STORIE DI FAVA E DI SPADA
[Il testo sembra essere una raccolta di dialoghi realmente avvenuti tra alcuni avventori di una presunta Hostaria del Tallero, situata chissà dove, ed un non ben identificato “Signor Smargiasso”, temibile masnadiero sopravvissuto alle sue stesse malefatte che, giunto alla vecchiaia, si guadagnava da vivere tenendo vere e proprie lezioni di pseudo-tattica militare, contornate da bizzarri comizi su come sopravvivere ad una vita vissuta come se non ci fosse un domani. Non si sa quanto ci sia di romanzato o quanto sia attendibile la realtà storica che viene presentata nel testo, ma è probabile che Signor Smargiasso, o quantomeno l’autore, abbia partecipato in prima persona ad alcune delle battaglie citate, o perlomeno ne abbia raccolto testimonianze dirette.
Attualmente conosciamo due dialoghi, ma è probabile che ne esistano degli altri. Data la natura “pedadogica” della raccolta, il commentatore che collezionò questi testi decise di dividerli per paragrafi, a seconda della “lezione” impartita.]
- DIALOGO “PSEUDOLO”, CONOSCIUTO ANCHE COME “STORIE DI FAVA E DI SPADA”
1-LE BASI DELLA VITA TOSTA: ABBORDAGGI DA OSTERIA
“E così tu vuoi essere un duro? Non sei il primo a volerci provare, ragazzo, e probabilmente non ci riuscirai. Ma siediti qui, anzi, prendimi un mestolo di stufato, ed ascoltami bene, perché cercherò di immetterti sulla strada buona. O quella cattiva, eheh.
Quando avevo la tua età, avevo già ucciso tre uomini, due di questi perché mi avevano soffiato due donne: mia madre e mia sorella. Mio padre era un figlio di puttana, e lo fui anche io. Morì molto giovane, in un posto che nessuno ha mai avuto il coraggio di dirmi. Quanti anni hai detto che hai, ragazzo?”.
“Ho sedici anni, e mi chiamo Pseudolo”.
“Bravo, Pseudolo. Proprio a sedici anni, capii che mia madre era una puttana. Lo capii perché frequentavo anche io quell’ambiente già da qualche anno, e mia madre si comportava esattamente come loro. Gente che si presentava a casa a qualunque ora, letti sfatti e rifatti parecchie volte al giorno, profumi di unguenti che te lo fanno rizzare senza tregua per parecchie ore. Mia madre si lavava tre volte al giorno, capisci? Quale altro idiota farebbe una cosa del genere, senza un tornaconto? A proposito, Pseudolo, sei mai stato con una puttana?”.
“No, signor Smargiasso. Sono vergine”.
“Sei ver…che gli dèi mi taglino le palle se non ti sputo in faccia entro stanotte! Non ci siamo, ragazzo: DEVI andare a puttane, il più presto possibile. Si imparano troppe cose. Soprattutto, imparerai a non fidarti delle donne, a capire quanto mentono, e questo è fondamentale per sopravvivere, perché le donne sono la rovina di ogni tipo tosto. E ogni tipo tosto sa che ogni donna è un po’ una puttana, ognuna ha il suo prezzo: la vedi quella ragazza là, Giovannona? Te la puoi comprare, anche senza soldi: dopo che avremo finito qui, va’ da lei, congratulati per l’ottimo stufato, chiedile come si chiama, dalle una mano a pulire i boccali, fatti raccontare cosa ha fatto oggi, cosa fa nella vita, a cosa aspira; dille che sei un figlio di un mercante di brillocchi, che le sue mani sono sprecate nell’Hostaria, e che è un peccato che si rovinino con la soda, quando potrebbe fare da modella per gli anelli; dille che stasera dormirai qui, da solo, dalle il numero della stanza, e vedrai che quando rincaserai, te la troverai già pronta e calda nel letto”.
“Giovannona? Ma pesa il doppio di me!”.
“Meglio, Pseudolo, meglio! Le ragazze grasse sono proprio ciò che serve ad un novellino come te! Se riesci a gestire una balena come quella, puoi gestire qualunque cosa! Come credi che sia diventato uno sciupafemmine, eh? Infilzando stecchini? In ogni caso, stai tranquillo: Giovannona è una tipa navigata, e sa quello che vuole da un uomo. Anzi, prendi appunti mentre farà e ti chiederà determinate cose, che non ti dirò, per non toglierti la sorpresa. C’è bisogno anche di questo, le cose che ti prendono di sorpresa ti rimarranno più impresse nella zucca. Ricordati però, quello che ti dirò alla fine del mio racconto, perché ti saranno importanti per la fuga”.
“La fuga?”.
“Dovrai scappare prima dell’alba, ragazzo…cosa vuoi fare, portartela a casa, presentarla a tuo padre? Magari sposartela? Dovrai dartela a gambe, figliolo, e non farti vedere qui per un po’. Non ti sarà facile sfuggire alle grinfie di quell’orsa, quindi ascoltami bene. Sarà un ottimo allenamento per te”.
