Mikhail Mengsk
MSPAINT OVERTYRANT
PRELUDIO
Settantunesimo chilometro di trincea, più novecentonovanta metri.
Pioggia e ancora pioggia. Da tre giorni.
Voleva scendere dalla dannata scavatrice, gettare via il fucile che teneva appoggiato in un angolo della cabina, slacciare il cinturone con le munizioni, buttare le granate in una pozzanghera, buttarsi nella sua branda in caserma e dormire con l'uniforme zuppa di fango e acqua addosso fino a quando tutto questo non sarebbe finito.
Ma non poteva, ovviamente. Lui e gli altri spettri esausti e fradici che lavoravano con lui dovevano ancora finire di scavare la settima linea di trincee, ammucchiare terra e materiale per la quarta linea di bunker, interrare i generatori degli scudi, e trascinare l'artiglieria in posizione sull'ennesima linea di difesa. Non era ancora finita, e non sarebbe finita, lo sapeva. Avrebbero continuato a lavorare su quella maledetta 152° Regione Fortificata fino a quando l'orda Zerg non li avrebbe costretti a gettare gli attrezzi e impugnare le armi.
Come tutti i Krathiani, era stato arruolato a forza pochi giorni dopo la disperata battaglia spaziale. Avrebbe voluto anche lui tentare la fuga, come avevano fatto in centinaia di migliaia nei primi giorni, e in milioni per mesi e mesi.
Gli spazioporti erano stati presi d'assalto. Decolli non autorizzati erano stati effettuati ovunque ci fosse spazio per un'accelerazione adeguata. Il governo stesso aveva usato navi speciali per evacuare personaggi ritenuti "importanti". Il caos aveva regnato, c'erano stati scontri e saccheggi.
Poi, la pioggia di detriti aveva raffreddato gli animi. Gli Zerg sparavano su qualsiasi nave tentasse di lasciare il Sistema, raccoglievano i rottami di chi non ce la faceva, e li lanciavano sul pianeta. Centinaia e centinaia di relitti si erano schiantati al suolo o erano bruciati nell'atmosfera, illuminando il cielo per settimane e mesi.
Molti erano passati, molti continuavano a passare grazie all'incompleto controllo Zerg, ma era ormai chiaro che fuggire non equivaleva a salvarsi.
Allora era sopraggiunta la determinazione. La determinazione a combattere fino alla fine, una fredda rassegnazione all'inevitabile tramutata in inflessibile volontà.
Grazie agli istruttori Klatan e alle risorse arrivate prima dell'attacco, i soldati di Krath avevano qualche chances di non venire travolti al primo assalto. Non molte, ma era tutto quello che avevano, e doveva bastare. Avevano fortificato intere aree strategiche, costruito generatori di scudi a protezione dei centri più importanti, concentrato e isolato i civili in zone difendibili, e aumentato gli effettivi della Guarnigione all'inverosimile. Praticamente tutti coloro in grado di reggersi in piedi erano coinvolti nella difesa in qualche modo. Tutte le industrie erano riconvertite all'uso bellico.
Non era una guerra come le altre, e lo sapevano. Si trattava di vincere o venire annientati. O quantomeno di morire combattendo.
Probabilmente era tutto inutile. Rise sommessamente al pensiero di quelli che ancora speravano nell'arrivo di una grande flotta che li avrebbe salvati dalla distruzione. Non c'era nessuno, là fuori; c'era solo la Bioflotta Zerg, piena di navi da sbarco pronte a vomitare fuori milioni di mostri affamati delle loro carni.
Ma erano pronti a vendere cara la pelle. Che fosse dannato chi fuggiva, quello era il suo pianeta, quello era il suo popolo, ed era pronto a morire per esso. Si riscosse da questi pensieri amari, ignorando gli insulti gridati dal geniere capo al suo indirizzo, e riprese a manovrare la scavatrice.
Settantaduesimo chilometro.
Settantunesimo chilometro di trincea, più novecentonovanta metri.
Pioggia e ancora pioggia. Da tre giorni.
Voleva scendere dalla dannata scavatrice, gettare via il fucile che teneva appoggiato in un angolo della cabina, slacciare il cinturone con le munizioni, buttare le granate in una pozzanghera, buttarsi nella sua branda in caserma e dormire con l'uniforme zuppa di fango e acqua addosso fino a quando tutto questo non sarebbe finito.
Ma non poteva, ovviamente. Lui e gli altri spettri esausti e fradici che lavoravano con lui dovevano ancora finire di scavare la settima linea di trincee, ammucchiare terra e materiale per la quarta linea di bunker, interrare i generatori degli scudi, e trascinare l'artiglieria in posizione sull'ennesima linea di difesa. Non era ancora finita, e non sarebbe finita, lo sapeva. Avrebbero continuato a lavorare su quella maledetta 152° Regione Fortificata fino a quando l'orda Zerg non li avrebbe costretti a gettare gli attrezzi e impugnare le armi.
Come tutti i Krathiani, era stato arruolato a forza pochi giorni dopo la disperata battaglia spaziale. Avrebbe voluto anche lui tentare la fuga, come avevano fatto in centinaia di migliaia nei primi giorni, e in milioni per mesi e mesi.
Gli spazioporti erano stati presi d'assalto. Decolli non autorizzati erano stati effettuati ovunque ci fosse spazio per un'accelerazione adeguata. Il governo stesso aveva usato navi speciali per evacuare personaggi ritenuti "importanti". Il caos aveva regnato, c'erano stati scontri e saccheggi.
Poi, la pioggia di detriti aveva raffreddato gli animi. Gli Zerg sparavano su qualsiasi nave tentasse di lasciare il Sistema, raccoglievano i rottami di chi non ce la faceva, e li lanciavano sul pianeta. Centinaia e centinaia di relitti si erano schiantati al suolo o erano bruciati nell'atmosfera, illuminando il cielo per settimane e mesi.
Molti erano passati, molti continuavano a passare grazie all'incompleto controllo Zerg, ma era ormai chiaro che fuggire non equivaleva a salvarsi.
Allora era sopraggiunta la determinazione. La determinazione a combattere fino alla fine, una fredda rassegnazione all'inevitabile tramutata in inflessibile volontà.
Grazie agli istruttori Klatan e alle risorse arrivate prima dell'attacco, i soldati di Krath avevano qualche chances di non venire travolti al primo assalto. Non molte, ma era tutto quello che avevano, e doveva bastare. Avevano fortificato intere aree strategiche, costruito generatori di scudi a protezione dei centri più importanti, concentrato e isolato i civili in zone difendibili, e aumentato gli effettivi della Guarnigione all'inverosimile. Praticamente tutti coloro in grado di reggersi in piedi erano coinvolti nella difesa in qualche modo. Tutte le industrie erano riconvertite all'uso bellico.
Non era una guerra come le altre, e lo sapevano. Si trattava di vincere o venire annientati. O quantomeno di morire combattendo.
Probabilmente era tutto inutile. Rise sommessamente al pensiero di quelli che ancora speravano nell'arrivo di una grande flotta che li avrebbe salvati dalla distruzione. Non c'era nessuno, là fuori; c'era solo la Bioflotta Zerg, piena di navi da sbarco pronte a vomitare fuori milioni di mostri affamati delle loro carni.
Ma erano pronti a vendere cara la pelle. Che fosse dannato chi fuggiva, quello era il suo pianeta, quello era il suo popolo, ed era pronto a morire per esso. Si riscosse da questi pensieri amari, ignorando gli insulti gridati dal geniere capo al suo indirizzo, e riprese a manovrare la scavatrice.
Settantaduesimo chilometro.