Gioco [Improvvisazione Letteraria]

- FatmikE -

Typing Monkey
Bene signori, che si dia inizio alle danze!

questa è la lista dei partecipanti e dell'ordine in cui dovranno postare i propri racconti.
Le regole sono semplici: Il primo utente inizia la narrazione con un racconto e il secondo continua la narrazione da dove il secondo ha concluso. Si possono fare flashback, cambi di scena e intrecci di qualsivoglia tipo, basti rispettare la storyline con coerenza.
Se un partecipante non può rispettare il suo turno scalerà di posto e toccherà all'utente successivo.
La lista dei partecipanti è la seguente:

Oghard
Ostrègone
Valchiria
Vanadis
Meck
Pepito
Nonique
Oss
Rebaf
Il san
Alastor
Hirahira
Ciupizza

L'ambientazione scelta è SteamPunk ( http://it.wikipedia.org/wiki/Steampunk )

Buon gioco! :awesome:

lista in aggiornamento; questo thread è una raccolta di lavori degli utenti, lo terrò pulito dai post che non sono racconti. Grazie della pazienza e dell'attenzione :p
 

Oghard "El Burro" Fireburp

Admin
Fantacalciaro
CAPITOLO I - COLLEMBOLO

Era settembre. La sala da the era ricolma di signore attempate ed addobbate a festa, giovani virgulte messe in mostra dalle madri e qualche sparuto Sir, che, tra un sigaro ed una partita a poker, si rifaceva gli occhi sulle vistose scollature delle inservienti che sciamavano tra un tavolo e l'altro; i più arditi non mancavano di lustrarsi il monocolo per indagare al meglio sul neo di Patricia, generosamente sportasi per liberare il tavolo dai rimasugli dell'aperitivo, o per capire se Genoveffa, la bionda al bancone, indossava un potente push-up, o le aveva così alte per natura. Quei bastardi, sopraffatti da inopportune erezioni e calcoli matematici improvvisati, neanche badavano alle più pudiche donzelle nubili; e sì che ce ne erano di carine, discrete, tutte imbellettate a mo' di bambole di porcellana...Ma come compatire i gentiluomini? Con tutto quel ben di Dio sbattuto in faccia, chi avrebbe potuto semplicemente pensare ad intavolare una conversazione con una di queste bomboniere, ed impegnarsi in un progetto a lungo, LUNGO termine, fatto di lettere, romanticismo e bacetti sulla guancia? Ecco, nessuno. Le madri ne erano consapevoli, ma continuavano a presentarsi alla Teiera Sibilante con le loro leggiadre sedicenni, quasi per inerzia, per abitudine. Stizzite all'inverosimile, divenivano verdi come il the alla menta che sorseggiavano ad ogni occhiata complice tra i signori e le cameriere, e si appollaiavano lì, sulle loro sedie, a mo' di avvoltoi, in attesa della prima defaoiance di questa o quella sgallettata, pronte a ridacchiare della prima tazzina rotta della Betty, a commentare diabolicamente le unte code di cavallo delle ancelle più sudate, o peggio, a ripudiare le pesanti teiere di gruppo trasportate sui vassoi, bollandole come "non abbastanza caldo", "troppo zuccherato" o "non alla vaniglia", nella speranza che le poveracce, stremate dal trasporto incessante tra la cucina e la sala di questi sbuffanti teieroni da tre litri, inciampassero e si rovesciassero addosso il bollente contenuto. Magari sui pregiati seni...in modo che ustioni e scorticature avrebbero impedito per sempre alle sgualdrinotte di mettere in mostra cotale mercanzia.
Ma le vecchiarde avevano una buona parola per tutti! Oltre all'invidia e la rabbiosa nostalgia per i bei tempi andati, le signore sfogavano con il pettegolezzo anche rifiuti coniugali, frustrazioni matrimoniali ed improbabili desideri erotici sui gentiluomini di mezz'età (anche se non mancavano i figli di buona famiglia ancora imberbi) che frequentavano il posto. Ne avevano per tutti: il Signor Tocqueville non aveva più un erezione dai tempi del college, e si limitava ad "accarezzare la micia" della consorte, e di chissà quante altre conigliette; il Barone Rampinelli, che veniva spessissimo alle cinque ad insegnare gli scacchi a suo nipote, istruiva il suo prediletto a "muovere anche la sua torre"; il Signore dal nome impronunciabile, Schfaschbuckler, che ormai beveva birra a credito da un mese, aveva perso tutti i suoi risparmi in un investimento su tecnologie obsolete che avevano a che fare con i fulmini, ed era scampato miracolosamente a ben cinque tentativi di suicidio; la moglie del latifondista Cozza, il quale era puntuale come il tramonto alla Teiera dopo le sei del pomeriggio, non dormiva più con lui da anni, e preferiva visitare gli alloggi dei contadini. E ce ne erano di storie da raccontare, più o meno esagerate, più o meno fondate! Ogni personaggio che frequentava la Teiera, anche gli stranieri di passaggio, avevano almeno uno scheletro dell'armadio, sempre diverso, e questa la diceva lunga sulle esperienze che quelle vecchie baldracche avevano vissuto in gioventù; tutti però, indistintamente, non arrivavano ad avere il valore e la virilità dei loro padri, neanche di un'unghia dei padri, veri uomini di una volta, e tutti potevano fregiarsi dell'inglorioso titolo di "Magnaccia da bordello".