“Ma io non voglio…va bene, Smargiasso, riprendi il racconto”.
2-SBARAZZARSI DI CADAVERI IMPREVISTI
“Bravo. Insomma, dopo un po’ di tempo, capii che mia madre si bombava le persone a casa nostra, per soldi. Povera donna, senza il marito per così tanti anni…insomma, univa l’utile al dilettevole. Cercai di sopportarlo per qualche mese, ma ad un tratto sbroccai. La goccia che fece tracimare il vaso fu una serata molto storta, in cui persi tutto ciò che avevo, e anche qualcosa che non avevo, al gioco dei dadi. Non ero arrabbiato per il denaro in sé (ricorda che un tipo tosto non ha mai delle monete con sé, spende tutto appena può), ma per il fatto che quella sera non avevo potuto permettermi il servizietto della buonanotte dall’unica vera professionista del porto. Non servì a nulla neanche picchiarla, anzi, dovetti darmela a gambe levate per evitare le busse dei magnaccia. Ricorda una cosa, Pseudolo: picchiare le donne non serve a niente, a meno che la donna stessa non lo voglia. E una donna lo vuole almeno in sei giorni su sette”.
“Comunque, non perdiamoci in altre piccolezze: tornai a casa, devastato da un liquore di pessima qualità, e da un umore ancora peggiore. Mi fiondai sulla branda, sperando di addormentarmi nel tempo di un batter di ciglia, ma c’erano dei rumori che mi turbavano. Sentivo questi schiocchi, seguiti da gemiti che non erano di piacere. Sapevo riconoscere i gemiti di piacere da quelli di dolore, o quelli finti. Dovresti impararlo anche tu, ma ne riparleremo quando sarai andato a puttane almeno tre o quattro volte. Poi, dipende anche dalla qualità del tuo attrezzo”.
“Fatto sta che, dopo il ventesimo gemito, scattai come un rospo e mi precipitai in camera di mia madre, per cercare di farli smettere. Al diavolo i soldi, era notte già da un pezzo, poteva bastare per quella giornata. Trovai mia madre legata come una scrofa il giorno della festa di Vernonia, con uno straccio in bocca zeppo di saliva. Un tipo smilzo, brutto come la morte, ma davvero pietoso, e nudo come un verme, le stava sulla groppa. A pensarci bene, un po’ ti somigliava. Aveva una daga ondulata in una mano, ed un cilicio nell’altra. L’aveva riempita di tagli e segni strani, aveva la schiena che sembrava lo stufato che sto mangiando or ora. C’era anche un forte puzzo di piscio, forse anche diarrea. Mi avventai sul tizio, senza pensarci due volte, e cominciai a tempestarlo di cazzotti. Ebbe solo il tempo di urlare “Lei non sa chi-“ prima che, con due ganci ben assestati, gli feci saltare tutti gli incisivi. Mia madre mugugnava qualcosa, ma non si capiva niente, a causa del cencio. Ecco un’altra lezione importante per te, ragazzo: chi mena per primo, mena due volte, e chi perde tempo a parlare non è pronto per replicare. Se senti che non c’è altra soluzione al di fuori delle busse, fa’ in modo di sorprendere l’avversario con una furia senza pari, e probabilmente ne uscirai quasi illeso. Alla fine, decisi di strangolarlo…Fanculo, non mi aveva fatto chiudere occhio, e qualche soldo in più dal suo borsello mi avrebbe fatto comodo. Solo allora liberai mia madre, che mi fece una ramanzina che ancora ricordo…Neanche in guerra ho avuto così tante botte in così poco tempo, te lo giuro”.
“Saltò fuori che il tipo era un alto prelato di un culto molto importante, di cui non farò il nome, perché temo che mi stiano ancora dando la caccia da allora. Era un tizio così importante e ricco che ogni luna nuova poteva permettersi di pagare profumatamente per farsi picchiare, cagare e pisciare addosso, o di fare altrettanto all’eventuale puttana, a seconda di come gli erano andate le cose a lavoro. Insomma, avevo fatto un guaio a cui non c’era rimedio”.
“Passai l’intera nottata a fare a pezzi il corpo. Lo ridussi in pezzi minuscoli, grandi al massimo come il tuo bicipite. Insomma, passavano all’interno di una serratura, volendo. La mattina dopo, mi feci il giro dei macellai della città: vendetti più della metà della carne, quella buona, ai bottegai, il resto lo sbolognai al mercato, a qualche poveraccio più disperato di me, per pochi spiccioli. Le parti invendibili, come le dita, gli occhi, il naso, finirono nello stomaco di alcuni botoli rognosi che bazzicavano il mio quartiere: per liberarmi della testa, aspettai la notte successiva: dopo averla prontamente sfigurata, riempii la bocca di sassi, la accartocciai in un fagotto, presi in prestito una barca a remi, e la gettai in mare a mezzo miglio dalla costa. Ecco qui risolto il problema. Sono stato chiaro, Pseudolo? Hai preso appunti mentali? Vuoi che te lo ridica più lentamente?”.
