GDR La Foglia ed il Dragone

Last Century

Ninja Skilled!
Per molti erano semplicemente le Terre Ignote, poste al confine conosciuto del mondo e abbandonate da tempo immemore alle mani immonde dei Caduti e dei loro servitori, ma qualcuno ricordava ancora i tempi, persi nella leggenda, in cui si diceva che ivi dimorassero gli antichi elfi. Lassù, nel freddo nord, dove il gelo si fa più intenso e la neve più dura, oltre i dolci crinali degli ultimi bastioni dei viventi, si stava combattendo una guerra senza esclusione di colpi. Non era la prima del suo genere e, se la storia era buona maestra, non sarebbe nemmeno stata l'ultima ma non per questo il suo era un significato misero. Quella era una guerra che Calarel, in comando alle forze del Minnonar aggregate all'armata carandoriana, sentiva sua più di ogni altra cosa al mondo. Era il suo primo comando, il momento di svolta epocale di una carriera iniziata sotto auspici di sventura, in uno stato schiavo e impoverito, e avrebbe dato qualsiasi cosa per riuscire nel proprio intento. Al suo fianco, fidata consigliera e sempiterna voce della ragione, Vestele Cantastelle aveva attentamente studiato il modo migliore per contribuire al conflitto con le sue doti arcane, sebbene il prezzo in vite di ogni scontro le sembrasse sempre troppo altro. Come se non bastasse, nonostante le vittorie, avevano passato un anno a svernare nei confini allargati dell'Unione, trincerandosi e sperando di recuperare forze e rifornimenti che tardavano ad arrivare e oramai alle porte della bella stagione altro non avevano da fare se non continuare a marciare. E marciavano proprio lì, dove la terra si fa brulla e smorta, dove le piante sfumano sul grigio e persino il cielo stesso pare d'una tinta peggiore di quella che brilla sopra Almarillan.


A cavallo del suo possente stallone Calarel, prima in testa al suo esercito, marciava a seguito dei cugini e delle truppe congiunte di Hobbit e degli amici Gnoll. Eppure, seppur fiera nel portamento come solo chi l'aveva vista a Taraska poteva ricordare, un velo di pensieri adombrava la sua imperscrutabile espressione. Glielo si poteva leggere negli occhi, di un vivido chiarore quasi innaturale, fissi su un punto non meglio precisato dell'orizzonte. Era lo sguardo di chi non era davvero lì, non con la testa, e se anche all'umile fante - intento a portar sulla groppa i vettovagliamenti - passava inosservato nulla poteva fuggire allo sguardo vigile della maga Vestele.

- Qualcosa ti preoccupa, Calarel? - chiese alla generalessa, avvicinandosi in groppa al proprio destriero e cavalcandole a fianco.

- Molte cose, invero, Vestele. Molte cose. - rispose Calarel. Aveva un lieve sorriso sulle labbra ma questo tradiva, all'osservatore attento, un malcelato tentativo di dissimulare una pesante e opprimente realtà.

- Potresti alleggerire i tuoi pensieri iniziando a parlarne con me. Dopotutto la marcia è ancora lunga e dubito che gli hobbit, con quelle loro buffe gambette, correranno velocemente al punto tale da non poterci dare qualche minuto per parlare. - sdrammatizzò la maga badando bene che nessun abitante della Contea fosse a portata d'orecchio.

- Mi preoccupa il fatto che i Caduti sembrino non avere mai fine. Mi preoccupa che l'Impero Meridionale non si stia coordinando bene con noi e, soprattutto, che i nostri numeri si assottigliano di minuto in minuto, di ora in ora, lasciandoci sempre in meno ad arginare un mare apparentemente infinito. - sospirò, decisasi finalmente ad aprire la matassa di pensieri all'amica. - E mi preoccupa anche il silenzio del Duca. E di Rayla. E di qualsiasi altra stramaledetta anima nel Sylvania. Questo dovrebbe essere il momento giusto per colpire i Caduti una volta per tutte, spingere la frontiera talmente a nord da non doverla nemmeno più segnare sulle mappe... eppure siamo gli unici a combattere per la salvaguardia della vita. - parlava con l'amarezza di chi in parte si sente abbandonato e in parte paladino d'una causa persa.


