CAPITOLO I - COLLEMBOLO
Era settembre. La sala da the era ricolma di signore attempate ed addobbate a festa, giovani virgulte messe in mostra dalle madri e qualche sparuto Sir, che, tra un sigaro ed una partita a poker, si rifaceva gli occhi sulle vistose scollature delle inservienti che sciamavano tra un tavolo e l'altro; i più arditi non mancavano di lustrarsi il monocolo per indagare al meglio sul neo di Patricia, generosamente sportasi per liberare il tavolo dai rimasugli dell'aperitivo, o per capire se Genoveffa, la bionda al bancone, indossava un potente push-up, o le aveva così alte per natura. Quei bastardi, sopraffatti da inopportune erezioni e calcoli matematici improvvisati, neanche badavano alle più pudiche donzelle nubili; e sì che ce ne erano di carine, discrete, tutte imbellettate a mo' di bambole di porcellana...Ma come compatire i gentiluomini? Con tutto quel ben di Dio sbattuto in faccia, chi avrebbe potuto semplicemente pensare ad intavolare una conversazione con una di queste bomboniere, ed impegnarsi in un progetto a lungo, LUNGO termine, fatto di lettere, romanticismo e bacetti sulla guancia? Ecco, nessuno. Le madri ne erano consapevoli, ma continuavano a presentarsi alla Teiera Sibilante con le loro leggiadre sedicenni, quasi per inerzia, per abitudine. Stizzite all'inverosimile, divenivano verdi come il the alla menta che sorseggiavano ad ogni occhiata complice tra i signori e le cameriere, e si appollaiavano lì, sulle loro sedie, a mo' di avvoltoi, in attesa della prima defaoiance di questa o quella sgallettata, pronte a ridacchiare della prima tazzina rotta della Betty, a commentare diabolicamente le unte code di cavallo delle ancelle più sudate, o peggio, a ripudiare le pesanti teiere di gruppo trasportate sui vassoi, bollandole come "non abbastanza caldo", "troppo zuccherato" o "non alla vaniglia", nella speranza che le poveracce, stremate dal trasporto incessante tra la cucina e la sala di questi sbuffanti teieroni da tre litri, inciampassero e si rovesciassero addosso il bollente contenuto. Magari sui pregiati seni...in modo che ustioni e scorticature avrebbero impedito per sempre alle sgualdrinotte di mettere in mostra cotale mercanzia.
Ma le vecchiarde avevano una buona parola per tutti! Oltre all'invidia e la rabbiosa nostalgia per i bei tempi andati, le signore sfogavano con il pettegolezzo anche rifiuti coniugali, frustrazioni matrimoniali ed improbabili desideri erotici sui gentiluomini di mezz'età (anche se non mancavano i figli di buona famiglia ancora imberbi) che frequentavano il posto. Ne avevano per tutti: il Signor Tocqueville non aveva più un erezione dai tempi del college, e si limitava ad "accarezzare la micia" della consorte, e di chissà quante altre conigliette; il Barone Rampinelli, che veniva spessissimo alle cinque ad insegnare gli scacchi a suo nipote, istruiva il suo prediletto a "muovere anche la sua torre"; il Signore dal nome impronunciabile, Schfaschbuckler, che ormai beveva birra a credito da un mese, aveva perso tutti i suoi risparmi in un investimento su tecnologie obsolete che avevano a che fare con i fulmini, ed era scampato miracolosamente a ben cinque tentativi di suicidio; la moglie del latifondista Cozza, il quale era puntuale come il tramonto alla Teiera dopo le sei del pomeriggio, non dormiva più con lui da anni, e preferiva visitare gli alloggi dei contadini. E ce ne erano di storie da raccontare, più o meno esagerate, più o meno fondate! Ogni personaggio che frequentava la Teiera, anche gli stranieri di passaggio, avevano almeno uno scheletro dell'armadio, sempre diverso, e questa la diceva lunga sulle esperienze che quelle vecchie baldracche avevano vissuto in gioventù; tutti però, indistintamente, non arrivavano ad avere il valore e la virilità dei loro padri, neanche di un'unghia dei padri, veri uomini di una volta, e tutti potevano fregiarsi dell'inglorioso titolo di "Magnaccia da bordello".