“No no, signor Smargiasso, è tutto…molto chiaro. Chiarissimo”.
3-SOPRAVVIVERE ALLE SCARAMUCCE
“Bravo, ragazzo. In ogni caso, lo schifoso, che di solito indossava collane e monili pesanti quanto il mio pugno che si abbatte sul tuo capoccione, non aveva con sé granché; forse, quando veniva da mia madre, preferiva non metterli in mostra, per evitare di essere riconosciuto. Ciononostante riuscimmo a racimolare un bel gruzzolo, tra i soldi che aveva con sé e la vendita di un paio d’anelli, degli arnesi che usava per picchiare le puttane, e tre o quattro denti d’oro che gli estrassi prima di gettarlo in mare. Feci la bella vita per un po’, prima che qualcuno cominciò ad accorgersi della sparizione del tipo, e a preoccuparsi più del dovuto. Fu allora che, dopo l’ennesima notte di bagordi, trovai le mie poche cose raccolte in un borsone, sull’uscio di casa, assieme a mia sorella. Fu essa stessa ad informarmi che dovevamo levare le tende dalla città, perché mi stavano cercando. Con i soldi residui e le sue buone conoscenze, la mamma ci aveva trovato un posto lontano, in un monastero situato in un luogo di culto. Dovevamo partire la notte stessa, c’era una nave che ci aspettava al porto. Da allora, non ho più visto mia madre”.
“Cosa c’entrava tua sorella col viaggio?”.
“Cosa c'è, pusillanime, vuoi ritrovarti con questo piatto infilato in bocca? Non parlare male di mia sorella. Mia sorella era una brava ragazza, lavorava come apprendista da una sarta. E si vedeva, di nascosto, con un tipo, un fallito che sapeva addirittura leggere, e studiava i libri, uno squattrinato peggio di me. E di te”.
“Potrà sembrarti strano, ma colsi al volo l’occasione di alzare i tacchi. Anche perché, nel giro di pochi giorni, mi ero fatto così tanti debiti, tra puttane e gioco, che se avessi davvero avuto quei soldi, avrei potuto acquistare il castello di Grulnach con tutti i cortigiani. Afferrai la mia roba e mia sorella, e mi incamminai guardingo verso il porto”.
“Fu allora che saltò fuori quel parassita. <<Non ti lascerò andare via con questo farabutto, Dulcinia! Pagherò con la mia stessa vita, se necessario, il prezzo del nostro abbandono…non posso più vivere senza di te, tesoro!>>. Disse una cosa del genere, presa da chissà quale stupido racconto per donnicciole, e sguainò una bella spada, che aveva forse preso da qualche residuato bellico che decorava la biblioteca dove lavorava. Io ero disarmato”.
“Non mi dirai che l’hai ammazzato a mani nude?”.
“Assolutamente no, infido marmocchio. Vuoi stare un po’ zitto? Ascoltami bene, perché sto per darti una bella lezione, anche se, ahimé, non nel senso più violento del termine. Quasi sicuramente t’immagini che guerre e scaramucce si combattono con armature scintillanti, armi affilate e martelli nuovi di zecca…non esiste cazzata maggiore! Ho ucciso la maggior parte della mia gente con utensili da lavoro, spade arrugginite, martelli senza manico, e pugnali spuntati, ed i miei avversari combattevano con le mie stesse armi. Prima di cominciare la schermaglia, tieni un occhio sul viso del tuo nemico, per capire se si tratta di uno che ci sa fare o di un disgraziato che se la sta facendo addosso più di te, ma soprattutto esamina bene l’arma con la quale potresti essere ucciso, e carpiscine velocemente i punti deboli: molto spesso conviene più puntare alla spada, che al petto del rivale. Chiaro no? Ordunque: notai subito che quel brando non vedeva il campo di battaglia da almeno trent’anni. La lama, mangiucchiata com’era, non avrebbe tagliato neanche il burro, mentre la punta era ancora temibile. La cosa più interessante da osservare, però, era il suo ondeggiare innaturale: più che ondulare, la lama tremava, segno che l’attacco all’elsa aveva bisogno di qualche colpo di martello, o di una sistematina alle giunture. Mi guardai subito attorno, approfittando dell’attimo di distrazione fornito da mia sorella, che tentava di dissuadere l’amato dal commettere simili pazzie: sulla banchina c’era qualche cassa vuota, una trave ed un secchio che puzzava di pesce, pieno di strani liquami. Afferrai il secchio, e mi lanciai a testa bassa contro l’imbecille: scostò mia sorella ed afferrò la spada con entrambe le mani, per fronteggiarmi. A pochi metri da lui, tentai di colpirlo con l’acqua sudicia del secchio, e riuscii a colpirlo in pieno viso! Accecato dalla disgustosa mistura, il verme cominciò a tirare fendenti a destra e a manca, nel tentativo di sbudellarmi: uno di questi mi colpì all’avambraccio sinistro, posto a protettore del torace; le mie previsioni sull’usura della lama si rivelarono esatte, dato che si limitò a causarmi una ferita superficiale. Ne approfittai per afferrare la lama con l’altra mano, e tirare, dando fondo a tutta la forza che avevo in corpo. Un paio di strattoni ambo i lati, ed il cretino si ritrovò con la sola elsa in pugno! Approfittai del corpo a corpo per pugnalare il bastardo con quello che avevo in mano: la punta, acuminata, lo trapassò. Scappai di corsa, lasciando il mangia libri alle urla di mia sorella. Entrambe le braccia sanguinavano, ma meglio le braccia che mezzo metro di intestino lasciato sul selciato, no? Ricorda anche questo, ragazzo: le braccia guariscono, le budella no. Alla fine, dunque, giunsi alla nave, e partii da solo”.