- Il Duca s'è fatto silenzioso da diverso tempo, Calarel. E poi lo sai com'è fatto, difficilmente l'ho sentito agire in maniera del tutto ragionata, magari potrebbe tornare alla ribalta da un momento all'altro esattamente come ha fatto con l'affare dei Formian. - continuò Vestele. - Non mi sorprenderebbe nemmeno se di punto in bianco si unisse alla nostra guerra santa. -

- Ah, come sei ottimista. - la bacchettò la generalessa. - Ma la verità è che in guerra, come in amore, quasi tutto è lecito, anche finger l'indifferenza. Se tanto mi da tanto il Duca starà covando un piano che non concepisce la nostra presenza e facciam solo comodo sul confine a tamponare i tafferugli dei morti. - a quel punto girò la testa a guardarla sorridendo genuinamente. Aveva ricordato un pessima battuta che girava, anni prima, in merito alla sciagurata posizione di Viserhad affacciata sfrontatamente sulle lande di Amon Koth. - Se ben ricordo alcuni degli umani avevano un detto su Konrad tempo addietro: "Quello la mattina si sveglia, esce dal balcone e si svuota sulla terra dei Caduti". Ammetto che forse era più volgare di così, ma preferisco la versione edulcorata. - risero entrambe, di gusto, spezzando quel momento plumbeo e triste.

- Scherzi a parte davvero, non so come potrebbe continuare questa guerra. Le vite eldar sono preziose e in patria siamo ancora troppo pochi per sostenere un attrito prolungato. Dobbiamo chiudere immediatamente il conflitto o ritirarci prima d'ingrossare le file del Consiglio del Giudizio. - bofonchiò Calarel.

- E vorresti darti per vinta? - la stuzzicò l'arcanista.

- Bel tentativo, ma se avessi avuto la codardia nel sangue non avrei scommesso un singolo talento sul mio scontro contro Rayla a Taraska. Quel che sto dicendo è che l'avventatezza potrebbe condurci alla rovina, non che scapperò a gambe levate. Se fosse necessario, se portasse qualche beneficio concreto, affronterei senza indugio anche una battaglia destinata a vedermi far la fine del povero Odisseus... ma qui la situazione è diversa. - annuì come a dar forza alle sue stesse parole.

- E siccome il vecchio adagio dice "chi vuol esser lieto sia, del doman non v'è certezza" io consiglio di non pensare a tutte queste ipotesi e concentrarti sul presente. Hai trentamila uomini che dipendono da te per la coordinazione e da me per il supporto, subentra laddove gli altri sono carenti e tappa tutte le falle che puoi. Per il resto non possiamo far altro che sperare in Gallean. - e con un colpo di speroni Vestele spinse il destriero al galoppo per andare a conferire con il mago da guerra dell'Unione, lasciando la Scudo di Foglia sola coi suoi pensieri.


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Il campo di battaglia aveva la stessa aria, e lo stesso nefasto olezzo, di tutti quelli in cui avevano combattuto sino a quel momento. La terra stessa gridava i nomi di coloro che avevano perso la vita in quelle stesse lande e lì, sotto azzurri stendardi, attendevano schierati i fanti del Minnonar pronti a far la loro parte al fianco degli alleati. Davanti a loro, come una nera muraglia d'ossa e putridume macilento, un contingente che pareva svilir lo sguardo composto da corpi rianimati, bestie e cavalieri in arcione ad incubi innominabili. Senza paura Calarel avanzò mettendosi alla testa dei soldati, mentre Vestele invocava i suoi incantesimi per prepararsi all'imminente conflitto. Per un momento, un singolo istante, tutto sprofondò in un silenzio surreale dove la trepidazione dello scontro lasciava posto a quegli ultimi fugaci pensieri a casa. Quella guerra l'avevano iniziata anche per salvare l'albero della vita, il cuore pulsante dei viventi di tutta Ea, e sebbene le driadi avessero rifiutato di prendervi parte gli Eldar si erano accollati la responsabilità di adempiere a quell'ingrato compito. Tutto ciò che avrebbero riportato a casa sarebbero state le salme dei caduti, null'altro, ma Ea tutta avrebbe visto che il Minnonar e i suoi abitanti non solo erano cambiati nell'animo e nelle intenzioni, ma erano anche pronti a morire per una causa comune.


