 2000 Strelky traditori, 2000 Granatieri, 2000 Ussari, 4000 fanti armati alla leggera, e i 1000 Cavalieri di San Jurij che formavano la guardia personale di Vladimir. Le sue forze formavano il centro dello schieramento nemico; l'ala destra era occupata dalle Solide Lance, 5000 cavalieri ben addestrati; all'estremo opposto dell'armata stazionavano le truppe mercenarie del Capro Nero, feroci ma infide.
L'armata ribelle avanza compatta: Vladimir sa benissimo che restare troppo a lungo sotto il martellamento delle artiglierie Storozhevoy condannerebbe la sua armata alla disfatta. Il fango del disgelo insozza gli stivali delle sue truppe e le zampe dei cavalli mentre attraversano la terra di nessuno fra le due armate. Rombi di tuono e sbuffi di fumo dalle file Storozhevoy precedono l'arrivo delle palle di cannone; gli artiglieri dello Zar si rivelano bene addestrati: sotto un bombardamento incessante quanto preciso cadono centinaia e centinaia di Fucilieri. Le sue unità sono decimate, sbrindellate, i superstiti rompono le righe e fuggono nelle retrovie. Si inizia male.
E si continua peggio: un mago lealista invoca le durezze dell'inverno storozhevoy contro gli Ussari delle Solide Lance, sull'ala sinistra. I cavalli e i cavalieri mercenari sono investiti da una bufera di neve improvvisa e gelida, e non si accorgono della carica di 3000 Ussari lealisti fino a quando non è troppo tardi. I cavalieri delle Solide Lance sono decimati e dispersi, solo 300 lealisti cadono.
Finalmente, gli Strelky ribelli arrivano a gittata di tiro dei Granatieri lealisti, ma la loro salva di fucileria è deludente: solo 616 Granatieri cadono sotto la raffica di pallottole. Lì vicino, invece, 300 pulciosi Archibugieri Storozhevoy abbattono quasi altrettanti Granatieri ribelli in uno sfoggio di impensabile abilità, prima di ritirarsi dietro le linee dei Picchieri. Vladimir sospetta che tale potenza derivi più dalle migliori munizioni a disposizione piuttosto che dall'abilità dei tiratori.
A destra, 5000 Archibugieri di Vladimir affrontano 3300 Fucilieri lealisti. Il fumo avvolge entrambe le formazioni mentre si scambiano una salva di fucileria dopo l'altra, a ritmo serrato. Spronati dai loro comandanti, i tiratori sparano, arretrano, ricaricano e tornano a sparare. A centinaia si abbattono al suolo urlando dopo ogni raffica, venendo sostituiti da altri soldati. Dopo quasi 10 minuti di fuoco di fila, entrambe le formazioni vanno in rotta! Restano a terra 2466 Fucilieri e 3720 Archibugieri.
Durante questo furioso scambio di fucileria, la Cavalleria Leggera delle Solide Lance, sull'ala destra ribelle, carica i vittoriosi Ussari Storozhevoy. La distanza fra le due formazioni è breve, e gli Ussari non riescono a sparare con le loro pistole prima che il nemico gli sia addosso. Le lance dei mercenari abbattono 1450 Ussari, mentre sotto i colpi delle sciabole di questi ultimi cadono 545 cavalieri. Nonostante la dura sconfitta, gli Ussari non cedono al panico.
Al centro, i Granatieri di Crimean caricano gli Strelky di Vladimir. I lunghi fucili di questi ultimi falciano 800 Granatieri prima dell'impatto, ma nella successiva mischia e dopo il conseguente lancio di granate, gli Strelky sono messi in rotta, lasciando al suolo 1800 soldati, contro un totale di 1200 perdite per le truppe Storozhevoy, che proseguono la carica impattando sulla Fanteria Leggera retrostante.
Sullo scaglione sinistro dell'armata ribelle, 2000 Granatieri caricano 1000 Picchieri Storozhevoy. Il fitto lancio di granate scompagina lo schieramento dei picchieri, che viene poi frantumato dalla carica alla sciabola. I soldati lealisti vengono messi in fuga; restano impalati sulle lunghe picche solo 260 Granatieri mercenari. Lo scaglione destro dell'armata di Crimean cede: i 300 archibugieri esposti dalla rotta dei Picchieri si danno alla fuga precipitosa, mentre tutto lo scaglione sinistro ribelle si riversa nell'apertura creatasi fra il centro e l'ala destra Storozhevoy.