4-FARSI STRADA A COLPI DI PENNACCHIO
“Come hai fatto a curare le ferite? Gli altri della nave non ti han detto nulla?”.
“Ottima domanda, Pseudolo. Il capitano già sapeva con chi aveva a che fare, e preferì non chiedermi nulla, anche perché l’oro parlava per me. Per guarire le ferite, usai il metodo migliore che ogni uomo tosto conosce: l’alcool. Mi misi subito alla ricerca di un barile di liquore, e, una volta trovato, vi immersi entrambe le braccia. Urlai come se mi stessero strappando via la pelle con un cavatappi. Un po’ sulla ferita, un po’ in bocca, ed il viaggio durò il tempo di una sbronza”.
“Una volta giunti, mi scaricarono a pedate fuori, con un pezzo di carta da consegnare ad una signora del famoso monastero. Il problema maggiore consisteva nel fatto che io dovevo essere l’accompagnatore di una ragazza, mia sorella appunto, che doveva entrare nell’ordine: si trattava di un collegio di sacerdotesse vestali, ma non capii mai cosa dovessero fare. Insomma, volevano mettermi alla porta, ma puzzavo, avevo vistose cicatrici, barcollavo: pensavano che fossi malato, e mi accolsero all’interno per curarmi. Dopo qualche giorno, decisero di darmi una possibilità, e mi misero a lavorare assieme al contadino. Io, che al massimo avevo fatto crescere lividi sulla faccia della gente, mi ritrovai a far crescere erbacce ed ortaggi vari, che servivano alle maledette sorelle per chissà quale lavoro”.
“Beh, semplicemente li mangiavano, no?”.
“Hai mai visto qualcuno mangiare erba scura alta mezzo metro, o frutti spinosi, o bulbi neri, schifati persino dalle capre? No, Pseudolo, c’era qualcos’altro dietro. C’era una storia misteriosa, una prospettiva di ricchezza, ed il mio istinto da uomo duro non ha mai fallito, neanche a sedici anni. Altra perla che ti do, caro il mio porcellino smilzo: se senti odore di affari, buttati! Nessun uomo tosto si è mai tirato indietro…almeno, non senza averci provato”.
“Ti dico subito che il monastero pullulava di sacerdotesse che, secondo il loro culto, dovevano essere vergini, per mantenere lo spirito della divinità attivo. Già, proprio come te. Inutile dire che queste sgallettate zampettavano come cardellini non appena mi vedevano passare nell’orto, sia che mi limitassi a potare qualche ramo a caso, sia mentre i miei possenti bicipiti strappavano via le erbacce che soffocavano i misteriosi bulbi. fiutavano il profumo di virilità che contraddistingue il maschio tosto, che sono e fui, ma non mi interessavano le giovani virgulte: io volevo puntare alla Madre Superiora, che avevo di rado visto sfrecciare con superbia tra i portici del monastero. Lei sapeva sicuramente tutto ciò che mi serviva per cavar soldi da quell’anfratto pullulante di mestruo. Già sapevo come fare, cosa che tu sicuramente ignori: ed è qui che arriva la nuova lezione che il Signor Smargiasso ti dà in pasto. Ricorda: se vuoi una donna, non devi mai puntarla direttamente. Con le donne non funzionano gli approcci diretti, a meno che tu non sia certo che lei ti voglia, ma non è questo il caso. Devi girarle attorno, passando di tappa in tappa, di donna in donna, tra quelle che la circondano, fino ad avere abbastanza materiale e sicurezza da affondare il colpo. Avrai un solo colpo a disposizione, giovanotto, e non puoi permetterti di sbagliare: devi sapere come si muove il pesce grosso dello stagno, perché se si accorge dell’inghippo, non lo beccherai più. Insomma, cominciai dalla base, ed adescai le più giovani e facili ragazze. Ovviamente mi era proibito avvicinarmi alle sacerdotesse e parlare con loro, e quando io lavoravo, non doveva esserci nessuna nell’orto, ma si sa che un po’ tutti se ne fregano delle regole, specie quando c’è di mezzo il baffuto”.