Già, perché le cose avevano preso un'altra piega alla morte di Jeff Stivale, vecchio proprietario della Teiera Sibilante. Uomo impassibile, profondo perseguitore della morale, lui non avrebbe mai permesso quello che succede oggi, davanti agli occhi di tutti...Tutte le signore, quando ancora non sapevano come nascono i bambini, frequentavano la Teiera, così come facevano le loro madri, e tutte avevano accalappiato i loro mariti tra i migliori rampolli del jet-set di Redshrimp...Ma il vecchio Jeff era scomparso da almeno dieci anni, e di lui era sopravvissuto solo questo bel ricordo, un po' teatralizzato, al quale le vegliarde erano rimaste aggrappate con le unghie e con i denti. Del resto, la sua stessa scomparsa ha a che fare con il leggendario, e non c'era un solo bambino in tutta Redshrimp che non conosceva la storiella. Della sua morte, o meglio, della sua presunta morte, si sapeva poco o nulla; l'unica cosa certa è che Jeff, una notte, decise di non rincasare. La moglie, preoccupata, mattarello in una mano e lanterna nell'altra, si recò al locale, convinta di trovare il marito addormentato sul bancone in una pozza di acquavite e vomito, e invece...Nulla, nessuno. Il locale era aperto, le luci ancora accese, ma...Non c'era nessuno. Le bottiglie non mancavano, il barattolone con gli incassi era immacolato al suo posto, nessun pezzo di argenteria, neanche una teiera di porcellana era stata portata via...Niente. Tranne uno stivale, ma non uno stivale qualsiasi, uno dei due che indossava Jeff, all'impiedi sul bancone. Era il sinistro. Da lì in poi non fu trovato più nulla di Jeff, neanche un capello. Gli dedicarono un funerale bizzarro, un lustro dopo la sua sparizione, dove neanche il prete sapeva cosa dire. Non ebbero il coraggio di seppellire lo stivale, che ancora è in bella mostra nell'eccentrico museo cittadino.
Fatto sta che il vecchio proprietario, all'epoca della sparizione, aveva superato la settantina, ed essendo un uomo prudente, aveva stilato un testamento. La casa, la terra e il locale andarono sibillinamente alla coriacea moglie, la quale raggiunse il marito pochi mesi dopo, erosa dalla curiosità di sapere che fine aveva fatto il consorte. Tutti i possedimenti finirono in mano ad un nipote di secondo o terzo grado, residente nella lontana Ofiura: il suo nome era Gerrard Nascara, ma ormai tutti a Redshrimp lo identificavano come Gerrard l'Infame.
Quando arrivò in città Gerrard non aveva ancora trent'anni. Non aveva nulla. Nemmeno una valigia di cartone. Era stato forgiato dalla storpia mano dei bassifondi della grande Ofiura, e dalle grosse mani degli energumeni, infinitamente più forti di lui, che si abbatterono innumerevoli volte sulla sua esile figura. Il vecchio Jeff, quando era giovane, aveva fiutato il puzzo di marcio che c'era dietro le attività della sua famiglia, partì per l'entroterra a cercare fortuna, e la trovò. Quando Gerrard nacque, i Nascara, da generazioni al servizio di uno dei Signori della Pesca, possedevano solo un guscio di noce attraccato al porto di Ofiura. Non era neanche loro in effetti, l'avevano trattenuto come "liquidazione", dato che il vetusto Signore, che dava loro da mangiare, attaccato ai vecchi metodi di pesca con veliero, fu letteralmente schiacciato dalla concorrenza dei brigantini a vapore. Quando "Speranza", questo era il nome della sua nave, partì per la solita, disperata battuta di pesca, e non tornò, Gerrard capì di essere l'unico superstite della sua famiglia, o più probabilmente, di essere stato abbandonato al suo destino. Aveva tredici anni.