- Figlie e figli del Minnonar! - esordì, rivolgendosi ai propri compagni. - Ancora una volta un esercito di mostri ci fronteggia, e ancora una volta dobbiamo sguainar le spade per ricacciarlo indietro. - sfilò l'arma e, alzandola al cielo, proseguì. - Oggi combattiamo per ogni elfo, eldar, umano, hobbit, gnoll caduto, per ogni morto in difesa di quel che è buono e giusto, senza distinzione di razza alcuna. Combattiamo per quanto c'è di più sacro e lo facciamo senza paura, uniti sotto un unico stendardo! - si voltò a guardare i morti che, dalla distanza, avevano preso ad avanzare in formazione.

- Se tra di voi ci sono dei codardi, che ritengono la propria vita troppo importante per metterla a repentaglio per tutta Ea, possono anche mollar le armi e tornare al campo... ma per tutti gli altri, per quelli che ricordano ancora cosa vuol dire onore e coraggio, non ho che due parole. - e puntando l'arma contro il nemico urlò, a pieni polmoni, quasi a voler far sentire a tutto il mondo la sua voce.

- Aiya Túrë! Aiya Túrë! Aiya Túrë! -

E dietro di lei tutti, dal primo all'ultimo soldato, dal più esperto veterano al più inetto degli scudieri, risposero a quel richiamo. Aiya Túrë, un augurio, una speranza, un segno nella storia lasciato da sessantamila piedi intenti a caricare il nemico.


Gli scontri avvenuti sino a quel momento non avevano nulla a che spartire con la mattanza che, da subito, parve segnare la battaglia. Interi settori dell'esercito, mal comandati e con problemi di natura tattica e logistica, finirono per accavallarsi gli uni sugli altri formando una gigantesca, caotica, mischia senza quartiere. Dalla sua posizione Calarel dovette assistere, in parte impotente, ad una sequela di morti decisamente evitabili cagionate dall'infuriare della lotta e dalla mancanza dei tanto agognati rinforzi dalle retrovie. L'alto comando dell'Unione, che s'era fatto promotore di quella guerra con lo stesso ardore con cui un paladino avrebbe difeso il proprio signore, ora soffriva la mancanza di un generale abile in grado di prender le redini di tutti gli uomini. E l'elfa fece l'unica cosa che poteva fare, provando a colpire come un maglio proteggendo i settori meno difesi dell'armata.

- Vessillario! - gridò sul campo di battaglia. - Voglio cinque reggimenti a proteggere i mezzuomini! Il resto di voi segua me, dobbiamo raggiungere l'armata dell'Unione! - il muoversi furioso degli stendardi comunicò l'ordine e i capitani dei reggimenti mossero in fretta a supportare gli alleati. Nel frattempo, mentre la mischia continuava a mietere vittime da ambo le parti, il fuoco nero dei maghi dell'unione macchiò di violetto il cielo abbattendosi contro le fila dei caduti che, in risposta, lasciarono che il Drago Lich macellasse interi settori carandoriani col suo fuoco mefitico. A vedere quella scena, e al sentir le urla dei soldati la cui carne andava sciogliendosi come ghiaccio al solleone, la generalessa continuò ad avanzare aprendosi un passaggio in mezzo alle fila nemiche. Ai suoi fianchi i compagni eldar cadevano, seppur lentamente, sopraffatti dai morti e per ognuno che cadeva due o tre immondi lasciavano definitivamente la vita. Ma non avrebbero potuto resistere a lungo in quella situazione, in quel lento stillicidio. - Vestele! Vestele! - chiamò cercando di superare il clangore della battaglia. - Ora è il momento! Dacci tutto quello che puoi, dobbiamo sfondare e arrivare al drago prima che demolisca l'intero corpo dell'Unione! -