Già, perché le cose avevano preso un'altra piega alla morte di Jeff Stivale, vecchio proprietario della Teiera Sibilante. Uomo impassibile, profondo perseguitore della morale, lui non avrebbe mai permesso quello che succede oggi, davanti agli occhi di tutti...Tutte le signore, quando ancora non sapevano come nascono i bambini, frequentavano la Teiera, così come facevano le loro madri, e tutte avevano accalappiato i loro mariti tra i migliori rampolli del jet-set di Redshrimp...Ma il vecchio Jeff era scomparso da almeno dieci anni, e di lui era sopravvissuto solo questo bel ricordo, un po' teatralizzato, al quale le vegliarde erano rimaste aggrappate con le unghie e con i denti. Del resto, la sua stessa scomparsa ha a che fare con il leggendario, e non c'era un solo bambino in tutta Redshrimp che non conosceva la storiella. Della sua morte, o meglio, della sua presunta morte, si sapeva poco o nulla; l'unica cosa certa è che Jeff, una notte, decise di non rincasare. La moglie, preoccupata, mattarello in una mano e lanterna nell'altra, si recò al locale, convinta di trovare il marito addormentato sul bancone in una pozza di acquavite e vomito, e invece...Nulla, nessuno. Il locale era aperto, le luci ancora accese, ma...Non c'era nessuno. Le bottiglie non mancavano, il barattolone con gli incassi era immacolato al suo posto, nessun pezzo di argenteria, neanche una teiera di porcellana era stata portata via...Niente. Tranne uno stivale, ma non uno stivale qualsiasi, uno dei due che indossava Jeff, all'impiedi sul bancone. Era il sinistro. Da lì in poi non fu trovato più nulla di Jeff, neanche un capello. Gli dedicarono un funerale bizzarro, un lustro dopo la sua sparizione, dove neanche il prete sapeva cosa dire. Non ebbero il coraggio di seppellire lo stivale, che ancora è in bella mostra nell'eccentrico museo cittadino.
Fatto sta che il vecchio proprietario, all'epoca della sparizione, aveva superato la settantina, ed essendo un uomo prudente, aveva stilato un testamento. La casa, la terra e il locale andarono sibillinamente alla coriacea moglie, la quale raggiunse il marito pochi mesi dopo, erosa dalla curiosità di sapere che fine aveva fatto il consorte. Tutti i possedimenti finirono in mano ad un nipote di secondo o terzo grado, residente nella lontana Ofiura: il suo nome era Gerrard Nascara, ma ormai tutti a Redshrimp lo identificavano come Gerrard l'Infame.
Quando arrivò in città Gerrard non aveva ancora trent'anni. Non aveva nulla. Nemmeno una valigia di cartone. Era stato forgiato dalla storpia mano dei bassifondi della grande Ofiura, e dalle grosse mani degli energumeni, infinitamente più forti di lui, che si abbatterono innumerevoli volte sulla sua esile figura. Il vecchio Jeff, quando era giovane, aveva fiutato il puzzo di marcio che c'era dietro le attività della sua famiglia, partì per l'entroterra a cercare fortuna, e la trovò. Quando Gerrard nacque, i Nascara, da generazioni al servizio di uno dei Signori della Pesca, possedevano solo un guscio di noce attraccato al porto di Ofiura. Non era neanche loro in effetti, l'avevano trattenuto come "liquidazione", dato che il vetusto Signore, che dava loro da mangiare, attaccato ai vecchi metodi di pesca con veliero, fu letteralmente schiacciato dalla concorrenza dei brigantini a vapore. Quando "Speranza", questo era il nome della sua nave, partì per la solita, disperata battuta di pesca, e non tornò, Gerrard capì di essere l'unico superstite della sua famiglia, o più probabilmente, di essere stato abbandonato al suo destino. Aveva tredici anni.
Una dieta basata su avanzi di spazzatura e crocchette per cani, e priva di qualsiasi tipo di vitamina, aveva lasciato grandi segni sulla sua vita, sottoforma di guance butterate come i marciapiedi che frequentava, mani gialle come le arance che non aveva mai visto, e gambe ossute come gli scarti che rubava dai macellai. Nonostante tutto questo, nonostante le notti sotto i ponti abbracciato ai randagi, nonostante i continui pestaggi delle ronde notturne, Gerrard sopravvisse. Campò di espedienti, a lungo, per molti anni lavorò come mozzo sui brigantini che avevano affondato la sua famiglia, La necessità e il suo strambo fisico lo avevano trasformato in un abile intrattenitore, una sorta di giullare, e dopo anni passati a pelare patate e ramazzare ponti, fu notato una sera da un potente pappone, organizzatore di una serata "speciale" a largo, nell'oceano, dove nessuno poteva rompere le scatole. Fu intravisto da questo benefattore, tra una tetta ed un culo, mentre gli altri marinai lo costringevano ad esibirsi, ancora ed ancora, nel suo numero migliore, il Passo del Pollaccio. Mosso da un misto di pietà, curiosità e senso dell'umorismo, il pappone decise di portarselo con sé, sulla terraferma, nel suo locale. Lì fu lavato, vestito, gli fu dato un lavoro, uno scopo, fu istruito: sì, Gerrard, a diciott'anni suonati, imparò a suonare il piano, a leggere e scrivere. Frequentò a lungo l'ufficio delle Nascite di Ofiura, nella speranza di trovare tracce di suoi possibili parenti, sopravvissuti alla miseria, e fu così che riuscì a rintracciare i Nascara di Redshrimp, ed intavolare una fitta corrispondenza con Jeff Stivale e sua moglie, pochi anni prima della sua sparizione. Fu così che riuscì a ritagliarsi un posto nel cuore dei vecchi coniugi, ma soprattutto nel testamento della vecchia, riuscendo, quasi inconsapevolmente, a raddrizzare la sua vita.
Quando arrivò sotto i suoi occhi la lettera del notaio, all'inizio, pensò ad uno scherzo delle troie che frequentavano il bordello. Le odiava. Non sapeva nulla della morte di Jeff e di sua moglie, perché nessuno, ad eccezione del notaio, sapeva della sua esistenza su a Redshrimp, e, dopo il costante affievolirsi della corrispondenza con i suoi parenti, aveva pensato di essere stato abbandonato per l'ennesima volta. Dopo aver letto la lettera con il simbolo dello studio legale, Gerrard non ci pensò a lungo: arraffò i suoi risparmi, composti unicamente dalle monetine lanciategli dai clienti del bordello dopo una canzone o un piccolo sketch, se li infilò nelle mutande, e scappò via da Ofiura, da quel mondo di promiscuità e violenza gratuita, nella speranza di cominciare una nuova vita nell'entroterra, così come fece Jeff molti anni prima di lui. E come Jeff, ci riuscì. A differenza del vecchio Stivale, però, Gerrard era stato indelebilmente sfregiato dalla sua triste esperienza nella bettola.