“Il baffuto?”.
“La fava, Pseudolo. Dannazione, ma neanche le basi? Dove sei stato in tutto questo tempo, a casa ad accudire i cavalli? Ti ho già detto che le ragazze erano così su di giri, in quell’ambiente tutto femminile, che potevano sentire l’odore del mio pennello da venti metri, e bastava uno sguardo per farle sciogliere. Tutto troppo facile. Dopo un sano gioco di ammiccamenti e dimostrazioni di virilità, furono loro a venire da me. Anche due alla volta. Ma non credere che basti intingere il biscotto, ed aver risolto, ragazzino! Devi essere bravo, altrimenti la fringuella non si scioglie, e non può esserti utile. Ce la fai a stantuffare per almeno mezz’ora?”.
“Me-mezz’ora? Non lo so, Signor Smargiasso, sono vergine…”.
“Ah, già. Dimenticavo di avere a che fare con simile poltiglia. In ogni caso, ragazzo, fare l’amore è un po’ come muovere un burattino: devi prestare attenzione a tante cose contemporaneamente, e devi fare attenzione a come muovere i fili, perché, tirando un cavo, puoi muoverne un altro, e viceversa. Non devi dare il massimo, quasi mai, perché altrimenti ti bruci come una candela fatta di zolfo. Si tratta di dosare forza, attenzione, parole, sguardi, sino a creare un equilibrio. E devi anche cercare di capire cosa vogliono, perché quelle troie non te lo diranno mai chiaramente: devi percepire ogni singolo ammiccamento, spostamento di bacino, tentativo di tirarti su o buttarti giù, dato che lo fanno sempre con una maledetta delicatezza. Perché il tipo tosto è anche questo! Come diceva un mio amico, vola come una farfalla, colpisci come un calabrone, e vedrai che non topperai. Se le cose vanno bene, te ne accorgerai, perché torneranno per averne ancora. Devi essere l’uomo che non chiede mai, Pseudolo, non un fottuto ragazzino che si sfascia il manico nel buio della notte! È una maledetta relazione di dare e ricevere: in cambio di un po’ di piacere, facevo parlare queste civettine: e quando hai la testa nello zucchero, ed il culo farcito di sbobba, dici cose che non dovresti dire, e fai cose che non dovresti fare”.
5-LA SINDROME DELL’INFERMIERA
“Nel giro di un mese riuscii a fidelizzare cinque o sei gattine, e cominciai a chiedere informazioni sui frutti, sui rituali della dea, insomma, cose così. Non tutte parlarono. Eh sì, ragazzo, ci sono anche i fallimenti, nonostante le cose ti siano parse buone! Tu, di certo, ne sai più di me a riguardo. Ma non devi demordere, mai. Venni a sapere che i frutti del mio lavoro venivano benedetti e poi portati nelle cantine, non sapevano di più. Venni a sapere che il monastero si finanziava da solo, non riceveva soldi da superiori, che forse neanche esistevano. E venni a sapere che, ogni sette giorni, arrivavano dei tizi nerboruti che portavano via delle misteriose casse, di cui nessuno conosceva il contenuto. Era un buon inizio, ma era comunque troppo poco. Dovevo passare al livello successivo, ma dovevo anche sapere chi o cosa puntare. Cominciai, lentamente, a bazzicare nei pressi degli scantinati, nella speranza di carpire qualcosa. Riuscii a farmi assegnare quella zona dal vecchio per cui lavoravo, e lo facevo lentamente, di modo da accumulare giorni, ed eventuali possibilità. Finalmente, mi ritrovai davanti i tanto agognati nerboruti, che trafficavano con le altrettanto agognate casse. Alcuni grassi sacchetti, che tintinnavano come il salvadanaio del principe di Snafuz, pendevano dalle cinte di quattro sacerdotesse di mezza età, che dovevano essere le caporione della situazione. Fu in quell’istante che scattò il mio genio: ricordati, ragazzo, che essere tosto non vuol dire per forza essere inflessibile; anzi, alcune volte una sconfitta è necessaria per ottenere una vittoria maggiore. Devi essere malleabile come l’acqua, Pseudolo, e rapido come la scarlattina; rapido di cervello e di pugno, di cervello e di pugno! Non di pugnette, perdinci!”.