Ma è una trappola: Crimean lascia che i nemici affollino il varco, poi ordina a tutte le sue batterie di ruotare gli affusti e prendere le truppe nemiche nel fuoco incrociato. E' un massacro: i Granatieri che aprivano la strada si prendono praticamente in faccia la prima salva, e i 5000 Miliziani che li seguono si beccano tutte le successive. Quando il fumo si dirada, l'avanzata dei ribelli è stata fermata, e i pochi superstiti delle due formazioni investite dalle cannonate sono in fuga.
Mentre i cannoni tuonano, le truppe del Capro Nero, all'estrema sinistra dello schieramento ribelle, entrano finalmente in battaglia. I suoi 1000 Fanti Pesanti tentano di sfondare i 1500 Picchieri che proteggono l'ala destra lealista, ma nonostante i loro sforzi non riescono a sfondare.
Sull'ala sinistra la fanteria leggera Storozhevoy avanza e rileva gli Ussari dal difficile combattimento nel quale rischiavano di venire impantanati. I cavalieri leggeri delle Solide Lance non si fanno sgomentare e chiudono il confronto con un pareggio 650 a 650.
I Cavalieri di San Jurij ribelli cercano di avventarsi sui 100 cannoni dello Zar che finora hanno fatto il bello e il cattivo tempo sul campo di battaglia, ma questi sono protetti da ben 2000 Picchieri schierati a quadrato. Né le salve delle lance-fucile né la tumultuosa carica all'arma bianca sloggiano gli stolidi picchieri lealisti dalle loro posizioni: cadono in 600, ma al suolo rimangono anche 248 orgogliosi cavalieri, ognuno trasformato in un puntaspilli dalle picche Storozhevoy.
Ciò che resta dello scaglione sinistro ribelle (4000 Miliziani e 2000 Ussari) tenta nuovamente di sfruttare il varco nelle linee Storozhevoy per accerchiare e distruggere l'ala destra lealista, ma deve fare i conti con i "nuovi" Cavalieri di San Jurij. Spronati dal "perdono" del loro legittimo zar, si avventano contro i Miliziani come una valanga di ferro e carne, calpestandoli, annientandoli e mandandoli in fuga. I 2000 Ussari ribelli evitano la carica e volteggiano intorno ai pesanti cavalieri lealisti facendo ben 700 morti, ma rinunciando definitivamente alla manovra di aggiramento ai danni delle artiglierie Storozhevoy sull'ala destra.
Vladimir tenta le sue ultime carte: la fanteria leggera al centro, forte di 4000 soldati, si avventa sui 1400 Granatieri lealisti superstiti. La carica, però, si schianta contro una resistenza tenace e impavida, e alla fine dello scontro restano a terra circa 1000 fanti leggeri e 550 lealisti. I Granatieri arretrano in buon ordine dietro circa 3500 Strelky, che puntano minacciosamente i loro fucili sui ribelli. Con Vladimir ancora impegnato contro i Picchieri e le truppe del Capro Nero che fronteggiavano le artiglierie Storozhevoy, il comandante del reggimento di fanteria leggera dei ribelli decise di arrendersi prima che i fucili degli Strekly lealisti facessero a pezzi la sua unità.
E' il culmine della battaglia. Sull'ala sinistra le Solide Lance ritirano i propri cavalleggeri e tentano una carica risolutiva di 1000 Cavalieri Pesanti contro i 2150 Fanti Leggeri Storozhevoy. Nonostante l'impeto dei mercenari e le pesanti perdite inflitte, le truppe lealiste tengono la posizione. Marcel Duchamp, detto il Cavaliere dei Laghi, decide che ne ha avute abbastanza: Vladimir è ormai sconfitto e le sue Solide Lance non possono fare niente per ribaltare la situazione. I cavalieri mercenari superstiti si ritirano dal campo sotto lo sguardo furioso di Vladimir.
Dalla parte opposta del campo il Capro Nero vede i cannoni Storozhevoy puntare le sue truppe. Con il resto dell'armata allo sbando, Vladimir impantanato contro i Picchieri nemici, e 2800 Cavalieri di San Jurij pronti ad abbattersi sulle sue truppe una volta "ammorbidite" dalle artiglierie, c'era poco da fare. Mandò i suoi alfieri a sventolare bandiera bianca sotto il naso di tutti i reggimenti Storozhevoy possibili.