Al suo arrivo a Redshrimp, nessuno avrebbe puntato un nichelino su di lui: non aveva mai avuto nulla, e più di un riccastro era convinto che sarebbe bastato sventolargli qualche spicciolo sotto il naso per soffiargli via le redditizie proprietà del vecchio Stivale. Ma Gerrard era dotato di una naturale malizia, e di soldi, nella sua lunga carriera di intrattenitore di bordello, ne aveva visti tanti, e conosceva il loro valore. Non si lasciò fregare da nessuno, ed aveva le competenze necessarie per far sopravvivere la già redditizia attività del vecchio Stivale; più precisamente, aveva le competenze per dare una svecchiata alla vita di Redshrimp.
Dopo un mese dal suo insediamento, arrivarono le prime ragazze. Relegò Fabula, ormai inappetente quarantenne, in cucina, a sfornare torte, biscottini e the dai poliedrici gusti, e lasciò che fossero le giovani adolescenti della città, in cerca di un impiego, a servire ai tavoli. All'inizio si trattava di semplici, aggraziate fanciulle, vestite a modo. Con il tempo, le gonne divennero sempre più corte, le camicie sempre più sbottonate, le labbra sempre più rosse. Lentamente le ragazze impararono a trattare con i gentiluomini del paese, ad intrattenere ed intrattenersi all'interno della Teiera ad orari sempre più notturni...Lentamente, la bigotta ed ingenua Redshrimp conobbe gli infestanti tentacoli di Ofiura, ma nessuno dei moralizzatori, delle autorità del paese si oppose, a meno che, nelle lunghe notti della Teiera, gli innumerevoli giudici ed avvocati si intrattenessero al suo interno nel tentativo di convincere le ragazze a rimettersi in carreggiata.
Fu così che a Gerrard, ufficialmente odiato da tutti ma segretamente venerato dalla totalità dei maschi del paese, fu appioppato l'appellativo di "Infame". Del resto, con tutta la buona volontà del più santo dei santoni, era veramente difficile definire Gerrard una brava persona.
Gerrard l'Infame era l'uomo più spilorcio di tutta Redshrimp; non si fidava delle banche, nascondeva i pur cospicui proventi della Teiera Sibilante chissà dove. Da quando era giunto in città non aveva acquistato un solo paio di mutande, riciclava gli ormai consunti abiti del vecchio Jeff, che aveva le spalle almeno il doppio delle sue. Da quando non era più costretto a nutrirsi degli avanzi degli altri (anche se secondo le malelingue non aveva perso la sua vecchia abitudine), aveva messo su una spettacolare pancia, tonda come un mappamondo, ma i suoi arti erano rimasti scheletrici, e a vederlo camminare sembrava non avere le gambe. Forse anche per questo restava sempre dietro il bancone.
Come detto, questo buffo signorotto sembrava essere a conoscenza di tutti gli espedienti per risparmiare anche il singolo centesimo: coltivava egli stesso le piante da the, negli acri di sua proprietà, e lesinava anche sul the fornito ai clienti...Si diceva in giro che dopo le cinque, alla Teiera non si beveva più la rinomata bevanda, ma semplice acqua calda. Se avesse potuto, avrebbe coltivato anche la canna da zucchero, per risparmiare, ma in compenso era riuscito a chiudere un ottimo accordo con uno zuccherificio non molto distante da lì. Essere alle sue dipendenze equivaleva ad avere uno stipendio da fame, continuamente rosicchiato da quelle che lui chiamava "penitenze": un ritardo, una tazzina rotta, un paio di giorni di ferie erano dei lussi che non ci si poteva concedere. Se non fosse per le abbondanti mance lasciate dai clienti notturni della Teiera, Gerrard si sarebbe ben presto trovato a corto di personale.
Oltre ad essere brutto come la fame, l'Infame era così misogino da far rizzare i capelli anche ad una suora. Ma come biasimarlo? Lui, che ha visto innumerevoli e pregevoli seni e chiappe, ma non ne aveva mai toccato uno; lui, che era costantemente vittima di scherzi e soprusi da parte delle prosperose arpie, che lo battevano sia in astuzia che in forza fisica; lui, che era stato abbandonato dalla madre, andata chissà dove; lui, che aveva avuto un imprinting incentrato sulla donna come oggetto. Insomma, Gerrard non era assolutamente capace di relazionarsi con le donne. Odiava le clienti, odiava le sue sottoposte, ed utilizzava la sua posizione di privilegio per riprendersi la rivincita di una vita. Alcune puttanelle al suo servizio si lasciarono scappare che a volte correggeva il the delle sue clienti con sputi e chissà cos'altro. Le malelingue sostenevano che Gerrard fosse l'unico pappone al mondo a non intrattenersi con le sue lavoratrici, ed adducevano interessanti teorie a riguardo: alcuni avevano la certezza matematica che fosse frocio, altri che fosse impotente come un pompiere senz'acqua, i più fantasiosi erano certi che glielo avessero tagliato lì ad Ofiura, per pagare un debito o una scommessa.
In parole povere, Gerrard era un omino triviale, grottesco e senza il benché minimo accenno di grazia, nel fisico come nei modi di fare, che risultavano pesantemente contaminati dal teatrale e dal carnascialesco. Tuttavia Gerrard aveva una passione che aveva trovato finalmente terreno fertile il giorno in cui l'Infame uscì dall'ufficio del notaio di Redshrimp, ed era la tecnologia.
Aveva imparato a sue spese il peso della tecnologia, ed era un fermo sostenitore della teoria secondo la quale un impianto all'avanguardia permette di risparmiare, alla lunga. Si interessava dei nuovi prodigi della meccanica, delle nuove applicazioni della fisica, ma soffriva di un'artrite cronica alle mani, e non era in grado di maneggiare gli strumenti del mestiere senza sofferenze. Divenne fondamentale per lui l'amicizia con un giovane meccanico, ingegnere autodidatta, all'anagrafe registrato come Fedro Finnegar, ma da tutti conosciuto come Collembolo.
[continua nel post successivo...]