“Insomma, per farla breve, approfittai dell’arrivo di questi energumeni per fare un po’ di caciara. Casualmente urtai uno dei tipi con una pertica che usavo per far cadere le nocciole, invece di scusarmi inveii contro di lui. La cosa degenerò velocemente in una rissa. Nonostante fossi armato, i tipi arrivarono velocemente alla mia faccia, e mi gonfiarono come una vela col vento a favore. Ti sembrerà che io abbia fallito, giovane infingardo, e invece tutto era andato come avevo previsto: tra lo sconcerto delle sacerdotesse superiori, quei primati mi abbandonarono in una pozza di sangue e bava, blaterando che non avevano tempo da perdere con un ragazzino. Una di queste superiore mi venne in soccorso, e si prese cura di me. Clic! Avevo attivato il suo istinto materno, Pseudolo! Capisci? Questo funziona sempre con le tardone, specie le più pure di cuore: suscita in loro un po’ di pena, e nel giro di poco tempo ti troverai un’infermiera al tuo servizio. Mi prese subito in simpatia, e cominciò a prendersi cura di me; nel giro di un paio di settimane, dopo essermi rimesso in forze, le feci capire che finalmente ero in salute, MOLTO in salute, e non si può dire di no ad un pennacchio in salute come il mio, specie quando non ne vedi uno da vent’anni almeno. L’ospitaliera divenne amante, e ben presto mi inserii ancora di più nelle serrate maglie degli affari del monastero: seppi che i frutti e le erbacce che coltivavo, dopo alcuni rituali, venivano utilizzati per creare un forte liquore, che aveva degli effetti notevoli sui corpi di chi ne beveva. Il monastero vendeva a caro prezzo questi elisir, che venivano comprati da alcuni signori della guerra per aumentare la forza e la tenacia delle proprie truppe durante gli assedi. Roba tosta, insomma. Col tempo, riuscii anche a farmene portare alcuni assaggi, e ti giuro, rospetto mio, che bere quella roba è un po’ come succhiare il latte dalla tetta di Gratia Plena”.
“Capirai che non potevo andarmene da lì a bordo di una botte: sarebbe stato folle e, nel caso ci fossi riuscito, poco remunerativo. Avevo bisogno di qualcosa in più, ma la mia ancella non poteva aiutarmi ulteriormente: le Superiore svolgevano solo mansioni fisiche, ed aiutavano la principale nella messa del liquido nelle botti, ma non conoscevano né le dosi esatte, né la procedura corretta per realizzare questo portento. Addirittura, alcune superiore avevano provato a realizzare una loro mistura, basandosi su alcune piccole informazioni che erano riuscite a carpire, ma i risultati non furono soddisfacenti. Non mi restava che puntare al pesce grosso: ottenni alcune importanti informazioni dalla mia diletta che mi aiutarono a tracciare un quadro della situazione. La Madre era una donna sulla cinquantina, non brutta, ma arida come il deserto di Gonnlom, e fredda come un vecchio avvocato. E superba, tanto superba. Era inavvicinabile a tutte le sacerdotesse, persino le superiore trovavano difficoltà nel rintracciarla, quando non erano richieste le loro mansioni. Ma io non ero solo, nella mia battaglia. Potevo contare sull’aiuto di quasi tutto il monastero, ed avevo già un piano in mente”.
6-TRATTARE CON DONNE ARIDE
“Infimo Pseudolo, devi capire che quando devi trattare con questo tipo di donne, non c’è fava o pugno che tenga. Non puoi entrare in camera, spaccare tutto, e violentarla sulla scrivania, non servirebbe a nulla. In effetti, sarebbe un comportamento tosto, ma non sarebbe un comportamento remunerativo. Non puoi forzare un cambiamento di atteggiamento, deve essere una cosa che parte dall’interno della stessa persona…ci sono, però, dei metodi per forzare questo cambiamento. Dunque, dove non arriva la fava, né il pugno, arriva…la droga”.
“Durante una delle mie sortite col vecchio contadino mi procurai un potente anestetico per cavalli, ed un’altra brodaglia che serviva per indurre alla fertilità le capre. Tentai di creare un mix di queste droghe, che mi permettesse di sciogliere il cuore della vecchia. Feci alcuni esperimenti con le pulzelle che venivano a trovarmi di notte, per trovare la giusta combinazione…perdinci, per poco non ne ammazzai una! Dopo un paio di settimane, ottenuto un risultato soddisfacente, mi procurai, tramite la mia superiora preferita, informazioni dettagliate sui rituali necessari per la creazione dell’intruglio, quando, dove e come avvenivano; mi fu utilissimo sapere che la Madre, prima di benedire i frutti del raccolto, beveva da un calice benedetto del vinaccio che poi cospargeva su un altare, o una cosa del genere, ora non ricordo i dettagli, ma insomma, BEVEVA, e questo era ciò che mi serviva. Proposi ad una pulzella un rapporto bizzarro, pericolosissimo, all’interno della Sala del Rito, il luogo dove venivano custoditi il famigerato calice ed altri arnesi sacri utili alle cerimonie: il gusto del proibito le fece rizzare tutti i peli che aveva sotto l’ombelico, e quasi non ci vide più. Mi lasciò una finestra aperta, prima di andar via, per permettermi di intrufolarmi, di notte; giunsi qualche ora prima dell’appuntamento, e cosparsi il calice con l’unguento che avevo preparato. Poi, ovviamente, cosparsi di seme anche la vestale, ma questi sono particolari che dovrebbero sembrare ridondanti, data la tostezza del soggetto. Devi notare, caro il mio Pseudolo, che tutto ciò avvenne in estate.”.