La maga, che nel frattempo aveva preso a lanciare dardi di fuoco sugli zombie vicini mandandoli in frantumi, annuì e concentrando tutto quel che le rimaneva da offrire come potere magico prese a far brillare le spade di tutti i compagni. Non solo, ma come brillavano di magia le loro armi, anche gli spiriti presero a gonfiarsi e invigorirsi, lasciando da parte i timori; ogni eldar che cadeva trafitto dalle spade nemiche si trasformava in uno sbuffo di fuoco e lapilli che bruciava e ustionava l'eterno nemico, sottraendosi all'infausta fine d'essere portato indietro. Con la certezza che la loro morte sarebbe stata perenne e che nessuno avrebbe mai potuto riportarli indietro, caricarono con ancora più vigore - Calarel in testa - sbaragliando un paio di reggimenti di scheletri fino a fronteggiare il dragone non morto.


- Fate segno all'Unione di stare indietro! - ordinò al vessillario. - A tutti i reggimenti: aprite i ranghi e circondate questo abominio! - seguendo il comando di Calarel tutto l'esercito eldar aprì i ranghi, lasciando che i soffi mefitici della bestia mietessero molte meno vittime di quanto avrebbero fatto altrimenti, gettandosi poi alla carica nel tentativo di catalizzarne l'attenzione. Era una scelta rischiosa, un pericolo enorme che avrebbe senz'altro richiesto un prezzo in vite esoso, ma non potevano lasciare che piccoli hobbit o provati elfi subissero ancora quell'incessante attacco.

Il drago, circondato, lasciò perdere tutti fuorché i piccoli eldar che avevano preso a pungerlo con quelle piccole lame intrise di magia che tanto dolevano anche alle sue carni decomposte. Si mosse svelto e con un colpo della robusta coda mandò gambe all'aria una cinquantina di soldati, molti dei quali morirono prima di toccar di nuovo terra.

- Occhio alla coda! - urlò ancora Calarel. - Stategli sul fianco ed evitate le zampe! Vestele bruciagli quelle stramaledette ali! - lapilli di fuoco esplosero dai soldati morenti colpendo le scaglie della bestia, mentre altri dardi incandescenti, lanciati da Vestele, provavano a danneggiarne le ali ed il dorso.

- Calarel! Dobbiamo indebolirgli le zampe se vogliamo metterlo in fuga! - la voce dell'arcanista, provata dall'intenso uso della magia, raggiunse appena la generalessa.

- Possiamo farcela! Dobbiamo farcela! Voialtri seguitemi, caricate al mio ordine! - l'intera colonna centrale dell'esercito si mosse a seguito della Scudo di Foglia, formando un cuneo pronto a infierire al comando dell'elfa. Attese qualche secondo, lasciando che il dragone concentrasse i suoi attacchi sul fianco sinistro, dopodiché dette l'ordine e caricò con tutta la colonna sulla zampa destra. Letteralmente una miriade di spade e scudi s'abbatterono contro l'arto del drago, colpendolo e sfregiandolo. Chi era fortunato si era persino portato via grossi pezzi di carne, ma per quanto colpissero la bestia sembrava non voler cedere terreno. Anzi, a sentire tutto quel fracasso si voltò di nuovo e con un possente colpo del muso spinse via gran parte degli uomini, ingoiandone altri tra le fauci. Calarel, in prima fila, ebbe giusto il tempo di vedere l'ombra nera di quel maligno muso muoversi verso di lei prima di sentirsi sbalzata in aria, volando per diversi metri per poi atterrare sopra ad altri commilitoni.


- Calarel! Calarel! - la voce di Vestele, rotta nella disperazione per aver perso di vista la propria amica, arrivò alla testa delle generalessa confusa e ovattata. Si mosse, incespicò, e tornando in piedi per poco non caracollò di nuovo sulle spade abbandonate dei propri uomini. Aveva una grossa ferita sulla tempia che sanguinava copiosamente, non sapeva dove fosse la sua spada e dovette chiudere gli occhi per far smettere il mondo di girare e girare.