NOTA: a causa dell'automerge non posso incollare il resto del racconto...lo incollo nell'altro thread, prego Fat di postarlo al posto mio.
Questo automerge fa più danni che altro...
 

- FatmikE -

Typing Monkey
Ecco il post mancante di oghard.

Non molti sanno che i collemboli sono dei minuscoli invertebrati, rinvenibili un po' ovunque, sul legno e nel terriccio, che dispongono di una particolare appendice situata al di sotto dell'addome; all'occorrenza, il collembolo può azionare questa appendice, che scatta come una molla, e gli permette di schizzare via, attraversando notevoli distanze con un semplice balzo. Un po' come fanno le pulci.
Ecco, Fedro Finnegar era un carissimo ragazzo, anche carino se vogliamo dirla tutta, ma a detta dei suoi concittadini il poveraccio soffriva di allucinazioni e crisi improvvise; mentre era al lavoro, mentre dormiva, mentre era a tavola, qualunque cosa facesse, Collembolo, senza alcun apparente motivo e senza alcun preavviso, saltava via, rovesciava mobili, devastava ciò che aveva davanti, accompagnando lo scatto con un urlo o un respiro strozzato, e un balzo da primato. Fedro aveva lottato per anni contro questo suo problema, e dopo numerosi quanto fallimentari esperimenti, era giunto ad un compromesso: la molla non scattava fin quando Collembolo aveva mani e cervello impegnati. C'è da dire che la soluzione cascava a pennello, perché Fedro era un appassionato di meccanica sperimentale; figlio di un fabbro, sin da bambino il ragazzo era stato a contatto con martelli, tubi e fucine...il vapore non aveva segreti per lui. E quando, nel tentativo di far colpo su un'ancella della Teiera, realizzò un minuscolo locomotore in grado di scarrozzarsi per qualche metro con mezzo litro di the caldo, Gerrard ne rimase fulminato.
Tra i due nacque un sodalizio duraturo: Fedro divenne una sorta di guru per l'Infame, che, da bravo bifolco, ci capiva poco di teoria, ed era ancora più inutile nell'applicazione pratica, dato che l'artrite lo piegava al suolo dopo aver girato anche una semplice chiave a molla, e l'unica cosa che riusciva a maneggiare, anche con una certa abilità, era il denaro, tant'è che era bravissimo a farlo sparire, soprattutto quando si trattava di finanziare il buon Collembolo.
Il rapporto simbiontico che legava i due puzzava pesantemente di parassitismo: Fedro gli illustrava le nuove teorie che apprendeva dagli ingegneri diretti ad Ofiura, progettava nuovi macchinari per ottimizzare il servizio alla Teiera Sibilante ed ammortizzare i già infimi costi di gestione, si preoccupava di recuperare i pezzi di precisione dall'orologiaio, e si faceva forgiare gli altri dal padre, tra le infinite bestemmie di quest'ultimo, che doveva lavorare senza retribuzione. Sì, perché la leggendaria tirchieria di Gerrard non aveva confini, e ad ogni richiesta di finanziamento del povero Collembolo, l'Infame tergiversava, o più spesso, con una faccia di bronzo grande come un moai megalitico, gli diceva "Mi spiace ma ora sono a corto di contante", con un sorriso a metà tra il dispiaciuto e l'interdetto, ed una sala da trecento posti a sedere piena all'ottanta per cento. Nel migliore dei casi, Gerrard gli reperiva della paccottiglia radunata nelle sue scorribande in discarica, quasi sempre inutilizzabile, o gli concedeva, come rimborso spese, un quarto d'ora nello sgabuzzino con Beatrice, evento sempre più raro, a causa dei frequenti attacchi al limite dell'epilessia che colpivano il Collembolo nel momento topico dell'approccio, e che spesso avevano esiti pericolosi per la povera sgualdrina.
Nonostante questo rapporto che valicava i confini dello sfruttamento, il serafico Collembolo, che viveva nel suo mondo di stantuffi, ingranaggi e mostri allucinanti, e che non era certo un fenomeno nell'interazione sociale, faceva spallucce e si dava da fare. Ci metteva tutto sé stesso in quei progetti, un po' bislacchi, e quando lavorava ignorava il padre che minacciava di tagliargli le dita se avesse buttato altri soldi giù alla Teiera, ignorava i commenti tutt'altro che lusinghieri di gentiluomini e gentildonne quando lo vedevano raccogliere per strada gli utensili che lui stesso aveva gettato a terra un attimo prima, in preda all'ennesima allucinazione, ignorava il fatto che, passato il suo ventesimo compleanno, la sua abilità non gli aveva portato una sola moneta in tasca, e andava avanti. La sua ultima realizzazione risaliva ad una settimana prima, e consisteva in una sorta di titanica teiera, che avrebbe assicurato l'abolimento dei costi dell'acqua calda, fondamentale per la sala di Gerrard, grazie alla fusione di caldaie e fornelli, impedendo la dispersione del gas. Il meccanismo, indubbiamente, funzionava; uno dei due piccoli effetti collaterali di quel gioellino di ingegneria meccanica era che il the prodotto con l'acqua dell'enorme caldaia sapeva di calcare. Gerrard lo spacciava per una nuova varietà proveniente dagli atolli del Sud, e ne approfittò per ritoccare il prezzo di qualche decino. L'altro problema è che a intervalli più o meno regolari, la teiera fischiava con la stessa intensità di una locomotiva...Ma tutti si stavano convincendo che la cosa facesse folklore, e Gerrard stava addirittura progettando di indire dei piccoli giri turistici a visitare la grande caldaia, ovviamente a pagamento.
Fedro aveva tratto un grande benessere dall'ultima sua titanica opera. Si bullava con sé stesso, con il padre che continuava a considerarlo un fallito, con gli ingegneri di fatto che si limitavano a limitati lavori e miglioramenti a macchinari già esistenti. Persino gli attacchi erano diminuiti, anzi, erano pressocché spariti, e il Collembolo era tornato a pranzare assieme al resto della sua famiglia. Il piccolo castello di ingranaggi crollò quando il ragazzo, in cerca di un po' d'amore gratuito giù alla Teiera Sibilante, fu accolto da un Gerrard un po' stizzito, alle prese con una ragazza del luogo in cerca di lavoro, la cara Maria Lù.