“È importante?”.
“Certo che lo è, scarto di letto che non sei altro! L’estate è la stagione delle malefatte, perché fa caldo, e quando si ha caldo si lasciano le finestre aperte, almeno di giorno. La finestra è il miglior amico del tipo tosto, ragazzo: dove c’è una porta chiusa, c’è sempre una finestra aperta, se il periodo è quello giusto. Insomma, attesi che tutte le sacerdotesse furono riunite nella Sala per lo svolgimento del rituale, e ne approfittai per intrufolarmi nella camera della Madre. La camera si trovava a dieci metri d’altezza. Non fu facile, ma esiste un modo di guadagnare che lo sia? No, bamboccione bello. Insomma, scalai la torretta, sgattaiolai nell’antro, e cominciai a frugare in giro, con discrezione, rimettendo tutto come l’avevo esattamente trovato, per non dare nell’occhio, ma non trovai niente di interessante. Solo strani alambicchi, ed un mucchio di scartoffie”.
“Beh, non sapevi leggere, cosa volevi trovare?”.
“Pseudolo, sai leggere?”.
“…No”.
“E non imparare mai a farlo. I tipi tosti non sanno leggere. MAI. I libri ti rammolliscono”.
“Certo, Smargiasso”.
“Bravo. Insomma, dopo qualche minuto di ricerca infruttuosa, fatta eccezione per qualche moneta che intascai senza pensarci mezza volta, decisi di nascondermi sotto l’enorme letto, ed attendere l’arrivo della Madre. Passarono alcune ore, prima che la stessa aprì la porta. O meglio, furono due delle Superiore a farlo, dato che la vecchia non si reggeva in piedi. La sbatterono sul materasso, e se ne andarono bofonchiando qualcosa, anche perché la Madre le cacciò in malo modo, dicendo che voleva essere lasciata sola. Attesi che la signora cominciasse a russare, prima di agire. Ascoltami bene, perché questa pratica potrebbe tornarti utile più e più volte, in varie situazioni”.
“Ricordi che con le donne non si punta mai direttamente al sodo? Bene. Cominciai ad accarezzarle delicatamente, MOLTO delicatamente le gambe. Un tocco soave, leggerissimo, la sfioravo appena coi polpastrelli. Il mio lavoro fu facilitato dal fatto che la Madre si fosse addormentata a gambe aperte. Su e giù, su e giù, salendo con lentezza, verso la coscia. La donna ondeggiava appena, ma aveva smesso di russare. Una volta giunti alla coscia, il tocco divenne più deciso. Usai tutte le dita, poi le intere mani per esplorare le cosce ancora sode di una donna che camminava spedita per tutto il giorno. Le tornivo i muscoli, come se dovessi fare un vaso con l’argilla, cercando di farle distendere le gambe, di allentare la sua tensione, con lenti circoli. Le gambe divennero molli come pasta frolla, tra le mie mani. La Madre non accennava al risveglio, ma il suo respiro era diventato pesante, carico a tratti di flebili vocalizzi. Dalle cosce, passai al basso ventre. Fu un attimo: non appena le sfiorai il sesso, la Madre sussultò, inarcò la schiena, ma non diede cenno di svegliarsi. Ben presto si abituò ai miei massaggi ondulatori: la mano afferrava la sua rosa, ma senza brandirla: con la stessa delicatezza con cui custodisci un cucciolo, cominciai ad alternare colpetti infinitesimali con le varie dita, sulle labbra e sul clitus, mai nello stesso punto. La balorda mugugnava di piacere come una giovenca: attesi che fosse ben madida, prima di infilarle un paio di dita dentro. Nel frattempo, con l’altra mano, quasi inconsapevolmente, ero passato a toccare me stesso: mi si era fatto duro come il diamante, e non ce la facevo più. Fu quando estrassi gentilmente le dita, che la Madre aprì gli occhi. Si trovò davanti me, il mio drago purpureo che la puntava, e non ebbe il coraggio di dir nulla. La possedetti su quel letto per almeno un’ora, fu una delle sbomballate più belle della mia vita”.
