GDR La saradaar

Abyssius

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Le sensazioni che si provano prima di una grande battaglia sono molteplici e tutte diverse tra loro: odio nei confronti di un nemico proditore, nervosismo per la propria incolumità o quella della propria gente, fredda consapevolezza dell’imminente carneficina. Nonostante gli storici si sarebbero riferiti a quel giorno come “Il massacro di Loki”, lo scontro iniziò con calma: inusuali raffiche di vento, probabilmente frutto della magia dell’Impero Meridionale, ma il cielo era terso e il campo di battaglia molto silenzioso: più di dodicimila uomini attendevano l’ordine che avrebbe dato inizio allo scontro diretto, chi da dietro delle fortificazioni erette da pochi giorni e chi scalpitando, strisciando o battendo le armi contro lo scudo per farsi coraggio. Entrambi i generali sapevano che quel giorno sarebbero andate perdute molte vite e la tensione avrebbe rotto la volontà di chiunque avesse avuto un motivo meno valido per combattere, ma non la loro: entrambi gli schieramenti dovevano difendere qualcosa, la propria indipendenza o il proprio sogno di conquista, e nulla può rompere lo spirito di chi deve difendere qualcosa.

La battaglia iniziò quando i generali della coalizione diedero ordine di avanzare verso le difese dell’altro schieramento.

Il sangue non ci mise molto a scorrere.

Alazs di Vishazian era la saradaar, il capitano dello schieramento degli Zahara, gli arcieri scelti della Confederazione che adoperavano frecce avvelenate per paralizzare e uccidere il meno possibile. Nonostante questa descrizione possa sembrare chiara, gli Zahara erano un insieme eterogeneo di arcieri, dotati di diversi archi, diverse divise e diversi ideali. La saradaar era una Pujara ed era svaichchhik, una “volontaria” che combatteva per Krietiva. Se da sola si era fatta strada fino a ricevere un tale importante incarico, ciò significava soltanto che era riuscita a mettere d’accordo i tre gruppi etnici dei Naga su chi dovessero seguire.

Anche lei in quel momento sentiva la tensione, come la sentiva il generale Hitala, comandante dell’armata delle Tribù indipendenti, ma la sua inquietudine era diversa: era conscia che il morale dei suoi soldati era più basso del resto dello schieramento – erano l’unità di punta dei fedeli di Krietiva, eppure i loro dardi venivano sempre deviati dai sortilegi delle Predatrici, rendendoli praticamente inutili. Nonostante ciò, avrebbero combattuto fino all’ultimo uomo per difendere le loro terre e i loro fratelli e sorelle.

Al segnale di inizio, Alazs, i suoi svaichchhik e gli altri Zahara iniziarono ad avanzare, fermandosi dopo poco per scagliare i proiettili di metallo scuro su cui era già stato applicato il veleno. Pochi metri dopo aver lasciato le corde, la maggior parte delle frecce venne spinta dal vento in altre direzioni, lontano dalle Arpie che stava bersagliando e alcune frecce tornarono perfino indietro, quasi colpendo i suoi stessi uomini.

Poi giunsero quelle dell’altro esercito.

La saradaar alzò il piccolo scudo di pelle e legno che aveva legato al braccio per difendere il volto dai colpi, mentre la sua unità avanzava velocemente, cercando di rendersi un bersaglio difficile da centrare. Tuttavia, i dardi cavalcavano la brezza con magica precisione, rincorrendo i Naga come predatori famelici, fin troppe volte trovando la Preda designata.

Un Pujara poco dietro di lei venne trapassato al collo, iniziando a vomitare sangue sulla mezza maschera viola che gli copriva il volto, prima di cadere nella polvere. Un Variyrarsa dalle scaglie smeraldo spostò uno dei suoi commilitoni dalla traiettoria di due frecce, prima di finire a terra colpito egli stesso. Un Nibhanda urlò, trafitto alla spalla da una punta che aveva cambiato traiettoria all’ultimo momento. Continuarono ad avanzare con il cuore pesante, cercando di ignorare i compagni caduti – sapevano di poter fare poco o nulla per loro.