"Ascolta Fedro...ci sono dei problemi, sul retro...la caldaia ha qualche problema". Il problema era percepibile a chiunque entrasse nel locale: uno strato di vapore, stazionante sul soffitto, stava saturando l'aria, mandando alle stelle la temperatura. I gentiluomini allentavano i loro cravattini, e gocce di rugiada solcavano i decolletée delle inservienti affaccendate. Le ladies, coperte quasi sino al mento, masticavano biscottini impassibili. Anche Fedro, entrato da meno di cinque minuti, si accorse che stava cominciando a sudare, ma non sapeva se ciò era dovuto al repentino cambio di temperatura o alla realizzazione che il suo progetto aveva qualche falla. Per un attimo gli parve che una proboscide stesse facendosi strada sul mento dell'amico.
"Deve essere qualche allacciamento alle tubature...gli stantuffi e la caldaia li ho controllati ieri, funzionavano alla grande...Si tratterà sicuramente di una sciocchezza, ora controllo e sistemo tutto...". Una sciocchezza, sì. Nulla di irreparabile.
L'Infame lo liquidò con un rapido gesto della mano: "Sì, sì, prenditi il tempo che ti serve...ho già spento la caldaia, queste baldracche faranno a meno del the per qualche ora...Ora va', che ho da fare. Ti faccio riscaldare la Beatrice". Quest'ultima, che era proprio di passaggio al termine della frase, squadrò il datore di lavoro e fece un chiaro, volgarissimo segno di dissenso. Gerrard rispose aggrinzendo fronte e labbra, come per dire "È una sciocchezza".
Così un motivato Fedro si insinuò, armato della sua cassetta degli attrezzi, tra il groviglio di tubature e valvole fumanti del retrosala, mentre Gerrard risolveva la pratica con Maria Lù. Nel frattempo la ragazza aveva indossato una delle succinte uniformi da cameriera, e l'oste la squadrava da capo a pie'.
"Allora, che ne dici?".
"Uhm...No, Lù, non ci siamo. È che non...non hai tette! Guarda, questa è la taglia più piccola che ho, e quanto spazio inutilizzato c'è!". Con l'occhio clinico di chi ne ha viste tante, Gerrard aveva colto nel segno. Lù era smilza come un'alice essiccata, e Madre Natura era stata decisamente impietosa con lei; quasi tutti gli uomini del paese potevano vantare un pettorale più prosperoso del suo. La ragazza, pur di ottenere un minimo di volume, con l'ausilio di fasce, reggiseni e bustini, era riuscita a farsele arrivare in gola, ma l'impatto visivo era pessimo. Maria si chinò a guardarle, ed effettivamente non si poteva dar torto allo schifoso. Ma non demorse.
"Sì, ma anche Eloisa le ha piccole...e lavora qui da anni...Ti pare giusto?". Maria Lù, come una capricciosa mocciosa, aveva preso a fare il broncio, dondolando come un lampadario dopo un terremoto.
"Eloisa non avrà chissà quale seno, ma è capace di spolparsi cinque uomini nel giro di un'ora...Tu, piuttosto, che sai fare?".
Maria Lù proveniva da una famiglia di mezzadri residenti nella zona rurale di Redshrimp. Era figlia unica, e passava tutto il tempo con la madre, una vecchia maestra di danza classica fallita. L'unico uccello che aveva mai visto era quello del padre, intento a pisciare sulle tane dei topi che avevano devastato il raccolto di zucche. C'erano ottime probabilità che non sapesse neanche come nascono i bambini.
"So suonare, so cantare, so ballare...guarda! Viiisssiiiii d'aaaarteeee....Viiiisssiiiii d'ammoooooorreeeee....". Maria intraprese qualche passo di danza, e prese a cantare dei celebri passi di varie opere liriche, mentre le gentildonne se la ridevano della grossa. Era indubbiamente brava; la madre le aveva insegnato tutto il suo repertorio, il problema è che la madre aveva finito le sue conoscenze parecchi anni prima, e ciclicamente ricominciava daccapo...Lù non ne poteva più. Doveva abbandonare la campagna, e dato che l'unica cosa che sapesse fare era l'intrattenimento musicale, la Teiera Sibilante era il suo passepartout per la grande vita...per Ofiura!
Gerrard capì immediatamente di avere a che fare con una contadinotta che andava a dormire alle sei del pomeriggio e si svegliava prima dell'alba; non aveva le competenze adatte per servirla nel locale, e non aveva soldi da buttare. Non aveva MAI soldi da buttare. Cercò di sbarazzarsene con il tatto di un rinoceronte:
"Maria Lù, Maria Lù...questa vita non fa per te, ascoltami. Piuttosto, so che il notaio cercava una segretaria...Sai leggere, giusto?".
Lù non la prese molto bene.
"So legg...Oh diamine, stiamo scherzando?! È uno scherzo questo, vero? Vorrei sapere cosa sanno fare queste tettone, visto che non mi reputi adatta! Sanno alzarsi sulle punte dei piedi? Scommetto di no! Sanno suonare il piano? No! E allora, perché sono qui?". Lù non accettava il rifiuto, e senza vergogna scalciava come una bambina trascinata di peso via dalle giostre. In effetti, fino a qualche anno prima, la si poteva considerare tale.
Mentre le virgulte sedute ai tavoli confabulavano tra loro con compostezza, le signore sgranocchiavano gallette ammuffite sghignazzando e sbriciolando dappertutto; alcuni gentiluomini avevano preso a cuore la battaglia di Lù, e si stavano avvicinando al bancone per cercare di adescare l'ingenua ragazza.
La scenetta fu bloccata dall'ingresso in sala di alcuni energumeni, alla cui testa c'era un uomo che Gerrard conosceva bene. I gentiluomini rinunciarono all'approccio e tornarono velocemente ai loro posti di combattimento. Le signore, visibilmente infastidite, tacquero, ma i loro sguardi di disprezzo dicevano molto.
Nel frattempo Fedro stava armeggiando al di sotto della grande teiera, noncurante delle gocce d'acqua bollente che percorrevano la circonferenza. Solo i suoi piedi segnalavano la sua presenza all'interno della sala macchine. Con l'aiuto di una grossa chiave inglese, stava avvitando alcuni pesanti bulloni.
Tra sgocciolamenti, stridii del vapore e i suoi stessi versi, dovuti allo sforzo fisico, non si rese conto che Gerrard lo stava chiamando.
Quando finalmente se ne accorse, Fedro sgusciò fuori.