“Lo sai come si dice, bifolco? Che una volta aperta una breccia, nelle mura, la città è ormai conquistata. La signora, dopo aver provato l’ebbrezza del grifone, non poté più farne a meno. Ma era una donna prudente, e mi ci volle più di un mese di prestazioni al di sopra della media per ottenere ciò che volevo sapere. Fu una missione che richiese il massimo grado di tostezza, in tutti i sensi. Per fartela breve, la Madre mi confessò che prima di essere sacerdotessa, era alchimista: sfruttò la posizione di potere nel monastero, e le sue competenze, per ottenere ricchezza. Lei stessa ammise che il rituale era solo una facciata, uno stratagemma che serviva a convincere le altre sacerdotesse che solo la Madre poteva ottenere il liquore sacro. E invece…diamine, bastavano quei quattro alambicchi e il lavoro di qualche disgraziato per ottenere soldi facili. Nei mesi successivi, nelle notti d’inverno, ci amammo persino nei luoghi a cui era garantito accesso solo a lei: negli scantinati più bui, dove si trovavano gli impianti di produzione. Lì mi mostrò le scartoffie con i suoi studi, le sue ricerche, le sue prove, fino a giungere alla formula perfetta. Lei era troppo orgogliosa per non condividere i suoi successi con il tizio che se la sbatteva. Finalmente, mi sbatté in faccia quello che cercavo da mesi”.
7-LA FUGA
“Scommetto che le hai dato un pugno, e sei scappato via con le pergamene. È così che fanno gli uomini tosti, no?”.
“No, somaro impenitente. Così fanno gli stupidi. I tipi tosti sanno come far calare il sipario senza beccarsi la pioggia di ortaggi. Bisognava andarsene di lì senza destare il minimo sospetto, la Madre era una donna potente, e non ci avrebbe messo molto a farmi rintracciare ed ammazzare, o peggio. Ricorda, Pseudolo: l’unica cosa peggiore di una donna incazzata nera, è una donna incazzata nera e potente abbastanza da farti inseguire dallo stesso Maccus. Ma io avevo un piano. Ascolta il piano del maestro”.
“Ormai avevo l’intero monastero ai miei piedi, e sapevo quando, come e dove muovermi. La notte prima del giorno delle consegne, mi insediai nella camera, e ricopiai tutte le iscrizioni che c’erano su nuovi rotoli, che nascosi accuratamente sul mio corpo. Dopodiché, diedi fuoco agli originali, e corsi come se avessi il diavolo stesso alle spalle. La stanza era piena di schifezze che, a contatto con il fuoco, esplosero, e divampò un incendio immane. Le botti da vendere erano fortunatamente lontane dal luogo del disastro: ben prima della notte, mi premurai di aggiungere ad esse un’altra botte, vuota, in modo che non destasse sospetti. Nel trambusto generale, afferrai un paio di sacerdotesse, le più stupide che ricordavo, e dissi loro che avrei provato a spegnere l’incendio da solo, in attesa dei soccorsi. Mentre quelle oche scappavano e starnazzavano, andai a nascondermi all’interno della botte cava, e lì vi passai tutta la notte. Nonostante il disastro, la Madre non venne meno alla sua avidità. Il giorno dopo gli energumeni giunsero, e caricarono le botti, con me all’interno. Fui abbastanza prudente da stipare delle provvigioni all’interno della botte, dimodoché potessi mangiare e bere qualcosa durante il viaggio. Queste provviste mi salvarono la vita, dato che stetti rannicchiato in quella botte per parecchi giorni, fino ad arrivare alla destinazione: l’accampamento di guerra del Duca di Mercalli. Il Duca apprezzò molto la mia visita: con le formule per crearsi la brodaglia da solo, le sue casse non poterono che ringraziarmi. Come premio, mi rese ufficiale nel suo esercito, che proprio allora era impegnato nel faticoso assedio alla città fluviale di Rontirri. Avrei preferito un bel gruzzolo, ma avevo rischiato già troppo finora, e non mi andava di far arrabbiare un altro pezzo grosso. Anche perché, se non avessi accettato, sarei stato ucciso seduta stante, accusato di tradimento, o altre menate del genere. Fu così che cominciò la mia carriera di masnadiero”.
“Ti è chiaro il concetto di fuga, adesso, Pseudolo? Devi avere un piano per scappare. Puoi provare ad improvvisare, ed i tipi molto tosti riescono a salvarsi lo stesso, ma non mi pare che sia il tuo caso. Ricorda sempre che anche nelle fortezze più inespugnabili, c’è sempre qualcosa che entra, e qualcosa che esce: bisogna trovare queste cose, ed accodarsi alla propria scia. Ricorda inoltre, che è più facile evitare di dare nell’occhio, quando tutti sono occupati a fare qualcosa. Qualcosa come scappare, ad esempio”.
“Credo…credo di aver capito”.
“E me lo auguro ragazzo, perché stanotte ne avrai bisogno. Mi raccomando però, che non ti venga in mente di dar fuoco all’Hostaria del Tallero! Dato che sarò qui ancora per qualche notte, morire per mano di un ragazzino, dopo tutto quello a cui sono sfuggito, sarebbe il colmo dei colmi! Per ora abbiamo chiuso, ora datti da fare”.
“Aspetta un attimo, Smargiasso…all’inizio avevi detto di aver ucciso tre uomini. Chi è il terzo?”.
“Quella…quella è un’altra storia. Te la racconterò quando tornerai, se riuscirai a fare ciò che ti ho detto. Ora è il tuo turno. Ehi, Giovannona! Vieni un po’ qui!”.