-AVANZATE, TIRI IRREGOLARI! -
Bastavano poche parole nella loro lingua per trasmettere un ordine già concordato prima della battaglia, in previsione della manovra avversaria. Se prima tiravano ed avanzavano, adesso alcuni reggimenti avanzavano mentre altri sparavano, per poi invertirsi i ruoli e ripetere questa tattica. In quel modo, avrebbero tenuto le Arpie sotto un fuoco perenne anche mentre queste si apprestavano a tirare: le raffiche, per quanto magiche, non sarebbero state in grado di deviare e guidare i dardi nello stesso istante. Ma il vento presto non divenne l’unica sorpresa.

Quando le prime file iniziarono a scivolare, gli Zahara capirono che le Arpie avevano approntato un’altra magia per disperdere l’effetto della loro carica. Per i naga non fu difficile riprendersi dai primi istanti di sbigottimento: i loro corpi serpentini erano adatti per spostarsi nell’acqua e il fango non era molto diverso, permettendo di strisciare sinuosamente sul nuovo terreno impervio. Ma bastò poco a Alazs per realizzare che i guerrieri delle altre nazioni, in particolare i centauri, avrebbero visto l’impatto del loro slancio venire completamente negato. Nel mentre, lo schieramento delle Predatrici con l’arco aveva iniziato a spostare la propria attenzione verso i Centauri, che stavano cercando di rimettersi sulle zampe, rovesciando su di loro nuvole di dardi. Questo permise all’ala degli Zahara di avanzare più facilmente sul campo di battaglia, dovendo preoccuparsi di meno frecce.

Poi giunse il corpo a corpo.

Loro erano arcieri e avrebbero dovuto ripiegare, ma nel caos della battaglia, alcuni finivano comunque per ritrovarsi nella prima fila. La saradaar, nonostante non fosse una combattente da prima linea, utilizzò ogni arma in suo possesso per cercare di difendere la propria vita e quella dei suoi fratelli e sorelle: stritolò un mezz’elfo tra le sue spire, rompendogli le gambe, mozzò un’ala artigliata ad un’Arpia che stava per finire un Nibhanda ferito, prima di piantarle la spada fino all’elsa nella schiena. Fu un tumulto di scaglie e ali, metallo e sangue, mentre gli unici rumori erano l’impatto di spade e corazze, grida di battaglia in tutte le lingue. Il sangue rendeva tutto confuso, il terreno scivoloso per il fango e per i cadaveri che continuavano ad aumentare. Le sembrò di vedere lo schieramento centrale sfondare il centro oltre i mercenari, prima di essere accolto dal metallo e dal brillante mithril, mentre zanne e mazze calavano sui miliziani mal equipaggiati contro quegli avversari.

La cognizione del tempo venne persa, mentre ognuno cercava di restare in vita.

Quando i bansuree (Nda: Sono dei particolari tipi di flauti) suonarono l’ordine di indietreggiare, i loro richiami si unirono a quelli di trombe e corni che annunciavano lo stesso ordine. Ormai era calata la sera, la luce insufficiente per combattere. Ogni schieramento cercò di ritirarsi in maniera ordinata verso il proprio campo, scagliando un ultimo dardo contro il nemico oppure cercando di recuperare un compagno ridotto in maniera non troppo grave affinché potesse tornare all’accampamento per essere curato. Unici vincitori su quella pianura insanguinata furono i corvi e gli altri uccelli mangia carogne, che banchettarono al lungo nella luce morente di quel giorno d’estate.



Qualche ora dopo Alazs stava facendo il giro del suo accampamento, mentre osservava i suoi fratelli e le sue sorelle d’arme: volti bassi coperti da cappucci e mezze maschere come da tradizione, silenziosi e vicini ai paioli dove era stata cotta la zuppa di verdure e granaglie, ormai vuoti. Troppi posti nelle tende erano vuoti, troppi i soldati che singhiozzavano per la perdita di qualcuno di caro. Troppa la sofferenza nel cuore di tutti, costretti ad essere responsabili di così tanta sofferenza per difendere la loro patria.