"Ah Gerrard, sei tu. Ho controllato le condotte, e sono a norma. Per scrupolo, ho dato un'occhiata alle manopole della pressione, e le ho trovate allentate...Come se qualcuno le avess...". Solo allora si accorse che l'Infame non era solo.
Davanti a lui torreggiavano tre robusti operai, dai capelli unti e le vesti impolverate, che dovevano averne passate tante. Il più grosso di loro abbracciava un piccone, e sussurrava lentamente e ripetutamente "Il Collembolo..."; Fedro poteva giurare che con quel piccone quel tizio poteva fare a pezzi anche i diamanti.
Mentre questa immagine disturbante lo impegnò per alcuni secondi, nella sua mente si fece strada l'identikit di quel gorilla delle caverne: era Evaristo Onisco, conosciuto dagli amici come Gheriglio, soprannome derivante dalla sua passione per le noci e dal singolare record di non aver mai usato uno schiaccianoci in tutta la sua vita. Gheriglio e Collembolo avevano frequentato lo stesso istituto infantile, dove entrambi avevano già messo in mostra le loro qualità: mentre Fedro si dimostrava abile con le costruzioni e già dava di matto con scatti repentini, Evaristo maturava un'innata dote nello spaccare le pietre...e le palle. Ovviamente Gheriglio si comportava da aguzzino nei confronti di Collembolo, e sebbene quest'ultimo, complici i suoi attacchi, riuscì a restituirgli pan per focaccia in più di un'occasione, fu una manna dal cielo quando, a soli dieci anni, fu allontanato dall'istituto per intraprendere la carriera di minatore. Dall'ultima volta che lo aveva visto erano dunque passati dieci anni: i suoi tratti somatici erano sostanzialmente immutati, Evaristo conservava un viso fanciullesco che gli conferiva un'aura di bizzarria, ma le sue spalle avevano decuplicato la loro massa, e con essa la sua forza fisica.
Anche gli altri due erano ben piazzati, ma Fedro non riuscì a distogliere lo sguardo dagli occhi carichi di rancore di Evaristo. Finalmente esordì con una voce profonda come le miniere che aveva disossato:
"Collembolo, sei tu, eh?".
Fedro si guardò attorno, e per un attimo pensò che in quella stanza ci fosse anche una quinta persona, ma si sbagliava. Solo lui, i tre gorilla, e Gerrard, con uno sguardo carico di pietà e senso di colpa.
"Voi non...non siete qui per la caldaia, vero?".
"No, Collembolo, siamo qui per te...Volevamo sapere, così giochi a fare l'ingegnere, eh? Alla Cava di Karidin non si parla d'altro! Sei famoso, Collembolo!".
"F-famoso? Io? Ma no, dai! Cosa avrei mai fatto?". Fedro si inorgoglì al punto da abbandonare una giusta diffidenza. Se fosse stato un pavone, avrebbe aperto la coda a 360°.
"Sì! Sei famoso! Il padrone su a Karidin ha sentito parlare del tuo progetto di sfruttamento dei geyser della zona per ottenere energia...bene, ha ottenuto il progetto, che hai consegnato all'ufficio brevetti, e ha chiamato qualche ingegnere per farlo costruire...e il progetto funziona!".
"Ma non mi dire...funziona? Anche applicato alla miniera?". Fedro era su di giri, la notizia lo aveva portato al settimo cielo.
"Ohh sì, funziona! Le rotaie sono automatizzate! Quei carrelli si muovono da soli! Quei DANNATI CARRELLI si muovono da soli!". Evaristo prese a stritolare nervosamente il manico del piccone con la sua presa d'acciaio. Fedro non vi fece caso. Non pensava ad altro che a sé stesso.
"E quindi sei venuto a salutarmi? A ringraziarmi?".
Le parole di Gheriglio ormai fuoriuscivano dalla sua bocca digrignata: "Sììì! Lo sai che ha fatto il padrone? Ha detto che adesso non ha più bisogno di tanti operai...e quindi mi ha concesso una vacanza! Una LUNGA vacanza! E allora ho fatto delle indagini, ho cercato il nome dell'autore del progetto...e ho scoperto che sei tu! E allora mi sono detto...lo sai che mi sono detto? Perché non andare a trovare il mio vecchio amico Collembolo? Perché non andare a ringraziarlo di persona, assieme ai miei amici? Perché non andare a stringergli la mano?! VIENI QUA COLLEMBOLO, STRINGIMI LA MANO!".
Fu solo allora che Collembolo realizzò la furia cieca che stava prendendo possesso dell'energumeno. Tuttavia, la sua reazione fu istantanea, e molto istintiva: appena Evaristo gli tese la mano, o meglio, allungò la sua grinfia, Fedro si lanciò a capofitto al di sotto della caldaia, dove le nerborute braccia dei minatori non potevano acciuffarlo. L'azione repentina colse tutti in fallo, al punto che il povero meccanico riuscì ad avanzare quel tanto che bastava per essere fuori portata, anche di piccone.
"Sei sempre stato bravo a scattare, Collembolo, ma da questa stanza non ci esci con le tue gambe! Esci fuori, Collembolo, e combatti da vero uomo!".
La colluttazione fisica era impensabile, Gheriglio sarebbe stata una sfida impegnativa anche per un lottatore di sumo, figurarsi in tre, contro un ingegnerucolo attanagliato dalla paura! Sì, Fedro poteva sentire la paura reale, e non immaginaria, attanagliargli le viscere, grattargli i polmoni. Non era come quando i mostri gli comparivano davanti, all'improvviso. Era qualcosa di fisico e di totalizzante. Al punto da non accorgersi che davanti a lui, prono come lui, una figura lo fissava.
Era una testa di tapiro, con i tratti stilizzati e metallici, molto marcati. Una piccola proboscide era l'unica appendice mobile del suo viso, e si dimenava freneticamente, strusciando sul pavimento lordo. Alle spalle del capoccione era possibile intravedere una matassa di lana colorata, forse il mostro indossava una coperta, o un poncho. Da esso sbucavano due zampacce da quattro dita l'una, compreso un pollice opponibile.
Incredibilmente, Fedro fu preso dalla rassegnazione.
"Ohh, fantastico! Sono sotto una caldaia lercia, fuori ci sono tre bestioni che vogliono ridurmi come una fetta di groviera, e cosa? Ho anche le allucinazioni? Al diavolo tutto!". L'allucinazione replicò. Era la prima volta che i mostri gli parlavano.
"Al diavolo tu, idiota! Ora ascoltami, se non vuoi che ti riducano come una vena di quarzo!".
 

