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La guerra in Siria è ormai una continua altalena. Quando qualcuno dichiara che a breve una delle due parti trionferà sul nemico si ha un capovolgimento dello scenario. E' chiaro ormai che il paese va ricostruito dalle fondamenta e che solo un accordo politico può riportare alla stabilità.
Grazie alle pressioni dell'Iran e dell'Arabia si giunge finalmente ad un timido accordo tra le parti. Il governo di Damasco si dimette in blocco e lascia spazio al trionfale ritorno di Hassan Faris, che da inetto presidente deposto diventa la speranza per la pacificazione. Questi si circonda di uomini di fiducia comprovata occupandosi prima di tutto di stabilizzare la sua posizione. Dopodiché annuncia che sederà al tavolo delle trattative con tutti quei gruppi che rispetteranno il cessate il fuoco.
I combattimenti per lo più continuano su scala locale ma sono relativamente contenuti. Non è ben chiaro, però, se c'è veramente un margine di dialogo tra le parti dopo così tanti anni di lotte durissime.
Nella Rovaja un referendum popolare dichiara l'unione della regione siriana con il neo-indipendente Kurdistan.
Dopo la stanchezza mostrata dal Movimento del Popolo nella gestione di Bandar Abbas inizia una fase di rinnovamento del partito d'opposizione. Questo avvia una campagna propagandistica molto attenta a non suscitare l'ira della Guardia e della Guida Suprema. Riesce velocemente a passare dal 19% al 35% nei principali sondaggi. All'attuale trend diverrà il primo partito alle prossime elezioni il che significa un'incognita notevole poiché non è chiara la posizione politica su molti temi. Il leitmotiv è il contrasto alla vecchia classe politica.
In seguito alla dichiarazione d'indipendenza avvenuta lo scorso anno la repubblica del Kurdistan incorpora la Rojava. L'esercito curdo ormai raggiunge i quasi 50.000 uomini armati ma è completamente circondato da nazioni ostili. Il governo di Erbil cerca, così, il riconoscimento internazionale quale stato sovrano. I governi secessionisti di Abcasia, Ossezia e Transnistria comunicano un'immediato riconoscimento della nuova entità governativa.
Di altro impatto è, però, il riconoscimento da parte dell'Azerbaigian, d'Israele e dell'Egitto che giudicano il referendum come valida espressione del popolo curdo.