Minosse non amava le feste: caotici dimostrazioni di nulla, solo fiato sprecato, discorsi futili e di fatto tempo andato perso, davvero faccende tediose da sviare ed evitare con tutto se stessi. Tuttavia, per rispettare il volere del signore locale e non sfigurare, Minosse accettò con quanto più buon grado riuscisse a sfoggiare, sedendosi alla tavola nobile e cercando di far passare la serata attraverso le sue fitte tele di parole. Si sarebbe occupato di dirigere i discorsi verso i propri porti, operando un'oculata analisi di ogni sua lettera per consegnargli infine la vittoria finale.
In realtà i suoi attacchi cominciarono ancor prima di proferir parole poiché adesso doveva conquistare ben due persone e non solo una: la splendida Alcione, preziosa in un abito bianco e dai modi impeccabili, fece più volte capolino vicino al Re per servirlo, riempirgli il piatto, il boccale, a volte semplicemente sedendo vicino a lui per fargli compagnia.
Tuttavia, a discapito delle credenze di molti, Minosse non proferì mai parola con la ragazza ed anzi continuò a parlare con il padre di questo o quell'altro argomento. Un osservatore inattento avrebbe detto che Minosse non fosse interessato realmente a piacere alla giovane e che non volesse cercarne i favori; tuttavia, con il suo sguardo magnetico, penetrante e squisitamente insistente, nel senso di deciso e di chi sa ciò che vuole, non lasciava mai la ragazza, specialmente quando essa si allontanava proprio per rispettare il proprio ruolo di sua attendente personale. Più volte i sguardi dei due si incrociarono e più volte la ragazza arrossì abbassando gli occhi, spingendo indirettamente il Re a guardarla con ancora più insistenza e fervore.
Grande mistificatore Minosse: ella per lui era solo un prestigioso mobilio, una bella figura da far sedere al suo fianco nella sala del trono ed una madre necessaria per il futuro di Creta. Come in ogni momento della sua vita era mosso più dalla politica che da un reale sentimento e di lei lo intrigava soltanto la sconfinata bellezza, che dovette ammettere fosse davvero irripetibile ed unica.
In mezzo ai suoi intrighi assaggiò il dono di Kull, portando rapidamente un panno in lino alla bocca per non farsi vedere sputare come un villano qualsiasi il contenuto immangiabile dell'anfora. Tossì più volte, la bocca sozza del sapore maligno, e leggermente divertito dal vantaggio che gli aveva indirettamente dato l'avvesario aggiunse sadico: "Se il vostro obiettivo era avvelenarci ci siete quasi riuscito, Tiranno Kull."
Poi ovviamente giunse il clou della serata. Alcino conosceva i suoi motivi ma ancora ignorava quelli dell'arcade, il quale prevedibilmente cercava nuova terra per ampliare i suoi confini. Un po' come Minosse ma in una maniera più ingenua, più naive, come di un bambino che pensa gli sia tutto dovuto o che non sa tenere a freno il proprio desiderio di proprietà e possedimento. Non metteva nulla dall'altro piatto della bilancia, era semplicemente una richiesta bella e buona di uno stato potente su di un'isola sguarnita di difese. Kull era ai ferri corti e più passava il tempo più essi si rimpicciolivano. Non diede nemmeno peso al fatto di non rientrare (quanto meno come partecipante) nel cerchio di prosperità immaginato dal tiranno, poiché i suoi erano solo sogni, distanti e per il momento difficilmente realizzabili.
Nessuno stato della Grecia si poteva ancora fregiare di un titolo tanto onorevole quanto Capo o Guida di tutti gli Elleni, di certo non sarebbe stato un tiranno insediatosi l'anno precedente e proveniente da chissà quale angolo di Atlantide.
Fece suo il momento, aiutato anche dal fatto che fortuitamente Alcione fosse nelle vicinanze nel momento della sua rivelazione al resto della comunità.