Valchiria

SoHead Perfumier - Queen of the year
CAPITLO II - IL TAPIRO

"Esci fuori da questa caldaia, dì loro 'Io sono il grande Fedro Finnegar, nessuno può sconfiggermi', poi corri via veloce, più veloce che puoi."
"Ma da quando i tapiri parlano, e danno consigli sensati...non prendermi per un pazzo"
"Ti sembro un tapiro? Il vapore ti fa brutti scherzi." disse la figura mostrando il suo corpo.
Fedro intravide due seni, poi alzò lo sguardo per vedere se la faccia fosse di donna ma vide sempre un tapiro.
"Sei un'allucinazione, vai via...non ho bisogno di te. Se mi vogliono uccidere mi uccidessero. Prima o poi deve capitare."
La strana creatura prese la mano del giovane e la pose sul suo seno. "Ti sembro un'allucinazione? -
Fedro che non aveva mai toccato un seno di donna che non fosse quello di sua madre arrossì e tolse immediatamente la mano - Ora stammi bene a sentire: ci vado io la fuori con i tre omaccioni. Tu scappa da dove sono entrata io. di qui c'è un percorso segreto che solo le tapire conoscono" sorrise e uscì da quel buco. Si sentì un forte rumore come se qualcosa di pesante fosse caduto a terra, però il vapore era tanto e non si vedeva molto bene.
Il suo corpo però era ben visibile ed era stupendo al contrario il viso era qualcosa di orrido. Fedro, convinto che fosse frutto della sua fantasia, non si schifò più di tanto. Quando vide che il buco c'era realmente si voltò per ringraziare la sua allucinazione, ma era sparita ed allora, rassegnato, si infilò dentro. Dopo qualche metro intravide un filo di luce, accelerò e poco dopo fu fuori. Era il retro del locale, di operai non c'era traccia. Non sapeva dove andare. Se fosse tornato a casa Evaristo e i suoi amici l'avrebbero trovato. Decise allora di aspettare lì infilato nel buco fin quando qualcuno non fosse venuto a cercarlo.

"Dannato Collembolo, esci immediatamente di lì o ti giuro che violenterò quel tuo fottuto culo peloso!!!"
Il grassone avvicinò la testa alla botola per cercare di scovare Collembolo ma proprio in quell'istante ci fu una piccola esplosione. Il vapore che già usciva da quel buco iniziò ad aumentare. Il grassone iniziò ad urlare:
"La mia povera faccia, fottuto Collembolo. La mia faccia, la mia faccia. Quel fottuto vapore è peggio di una fiamma..ahah la mia faccia. Ti spezzerò ogni osso, ti ucciderò sottospecie di ingegnere".
Tutti i clienti del locale iniziarono ad uscire strillando, il vapore stava invadendo tutto il locale. Gerrard iniziò ad imprecare perchè non tutti avevano pagato per quello che avevano ordinato. Uscì anche lui per reclamare i soldi.
Quando il vapore fu in gran parte dissolto, da quel buco uscì una figura. Sembrava fluttuare nel vuoto, il vapore aveva creato uno strano effetto attorno alla figura, sembrava un Dio uscito dalle tenebre.
Evaristo era a terra con il viso completamente ustionato. L'adrenalina l'aveva tenuto sveglio per qualche secondo poi il dolore aveva preso il sopravento.
"Voi, andatevene immediatamente, questo locale non è di Collembolo, non potete disturbare qui dentro. Avete visto cosa succede a chi mi da fastidio. Il vostro amico avrà un brutto risveglio."
I due che erano con Evaristo caddero a terra per lo spavento. Quella che parlava era una donna con una faccia di tapiro. Presero sulle spalle il malcapitato Evaristo e senza dir nulla iniziarono a correre urlando qualcosa di incomprensibile. Sembravano delle donnicciole dopo aver visto un lombrico.