Al centro, isolato e abbandonato da tutti i suoi soldati eccetto dai cavalieri della sua guardia personale, Vladimir vide il crollo di tutti i suoi sogni e tutte le sue ambizioni. Prostrato, chinò il capo e comandò la resa ai suoi fedelissimi. Mentre i lealisti disarmavano i suoi uomini, Vladimir scese da cavallo, gettò a terra l'armatura e le armi, e attese di venire portato al cospetto del Generale Crimean.
E si continua peggio: un mago lealista invoca le durezze dell'inverno storozhevoy contro gli Ussari delle Solide Lance, sull'ala sinistra. I cavalli e i cavalieri mercenari sono investiti da una bufera di neve improvvisa e gelida, e non si accorgono della carica di 3000 Ussari lealisti fino a quando non è troppo tardi. I cavalieri delle Solide Lance sono decimati e dispersi, solo 300 lealisti cadono.
Finalmente, gli Strelky ribelli arrivano a gittata di tiro dei Granatieri lealisti, ma la loro salva di fucileria è deludente: solo 616 Granatieri cadono sotto la raffica di pallottole. Lì vicino, invece, 300 pulciosi Archibugieri Storozhevoy abbattono quasi altrettanti Granatieri ribelli in uno sfoggio di impensabile abilità, prima di ritirarsi dietro le linee dei Picchieri. Vladimir sospetta che tale potenza derivi più dalle migliori munizioni a disposizione piuttosto che dall'abilità dei tiratori.
A destra, 5000 Archibugieri di Vladimir affrontano 3300 Fucilieri lealisti. Il fumo avvolge entrambe le formazioni mentre si scambiano una salva di fucileria dopo l'altra, a ritmo serrato. Spronati dai loro comandanti, i tiratori sparano, arretrano, ricaricano e tornano a sparare. A centinaia si abbattono al suolo urlando dopo ogni raffica, venendo sostituiti da altri soldati. Dopo quasi 10 minuti di fuoco di fila, entrambe le formazioni vanno in rotta! Restano a terra 2466 Fucilieri e 3720 Archibugieri.
Durante questo furioso scambio di fucileria, la Cavalleria Leggera delle Solide Lance, sull'ala destra ribelle, carica i vittoriosi Ussari Storozhevoy. La distanza fra le due formazioni è breve, e gli Ussari non riescono a sparare con le loro pistole prima che il nemico gli sia addosso. Le lance dei mercenari abbattono 1450 Ussari, mentre sotto i colpi delle sciabole di questi ultimi cadono 545 cavalieri. Nonostante la dura sconfitta, gli Ussari non cedono al panico.
Al centro, i Granatieri di Crimean caricano gli Strelky di Vladimir. I lunghi fucili di questi ultimi falciano 800 Granatieri prima dell'impatto, ma nella successiva mischia e dopo il conseguente lancio di granate, gli Strelky sono messi in rotta, lasciando al suolo 1800 soldati, contro un totale di 1200 perdite per le truppe Storozhevoy, che proseguono la carica impattando sulla Fanteria Leggera retrostante.
Sullo scaglione sinistro dell'armata ribelle, 2000 Granatieri caricano 1000 Picchieri Storozhevoy. Il fitto lancio di granate scompagina lo schieramento dei picchieri, che viene poi frantumato dalla carica alla sciabola. I soldati lealisti vengono messi in fuga; restano impalati sulle lunghe picche solo 260 Granatieri mercenari. Lo scaglione destro dell'armata di Crimean cede: i 300 archibugieri esposti dalla rotta dei Picchieri si danno alla fuga precipitosa, mentre tutto lo scaglione sinistro ribelle si riversa nell'apertura creatasi fra il centro e l'ala destra Storozhevoy.
Ma è una trappola: Crimean lascia che i nemici affollino il varco, poi ordina a tutte le sue batterie di ruotare gli affusti e prendere le truppe nemiche nel fuoco incrociato. E' un massacro: i Granatieri che aprivano la strada si prendono praticamente in faccia la prima salva, e i 5000 Miliziani che li seguono si beccano tutte le successive. Quando il fumo si dirada, l'avanzata dei ribelli è stata fermata, e i pochi superstiti delle due formazioni investite dalle cannonate sono in fuga.
Mentre i cannoni tuonano, le truppe del Capro Nero, all'estrema sinistra dello schieramento ribelle, entrano finalmente in battaglia. I suoi 1000 Fanti Pesanti tentano di sfondare i 1500 Picchieri che proteggono l'ala destra lealista, ma nonostante i loro sforzi non riescono a sfondare.
