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True detective, seconda stagione: i Top e i Flop della serie HBO
Alessandro Buttitta, L'Huffington Post
Se ne sono dette tante di "True Detective" nel corso delle sue otto puntate. Dalla considerazione più che legittima che questa seconda stagione non sia stata all’altezza del primo ciclo di episodi alla difficile interpretazione di una trama assolutamente complicata e intricata, passando per i tantissimi personaggi buttati nella mischia, le critiche al nuovo corso della serie rivelazione dello scorso anno sono state parecchie e, in certi casi, anche feroci. Tuttavia, nonostante alcuni difetti, la serie targata HBO ha mantenuto un alto livello, dimostrando un certo coraggio nell’alzare sempre di più la posta in gioco, nel chiedere profondità e sfumature a due attori come Colin Farrell e Vince Vaughn, nell’insistere in una narrazione difficile che ha preteso dallo spettatore la massima attenzione.
Cosa resterà dunque del secondo capitolo di "True Detective", dei suoi personaggi senza speranza, della scrittura densa di Nic Pizzolatto, della sfrontatezza produttiva di un network come HBO? Abbiamo stilato una lista di top e flop, consapevoli della soggettività dei giudizi di merito qui presentati.
TOP
La caratterizzazione dei protagonisti:
Da più parti, a ragion veduta, si sottolinea come in questa stagione di "True Detective" sia mancata la storia, di certo non una variegata e disperata schiera di personaggi. Eccezion fatta per Paul Woodrugh, i cui silenzi stereotipati hanno evidenziato i limiti interpretativi di Taylor Kitsch, la serie ha poggiato su tre ottimi protagonisti: Colin Farrell, capace di restituire la sofferenza del suo Ray Velcoro; Vince Vaughn, sorprendente nell’evidenziare le ombre di Frank Semyon; Rachel McAdams, in grado di dare credibilità all’inossidabile detective Bezzerides.
Il tappeto musicale:
Su un aspetto questa seconda stagione di "True Detective" ha superato la prima. Si tratta della colonna sonora, costellata da brani ancora più memorabili della precedente annata. Basti pensare alla "Nevermind" di Leonard Cohen, che rende meravigliosi gli opening credits, o la struggente "The Only Thing Worth Fighting For" di Lera Lynn. Chi vuole perdersi nelle atmosfere della serie HBO apprezzerà sicuramente questa compilation.
La fotografia:
Chi guarda "True Detective" ha una certezza incrollabile: sa di assistere a un racconto complesso valorizzato oltremodo da immagini splendide. In questa seconda stagione, dominata da una narrazione cupa con una California più grigia che mai, la fotografia è stata di altissimo livello sia nelle scene di interni che esterne. Un esempio lampante lo si può trovare nei primi minuti della terza puntata.
FLOP
Il caso portante della serie:
Di come sia morto Ben Caspere già al quarto episodio non interessava più a nessuno. Lo stesso si può dire dei risvolti nel tempo della rapina di diamanti blu del 1992 o delle vie della corruzione nel comune di Vinci. Troppi eventi, troppi personaggi, troppi intrecci da seguire e comprendere in otto ore abbondanti di televisione. Pizzolatto avrebbe dovuto sfoltire, eliminare alcune situazioni, evitando così di ingolfare una storia di per sé molto complessa.
Le troppe aspettative:
L’eredità era pesante. Lo sapeva lo showrunner Pizzolatto, lo sapeva HBO, lo sapevano i nuovi attori. Fare meglio di Matthew McConaughey, che nel 2014 ha conquistato tutto quello che si poteva conquistare, e Woody Harrelson era quasi impossibile. La produzione di "True Detective" ha scelto la via più difficile rilanciando in grande stile le proprie ambizioni, cercando ma non trovando una storia che potesse mostrare le più disparate e disperate inclinazioni dell’uomo, vittima di se stesso e destinato al fallimento. Non ci è riuscita, ma apprezziamo lo sforzo. Il confronto col primo "True Detective", più completo e coerente nei suoi passaggi narrativi, è impietoso.
La pretenziosità di alcuni dialoghi:
Dei protagonisti ben caratterizzati abbiamo già tessuto le lodi. Tuttavia, a voler essere onesti, molti di loro hanno fatto vacillare più di un integralista di "True Detective" in alcuni casi. Pensiamo alle chiacchierate di Ray Velcoro con il figlio, divenuto infatti in pochissimo tempo un meme vivente anche qui in Italia, o agli scambi di vedute pieni di sottintesi tra Frank Semyon e la moglie Jordan. Non sempre puntare sulla forza evocativa delle parole premia.