- Calarel! Ci sta massacrando! Calarel! - chiamò di nuovo la maga. A quel punto Calarel si obbligò ad aprire di nuovo gli occhi: il drago aveva ripreso a colpire con ferocia i suoi uomini, molti dei quali tentavano inutilmente di sottrarsi ad artigli e fauci dopo aver inflitto il loro colpo alle zampe del nemico.

Vestele le arrivò finalmente a fianco, dopo averla avvistata in mezzo alla confusione, cercando di scuoterla da quello stato di evidente confusione.

- Dobbiamo continuare a colpire. - farfugliò. - Dammi una spada, dammi una spada. -

- Sei ferita! Devi ritirarti! -

- È solo un graffio, dammi una spada! - le urlò. - Non siamo arrivati fin qui per ritirarci. Non ancora! E non lascerò che quel mostro ammazzi i miei uomini, i nostri compagni, impunemente. Dammi una spada, adesso! -

Con la magia Vestele attirò una lama da terra, una delle tante appartenuta ad un elfo oramai non più in vita, e la poggiò tra le mani di Calarel.

- Se questo è quello che vuole il tuo cuore, allora vai. - continuò la maga, toccando col palmo della mano la lama che, immediatamente, prese a brillare.

Calarel mosse appena il capo, annuendo, grata alla compagna per non aver insistito. Sapeva, in cuor suo, che Vestele non aveva torto a proporre una ritirata strategica, ma sapeva altrettanto bene che lasciare l'ingaggio col dragone avrebbe comportato la perdita di innumerevoli vite tra gli alleati meno equipaggiati e addestrati. Non l'avrebbe permesso, non era per quello che Carnil l'aveva messa in capo ad un'armata. Afferrò la spada a due mani e iniziò a correre verso il drago, sgusciando come una saetta tra le fila dei compagni, fino a balzare come una furia sulla zampa del dragone mulinando fendenti come se ne andasse della sua stessa vita. Colpiva e colpiva, tenendosi aggrappata a quei rimasugli ossei che ne costituivano l'arto, senza riuscire a sentire altro che il suono disgustoso della carne recisa e della lama benedetta che penetrava come fossero burro le scaglie dell'animale. A vedere la propria condottiera gettarsi con tanta foga nella lotta i soldati fecero altrettanto, morendo a decine pur di abbattere quel mostro. E alla fine, quando oramai tutto sembrava perduto ed il nemico invincibile, con un potente ruggito la bestia si alzò in volo scrollandosi di dosso gli eldar e fuggendo verso le lande dei suoi oscuri padroni.


- La bestia fugge! La bestia fugge! - gridarono in coro, mentre Calarel guardava in un misto d'ira e giubilo quella scena. Aveva le mani inzaccherate di sangue rappreso, la corazza lordata e respirava tanto forte da sentir male ai polmoni; avevano vinto ma la preda era sfuggita al suo destino. Promise a se stessa, in quell'esatto istante, che presto o tardi avrebbe portato la testa di quel mostro in trionfo per le strade di Almarillan, sfilando assieme ai suoi uomini dopo la caduta di Antarion.

- Aiya Túrë! - urlò, con l'ultimo fiato che aveva.

Con la caduta del dragone l'intero esercito di morti vacillò pericolosamente e quando la massa d'acciaio eldar si abbatté contro i rimasugli del nemico in rotta la giornata aveva già volto a loro favore. Eppure, anche con quell'ennesima vittoria riportata sul campo di battaglia, oramai la terza di fila, tutto aveva dato chiara indicazione di quanto deboli fossero e di quanto pesante sarebbe stato colpire Antarion. Ma non voleva pensarci, come non voleva pensarci nessun altro in quella giornata. Avevano dei morti da bruciare, dei compagni da onorare e delle terre da reclamare nel nome dei vivi.

@Silen
GdR sull'ultima battaglia nella guerra al Giudizio. Spero che possa essere una piacevole lettura.
 
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