Sull'ala sinistra la fanteria leggera Storozhevoy avanza e rileva gli Ussari dal difficile combattimento nel quale rischiavano di venire impantanati. I cavalieri leggeri delle Solide Lance non si fanno sgomentare e chiudono il confronto con un pareggio 650 a 650.
I Cavalieri di San Jurij ribelli cercano di avventarsi sui 100 cannoni dello Zar che finora hanno fatto il bello e il cattivo tempo sul campo di battaglia, ma questi sono protetti da ben 2000 Picchieri schierati a quadrato. Né le salve delle lance-fucile né la tumultuosa carica all'arma bianca sloggiano gli stolidi picchieri lealisti dalle loro posizioni: cadono in 600, ma al suolo rimangono anche 248 orgogliosi cavalieri, ognuno trasformato in un puntaspilli dalle picche Storozhevoy.
Ciò che resta dello scaglione sinistro ribelle (4000 Miliziani e 2000 Ussari) tenta nuovamente di sfruttare il varco nelle linee Storozhevoy per accerchiare e distruggere l'ala destra lealista, ma deve fare i conti con i "nuovi" Cavalieri di San Jurij. Spronati dal "perdono" del loro legittimo zar, si avventano contro i Miliziani come una valanga di ferro e carne, calpestandoli, annientandoli e mandandoli in fuga. I 2000 Ussari ribelli evitano la carica e volteggiano intorno ai pesanti cavalieri lealisti facendo ben 700 morti, ma rinunciando definitivamente alla manovra di aggiramento ai danni delle artiglierie Storozhevoy sull'ala destra.
Vladimir tenta le sue ultime carte: la fanteria leggera al centro, forte di 4000 soldati, si avventa sui 1400 Granatieri lealisti superstiti. La carica, però, si schianta contro una resistenza tenace e impavida, e alla fine dello scontro restano a terra circa 1000 fanti leggeri e 550 lealisti. I Granatieri arretrano in buon ordine dietro circa 3500 Strelky, che puntano minacciosamente i loro fucili sui ribelli. Con Vladimir ancora impegnato contro i Picchieri e le truppe del Capro Nero che fronteggiavano le artiglierie Storozhevoy, il comandante del reggimento di fanteria leggera dei ribelli decise di arrendersi prima che i fucili degli Strekly lealisti facessero a pezzi la sua unità.
E' il culmine della battaglia. Sull'ala sinistra le Solide Lance ritirano i propri cavalleggeri e tentano una carica risolutiva di 1000 Cavalieri Pesanti contro i 2150 Fanti Leggeri Storozhevoy. Nonostante l'impeto dei mercenari e le pesanti perdite inflitte, le truppe lealiste tengono la posizione. Marcel Duchamp, detto il Cavaliere dei Laghi, decide che ne ha avute abbastanza: Vladimir è ormai sconfitto e le sue Solide Lance non possono fare niente per ribaltare la situazione. I cavalieri mercenari superstiti si ritirano dal campo sotto lo sguardo furioso di Vladimir.
Dalla parte opposta del campo il Capro Nero vede i cannoni Storozhevoy puntare le sue truppe. Con il resto dell'armata allo sbando, Vladimir impantanato contro i Picchieri nemici, e 2800 Cavalieri di San Jurij pronti ad abbattersi sulle sue truppe una volta "ammorbidite" dalle artiglierie, c'era poco da fare. Mandò i suoi alfieri a sventolare bandiera bianca sotto il naso di tutti i reggimenti Storozhevoy possibili.
Al centro, isolato e abbandonato da tutti i suoi soldati eccetto dai cavalieri della sua guardia personale, Vladimir vide il crollo di tutti i suoi sogni e tutte le sue ambizioni. Prostrato, chinò il capo e comandò la resa ai suoi fedelissimi. Mentre i lealisti disarmavano i suoi uomini, Vladimir scese da cavallo, gettò a terra l'armatura e le armi, e attese di venire portato al cospetto del Generale Crimean.
Crimean ricevette la resa dell'usurpatore con fredda cortesia: il giovane arrogante aveva causato decine di migliaia di morti alla sua patria, e se anche lo Zar l'avesse mai perdonato, lui non l'avrebbe mai fatto. Spedì l'usurpatore verso la capitale estiva con un grosso distaccamento di Ussari, e spedì due messaggeri alla Fortezza di Zgaroda con la richiesta di resa. Poche ore più tardi, entrava nella Fortezza e vi trasferiva il suo quartier generale. La ribellione di Vladimir era conclusa.