La saradaar non poteva restare lì a guardare mentre i suoi stessi fratelli perdevano la speranza e la fede. Era la loro capitana, spettava a lei il compito di mostrare a loro che, nonostante tutto il sangue versato, vi era ancora qualcosa in cui credere.

Cercò con lo sguardo un posto rialzato, simile ad una pedana, per poi scegliere delle casse al centro di uno spiazzo. Almeno da lì sarebbe riuscita a farsi vedere da tutti. Non era molto brava con le parole, ma era determinata nel suo compito e sperava che Krietiva potesse permetterle di far arrivare il suo messaggio ai loro cuori.

-Fratelli e Sorelle … - Come avrebbe dovuto iniziare? Alcuni di loro si erano girati verso di lei, con lo sguardo stanco da sopra i veli che coprivano le bocche. - … oggi abbiamo combattuto. – Partire dalle cose semplici le sembrò una buona idea.

-Ci aspettavamo di incontrare le armate dell’Impero e degli aggressori sul nostro cammino. Siamo tutti soldati che hanno scelto di combattere per difendere le proprie tribù e la Confederazione dagli invasori e, quando ci siamo arruolati, sapevamo che prima o poi ci saremmo trovati in una grande guerra. –

-Sin dalla nostra genesi da parte di Krietiva, noi naga abbiamo sempre odiato la guerra. La guerra non è nient’altro che morte e devastazione. Dal conflitto non può mai nascere nulla di buono e chiunque aggredisca l’altro tentando di giustificare le proprie azioni dietro belle parole non è altro che un ipocrita, perché nulla ha lo stesso valore della vita e della libertà. –

Qualcuno si era alzato per avvicinarsi e sentirla meglio. Gli occhi puntati su di lei erano molti di più.

-So bene cosa state pensando: cosa ci rende diversi da loro? Se noi che abbiamo giurato di difendere la vita e la libertà siamo ricoperti di così tanto sangue, dov’è la linea di separazione? Non stiamo togliendo noi stessi la vita? -

-Ma noi non abbiamo iniziato questa guerra. Non dobbiamo pensare che la colpa di ogni vita che sia andata perduta su questa maledetta pianura sia dovuta alle nostre azioni, ma dobbiamo ricordarci chi sono i veri colpevoli. –

Con il dito, puntò verso il tappeto di corpi che si vedeva all’orizzonte. Alcune grosse ombre si aggiravano sul campo di battaglia, passando di cadavere in cadavere, troppo grosse per essere corvi o altri animali normali.


-Noi combattiamo contro qualcuno che è peggio dei Justiani. Qualcuno che ha valori completamente opposti ai nostri, che vede gli Insegnamenti della Madre come qualcosa di inutile, un’idiozia di quelle che per loro sono solo prede. –


-I loro uomini possono dire di aver scelto spontaneamente, che le Arpie non li stiano maltrattando e che, se si accetta il loro dominio, non si perde la vita. Ma si perde qualcosa di molto importante: la libertà. –


-Quegli uomini che le servono hanno scelto volontariamente di essere chiamati “schiavi” e “domestici”. Hanno accettato di non essere visti in nessun’altro modo se non come prede, purché la loro mangiatoia sia piena e fino a quando le Arpie non troveranno nessun’altro da mangiare se non loro. –


-Pensare che la loro sia vita è un errore. La vita è essere liberi di prendere le proprie decisioni e di essere chiamati uomini, di non dover chinare la testa di fronte ad un nobile e di non dover sottostare alla paura di un predatore che può ucciderci quando desidera. Le prede scelgono di non difendersi dai predatori per paura. –


-Ma noi abbiamo scelto di imbracciare le armi per difenderci dai predatori. Noi non siamo prede e nel nostro cuore arderà sempre la volontà di essere liberi. –