Sentite le urla, Collembolo capì che i tre operai se ne erano andati ed allora ripercorse il buco e uscì dalla botola. Al bancone sedeva una donna, all'entrata c'era Gerrard che la guardava con disprezzo.
"Che diavolo è successo qui dentro" disse Gerrard, iracondo per la fuga dei clienti. Non aveva recuperato tutti i clienti ed era sicuro che qualcuno fosse scappato approfittando dell'inconveniente.
"Niente, la caldaia era un po' difettosa, non ha retto lo spavento." disse lei ridacchiando.
"Si Gerrard, era difettata l'avrei aggiustata in tempo se non fossero venuti quei tre uomini."
La donna si girò verso Collembolo con uno sguardo di commiserazione. Agli occhi di Collembolo apparve una donna dalla pelle bianca, dai lunghi capelli neri e lisci, dagli occhi così chiari che parevano bianchi, un fisico asciutto e nonostante questo, aveva un seno molto prosperoso. Era sicuramente era una forestiera, una donna del genere non si scorda tanto facilmente e lui era sicuro di non averla mai vista prima.
"Non vi preoccupate del locale - disse lei rigirandosi verso Gerrard - sono venuta qui per proporvi un affare."
"Le donne portano solo rogne, non voglio neanche starti a sentire. Vattene e non farti più vedere qui dentro. La tua arroganza mi irrita. Sei solo una donna, fattene una ragione." Disse Gerrard infastidito per l'accaduto.
"Si, so come la pensi. Vi stupirò signore: non sono semplicemente una donna. Sono una vedova - fece una pausa sistemandosi i capelli - una vedova che ha ereditato una fortuna dal povero marito defunto."
Collembolo si avvicinò a lei. Quando le fu davanti, fu subito attratto da un oggetto, probabilmente d'ottone che la donna aveva ai suoi piedi. Pensò che l'avesse già visto da qualche parte ma non capì subito cosa fosse.
"Che maleducata che sono, non mi sono presentata. Il mio nome è Regina Softwill vedova di Sir Softwill. Direttamente da Londra per concludere affari con voi."
"Vi ringrazio Mrs. Softwill per avermi aiutato, sono entrato nel panico. Credo di dovervi la vita." disse Collembolo accennando un inchino.
"Aspetta a ringraziarmi, non so come la prenderà il povero Evaristo quando vedrà in che condizioni è la sua faccia. - si rigirò verso Gerrard e poi continuò - Allora, Mr. Nascara, i miei soldi non vi interessano?"
"Per quale motivo una vedova apparentemente ricca vorrebbe darmi sei soldi? Le donne non sono così generose, non mi incantate con il vostro viso d'angelo"
La donna si chinò verso quella strana cassa d'ottone che aveva ai suoi piedi. Quando l'aprì sembrava quasi una macchina fotografica poi, dopo aver azionato una manovella, iniziò ad uscire un po' di vapore e il suo viso prese le sembianze di un animale, un tapiro.
"Ora ho ancora un viso d'angelo?" Scoppiò in una folle risata, sembrava come impazzita.
Appena vide la scena Collembolo capì subito dove aveva visto quell'oggetto e si ricordò anche dell'inventore di quello strano marchingegno, nell'articolo non era specificato se l'inventore di quella macchina fosse una donna ma era sicuro che l'inventore portasse il suo cognome. Forse era stata un'opera del defunto marito.
Gerrard rimase senza parole, non aveva mai visto niente del genere. Non fece trapelare dalla sua espressione la sua curiosità perchè quella era pur sempre una donna, al contrario Collembolo ne fu entusiasta e non poté fare a meno di inondare la donna di domande.
Alla fine capì che l'ingegnere che aveva progettato il marchingegno non era stato un uomo bensì era stata la stessa Regina, una delle poche donne ingegnere del paese.
"Ora avete capito perchè sono qui?"
Gerrard fece segno di no con il capo.
"Sono venuta qui per finanziare Collembolo affinché possa avere tutti i mezzi possibili per creare tutto quello che la sua testa gli dice. So che lui lavora per voi, Mr. Nascara. E' per questo che voglio diventare vostra socia. Come ho detto mio marito mi ha lasciato molti denari ma i denari non durano per sempre, se lavorerò con voi potrò finanziare Collembolo e avere anche un lavoro. Vi farò uno sconto su tutte le sue invenzioni. E' un affare, non trovate?"
"Non se ne parla nemmeno. Collembolo lavora per me, io lo pago per i lavori che fa quindi non vedo perchè dovrei pagare di più una cosa che ho già."
"Mi avevano avvertito che voi eravate un tipo spilorcio, ma io mi affido a Collembolo. Che dici, ti va di essere un mio collaboratore?"
Collembolo non se lo fece ripetere due volte, finalmente aveva trovato qualcuno che poteva pagarlo, suo padre sarebbe stato orgoglioso di lui e perchè no, forse poteva anche provarci con la donna. Gli dispiacque per Gerrard ma non poteva proprio rifiutare un'offerta del genere.
Gerrard avrebbe preferito la morte al condividere il proprio fatturato con un'altra persona e rifiutò l'offerta.

Nelle settimane successive Regina e Collembolo iniziarono a lavorare, con il materiale comprato era molto più semplice riuscire a creare dei prototipi da presentare anche ai privati. Collembolo era pienamente soddisfatto della sua attività, non aveva più allucinazioni e il padre era orgoglioso di lui.
Procedeva tutto per il meglio, i tre operai non si erano più fatti vedere anzi si era sparsa la voce che avessero trovato un nuovo lavoro. Gerrard e Collembolo non si erano più incontrati dall'arrivo di Regina e a Collembolo non dispiaceva affatto. La donna gli aveva fatto capire che Gerrard lo sfruttava per le sue capacità e che in realtà non lo considerava un amico. Una sera però gli capitò tra le mani il progetto della caldaia che aveva progettato per la locanda e si ricordò che aveva bisogno di essere aggiustata e che certamente Gerrard con la sua artrosi non ci sarebbe mai riuscito.
La mattina seguente passò dalla Teiera. Gerrard era come al solito dietro il bancone e le cameriere sculettavano qua e là per la stanza. Appena si avvicinò all'entrata Gerrard gli menò un'occhiataccia.
"Scusa se non mi sono fatto sentire. Ti aspettavo nel laboratorio per farti vedere quello che io e Regina stiamo progettando. Quella donna è un portento, credo che la troveresti piacevole."
"Una donna un portento? Suvvia Collembolo non dirmi che ti sei fatto infinocchiare da due occhioni dolci e da due tette"
"Non puoi dire certe cose, non la conosci. E' una donna straordinaria."
"Sei venuto fin qui per farmi concludere l'affare con la tua signora?"
"No, sono venuto per la caldaia"
I due così passarono la mattinata insieme discutendo dei vari progetti ai quali stava lavorando.
Regina si era alzata da poco, quella mattina aveva un appuntamento con un signorotto del posto. Una donna nubile di buona famiglia e di gentile aspetto non poteva di certo rimanere sola a lungo. Tra l'altro l'affare con Gerrard era saltato e per rimediare al suo fallimento, doveva trovare un sostituto temporaneo, quello a cui aspirava era sempre la Teiera.
Il suo ultimo marito era morto misteriosamente a soli 30 anni. Non aveva parenti a Londra quindi la sua morte passò quasi inosservata, aveva solo un amico Sir. Lefdan un uomo intelligente, anche troppo per i gusti di Regina. Lui sospettava di Regina; aveva capito che tipo di donna ella fosse e che avrebbe fatto di tutto per avere i soldi del suo amico. Una sera di metà agosto Lefdan convinto della sua teoria andò a casa di Regina intento a smascherarla ed a farla andare in carcere per il crimine commesso. Chiamò anche le guardie per farla arrestare. Purtroppo per Lefdan non era molto abile con le parole e Regina al contrario poteva benissimo non parlare e convincere una platea di uomini delle sue ragioni. Nonostante questo primo fallimento, le minacce di Lefdan si susseguirono per tutto il mese ed allora Regina, esausta ma anche terrorizzata al sol pensiero che l'uomo trovasse effettivamente le prove della sua colpevolezza, decise di cambiare aria. Licenziò tutta la servitù e senza avvertire nessuno partì nel cuore della notte. Decise di trasferirsi in un paesello sperando di trovare gente ingenua e ignorante che non avrebbe fatto domande sul suo passato. Si trasferì a Redshrimp dove appena arrivata sentì parlare della Teiera e dei guadagni che il proprietario faceva. Pensò che una donna come lei poteva affascinare ogni tipo di uomo e che quindi sarebbe bastato poco per diventare la Signora Nascara.
 
Alto