"Di contro, io sono giunto qui in cerca del più bel fiore di tutta l'Ellade, della donna ideale per governare al mio fianco ed essere la mia Regina. A lei offro il mio cuore, il mio popolo ed il mondo; la sua gente è la mia gente, ogni torto fatto a queste terre sarà punito dalla mia ira con la potenza di mille Soli. Ciò è il minimo che posso fare per le isole che hanno nato i natali alla mia Regina. Questo ovviamente se lei deciderà di accettare ed il Lord suo padre benedirà quest'unione, nel rispetto delle antiche cerimonie." - parò così, senza però aspettarsi una risposta sul loco alla sua indiretta richiesta di matrimonio.
Kull continuò.
E continuò.
E continuò.
E continuò ancora, scaldando l'animo di Minosse, infiammandolo, incendiandolo. Fosse stato da solo, frasi del genere gli avrebbero increspato il volto, tendendolo in un ghigno malefico di chi aveva già la vittoria in tasca. Lo divertiva, lo divertiva follemente giocare con il proprio avversario. Infine, Kull di Arcadia si stava dimostrando non all'altezza della situazione: avrebbe giocato con lui per dargli una sonora lezione.
"Una sfida dite. Mh." -disse, facendo poi finta di meditare sulla proposta quando in realtà il tutto era semplicemente una prova attoriale di un discorso già bello che fatto e formato nella sua testa- "Permettetemi qualche parola, Kull di Arcadia: voi parlate di favore degli Dèi ma è ben risaputo quanto essi parlino attraverso segni silenziosi che noi mortali dobbiamo tradurre e leggere. Ditemi, il dono che avete portato a questa tavola questa sera non è forse un segno sufficiente per farvi capire quanto gli Dèi non vi sostengano in questa vostra missione?
Tuttavia, lasciate che vi conceda il beneficio del dubbio: forse davvero godete del loro favore. Ma allora ditemi: non è forse vero che anch'essi, per quanto grandi, possenti e onnipotenti, nulla possono dinanzi al dispiegarsi della Moira? Forse la vostra è solo una ricerca spasmodica di opporsi al destino. Forse, è probabile anche ciò, non trovate?
Ma c'è un'altra questione che è necessario analizzare... Atlantideo." -disse, aggiungendo quell'ultima parola con garbo ma con un accento potente, come a ricordare all'altro chi fosse e dove stesse in un'ipotetica catena. Continuò per spiegare quel suo ultimo commento, sicuro di avere completamente per sé la scena e di conquistare i cuori delle persone con la sua dimostrazione di conosceza, saggezza, filosofia, sapienza mitologica e purissimo carisma.
"Voi parlate di una gloriosa civiltà greca, di un luminoso destino che brillerà su tutti coloro che sono disposti ad inginocchiarsi.
È questo che volete? Che tutti si inginocchino e prendano parte al "luminoso destino" che uno straniero figlio di un impero decadente ed ormai in rovina ha costruito su misura per sé e le proprie genti?
Come può, dico io, oh mio signore Antino e voi brava gente qui riunita, come può uno straniero che si millanta greco pur non essendolo parlare di una Grecia unita? Io rabbrividisco a tale pensiero e mi addolora immaginare un così triste destino per la nostra amata Ellade."
Un discorso fatto per infiammare le genti di sentimenti patriottici davanti a quello che a conti fatti era agli occhi dell'intera Penisola ancora come un invasore. Per quanto di buon cuore e buone intenzioni, Kull non poteva cancellare chi fosse o da dove provenisse, né sconfiggere definitivamente il pregiudizio della gente. Questo Minosse lo sapeva bene.
Infine, l'affondo finale.
"Per non parlare poi della naturale instabilità del vostro governo a cui condannereste queste povere anime.
Ma comunque, anche se gli dei dovessero arridervi, se persino il destino dovesse approvare questo vostro "sogno" c'è un passaggio finale sul quale vi pongo una domanda: credete davvero che l'oggetto del contendere sia lo stesso di entrambi? Riflettete e rispondetemi. Poi vi darò la mia risposta in merito alla vostra sfida."
[Che poi tecnicamente anche Minosse vorrebbe che Alcione si inginocchiasse, però... Vabbè dai, belle cose
scusate il walltext però era necessario uscire la minchia, la situazione e la richiesta lo richiedevano]