-Ma noi siamo qualcosa di diverso da loro: noi non siamo predatori. Noi non attacchiamo, non distruggiamo, non consumiamo: noi difendiamo, costruiamo e produciamo. La loro è una razza parassita che caccia, come qualsiasi predatore. E come tutti i predatori, vogliono solo divorare le prede. Come i lupi che lasciati liberi iniziano ad attaccare gli insediamenti e gli animali, per soddisfare una fame che non può essere saziata. Noi non siamo nulla di tutto ciò. –


-Noi vogliamo soltanto vivere in pace e assicurarci che anche gli altri lo facciano. Noi non vogliamo dominare, ma soltanto vivere un’esistenza libera, con la testa alta degli uomini liberi. –


Le sembrava di vedere anche qualche Variyarsa e qualche Nibhanda, probabilmente proveniente dalle tende vicine.

-È nostro dovere tenere i veri predatori a bada. Non possiamo permettere ai loro numeri di espandersi oltre misura, perché rischiano di distruggere tutto, compresi sé stessi. Una volta che ogni resistenza sarà spezzata, che prede resteranno alle Arpie da cacciare? Quanto ci vorrà prima che passino ai propri alleati? Presto o tardi vorranno trasformare tutto nel loro territorio di caccia, trasformare ogni creatura in un domestico o in uno schiavo. –

-Uccidere, per quanto sia contrario agli Insegnamenti, è necessario. In questo atto non c’è alcuna gioia o onore, perché è qualcosa di dovuto. Noi non uccidiamo per espanderci o per conquistare, ma per difendere. Questo lo rende più nobile? No, non c’è nulla che può rendere nobile un atto così barbaro. Noi siamo dotati di intelletto e possiamo scegliere di agire al di fuori dello schema del predatore e della preda. Noi scegliamo di costruire e produrre quello che ci serve, non di prendercelo dagli altri. Noi scegliamo di controllare i nostri istinti e di seguire la ragione. –

-Ma per le Arpie, questi sono concetti-preda. È qualcosa che non vogliono e non possono capire. Per loro, le nostre azioni sono incomprensibili. –

-Tollerare qualcuno che non è disposto a farlo significa offrire la gola per farsi uccidere. Significa diventare prede e di non rispettare l’insegnamento della Tolleranza, perché non sono disposti a tollerare. –

-Per cui, ricordatevi sempre che combattete per un ideale, non per i vostri istinti. Noi non siamo guerrieri o soldati, ma guardiani che difendono ciò a cui tengono. Noi non portiamo violenza o saccheggiamo, ma cerchiamo soltanto di far capire al nemico che non può venire da noi e decidere di negarci la nostra libertà. –

-Uccidere è sbagliato, ma dobbiamo farlo per difenderci. Ricordatevi questo, quando combattete. Noi difendiamo la nostra fede e il nostro diritto di essere liberi e di poter scegliere della nostra vita. –

Alazs alzò la spada dall’elsa Justiana, un trofeo portato dal padre durante l’ultima guerra con loro.

-PER COSA COMBATTIAMO, FRATELLI E SORELLE? –

Un coro di archi e spade si alzò con lei, gridando:

-PER LA LIBERTA’, PER LA VITA, PER GLI ALTRI. –

-E PERMETTEREMO ALLE ARPIE DI FARE DI NOI QUELLO CHE VOGLIONO? –

-NO! -

-PERCHE’ NOI SIAMO SVAICHCHHIK! PERCHE’ ABBIAMO SCELTO DI COMBATTERE PER DIFENDERE, NON PER DISTRUGGERE! –

Altri urli si alzarono dai Naga con gli occhi nuovamente vivi. Le acclamazioni continuarono mentre scendeva, con fratelli e sorelle di qualunque etnia che le si avvicinavano per parlarle, suggerire idee per nuove tattiche o semplicemente per congratularsi. Lei aveva ricordato loro qualcosa che già sapevano: di non essere come gli altri, di essere guidati da una causa giusta. Nessun massacro poteva farglielo dimenticare.



Un’ora dopo, un lanciere con la fascia a tre strisce del reggimento del generale venne da lei, chiedendole di seguirla.



Il generale Hitala si trovava di fronte ad una mappa aperta, recante la ricostruzione dei movimenti e dello schieramento dell’esercito nemico. Cercando di capire come si muoveva l’esercito nemico, forse poteva trovare qualche nuova tattica per rompere lo stallo che andava a loro svantaggio.

Il lembo della tenda venne alzato, mentre uno dei suoi soldati faceva entrare la Pujara. Hitala chiuse la mappa, poggiandola sopra i rapporti delle perdite.

La Naga aveva le scaglie di un viola molto scuro, molto più vicino al blu che al rosso. Era più bassa di lui di una testa, ma il suo sguardo dagli occhi violetti rimase fisso sull’uomo, mostrando il rispetto di un superiore, ma nessuna traccia di tensione. Concluse che aveva smaltito l’adrenalina del discorso che aveva fatto un’ora prima e che poteva parlare tranquillamente con lei a mente lucida. In quel modo avrebbe valutato razionalmente la proposta che le stava per fare.

-Alazs di Vishazian. Mi hanno riferito del bel discorso fatto al tuo reggimento degli Zahara, anche se poi pare che sia giunto praticamente tutto l’esercito per ascoltarti. Quel lato dell’accampamento sembra molto attivo e pare che i maghi che ci stanno seguendo abbiamo sentito più di una proposta da parte dei tuoi arcieri su incantesimi per bloccare il vento delle Arpie. Sembrano tutti molto determinati ad assicurarsi che la prossima battaglia sia una vittoria e non un altro mattatoio.-

Hitala poggiò i gomiti sul tavolino e giunse le mani, ponendoci la testa sopra. Aveva la coda bendata a causa di una ferita che si era fatto durante la battaglia: nulla di debilitante, ma si erano dovuti assicurare che non si infettasse.

-Hai da dire qualcosa al riguardo? Qualcuno potrebbe pensare tu stia cercando di rubarmi il posto. – Disse con l’accenno di un sorriso.

-Ho semplicemente fatto quello che ritenevo giusto. Spero che lei non lo creda davvero, Generale. –

Hitala ridacchiò. Aveva sempre provato un forte rispetto per gli svaichchhik, i Pujara che sceglievano di impugnare le armi per proteggere gli altri. Nonostante la loro forte fede che portava la maggior parte dei Naga dalle scaglie viola ad evitare l’esercito, continuavano a credere nei loro valori e a combattere per difenderli. Lo trattavano come un dovere che aveva qualcosa di religioso.

-Peccato. Alla Confederazione farebbe molto comodo un altro comandante, nel caso in cui dovesse succedere qualcosa di brutto. Secondo le vecchie consuetudini, i generali vanno scelti tra coloro che si sono distinti sul campo, che hanno il rispetto dei propri commilitoni e che hanno la volontà di combattere. Sembra proprio la tua descrizione. –

La Pujara stava cercando di capire se stesse scherzando o se fosse serio, ma lui era serissimo.

-L’Assemblea ha iniziato a valutare diversi candidati, anche se hanno aspettato che qualcuno di questi prendesse il comando in maniera attiva per essere sicuri di fare la scelta giusta. Tra me e gli altri generali, i nomi sono diversi, ma al momento nessuno di noi voleva fare il primo passo: non possiamo rischiare di mettere a capo di un esercito qualcuno che ha una volontà debole o che può essere preda di dubbi interiori. Abbiamo bisogno di qualcuno che sia sicuro di sé stesso in quella che è l’ora più buia della Confederazione. Io credo che quel qualcuno possa essere tu. Accetti la mia proposta? –

Alazs aveva gli occhi spalancati, ma si riprese dopo pochi secondi. Fece un lungo sospiro, per poi guardarlo dritto negli occhi.


-Accetto. –

Il Nibhanda sorrise nuovamente: -Un paio di mesi e sono sicuro che la nomina verrà ufficializzata. Che tu possa sempre guidare i nostri fratelli e sorelle con volontà ferrea, Generale Alazs di Vishazian.-
 
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