Una dieta basata su avanzi di spazzatura e crocchette per cani, e priva di qualsiasi tipo di vitamina, aveva lasciato grandi segni sulla sua vita, sottoforma di guance butterate come i marciapiedi che frequentava, mani gialle come le arance che non aveva mai visto, e gambe ossute come gli scarti che rubava dai macellai. Nonostante tutto questo, nonostante le notti sotto i ponti abbracciato ai randagi, nonostante i continui pestaggi delle ronde notturne, Gerrard sopravvisse. Campò di espedienti, a lungo, per molti anni lavorò come mozzo sui brigantini che avevano affondato la sua famiglia, La necessità e il suo strambo fisico lo avevano trasformato in un abile intrattenitore, una sorta di giullare, e dopo anni passati a pelare patate e ramazzare ponti, fu notato una sera da un potente pappone, organizzatore di una serata "speciale" a largo, nell'oceano, dove nessuno poteva rompere le scatole. Fu intravisto da questo benefattore, tra una tetta ed un culo, mentre gli altri marinai lo costringevano ad esibirsi, ancora ed ancora, nel suo numero migliore, il Passo del Pollaccio. Mosso da un misto di pietà, curiosità e senso dell'umorismo, il pappone decise di portarselo con sé, sulla terraferma, nel suo locale. Lì fu lavato, vestito, gli fu dato un lavoro, uno scopo, fu istruito: sì, Gerrard, a diciott'anni suonati, imparò a suonare il piano, a leggere e scrivere. Frequentò a lungo l'ufficio delle Nascite di Ofiura, nella speranza di trovare tracce di suoi possibili parenti, sopravvissuti alla miseria, e fu così che riuscì a rintracciare i Nascara di Redshrimp, ed intavolare una fitta corrispondenza con Jeff Stivale e sua moglie, pochi anni prima della sua sparizione. Fu così che riuscì a ritagliarsi un posto nel cuore dei vecchi coniugi, ma soprattutto nel testamento della vecchia, riuscendo, quasi inconsapevolmente, a raddrizzare la sua vita.
Quando arrivò sotto i suoi occhi la lettera del notaio, all'inizio, pensò ad uno scherzo delle troie che frequentavano il bordello. Le odiava. Non sapeva nulla della morte di Jeff e di sua moglie, perché nessuno, ad eccezione del notaio, sapeva della sua esistenza su a Redshrimp, e, dopo il costante affievolirsi della corrispondenza con i suoi parenti, aveva pensato di essere stato abbandonato per l'ennesima volta. Dopo aver letto la lettera con il simbolo dello studio legale, Gerrard non ci pensò a lungo: arraffò i suoi risparmi, composti unicamente dalle monetine lanciategli dai clienti del bordello dopo una canzone o un piccolo sketch, se li infilò nelle mutande, e scappò via da Ofiura, da quel mondo di promiscuità e violenza gratuita, nella speranza di cominciare una nuova vita nell'entroterra, così come fece Jeff molti anni prima di lui. E come Jeff, ci riuscì. A differenza del vecchio Stivale, però, Gerrard era stato indelebilmente sfregiato dalla sua triste esperienza nella bettola.
Al suo arrivo a Redshrimp, nessuno avrebbe puntato un nichelino su di lui: non aveva mai avuto nulla, e più di un riccastro era convinto che sarebbe bastato sventolargli qualche spicciolo sotto il naso per soffiargli via le redditizie proprietà del vecchio Stivale. Ma Gerrard era dotato di una naturale malizia, e di soldi, nella sua lunga carriera di intrattenitore di bordello, ne aveva visti tanti, e conosceva il loro valore. Non si lasciò fregare da nessuno, ed aveva le competenze necessarie per far sopravvivere la già redditizia attività del vecchio Stivale; più precisamente, aveva le competenze per dare una svecchiata alla vita di Redshrimp.
Dopo un mese dal suo insediamento, arrivarono le prime ragazze. Relegò Fabula, ormai inappetente quarantenne, in cucina, a sfornare torte, biscottini e the dai poliedrici gusti, e lasciò che fossero le giovani adolescenti della città, in cerca di un impiego, a servire ai tavoli. All'inizio si trattava di semplici, aggraziate fanciulle, vestite a modo. Con il tempo, le gonne divennero sempre più corte, le camicie sempre più sbottonate, le labbra sempre più rosse. Lentamente le ragazze impararono a trattare con i gentiluomini del paese, ad intrattenere ed intrattenersi all'interno della Teiera ad orari sempre più notturni...Lentamente, la bigotta ed ingenua Redshrimp conobbe gli infestanti tentacoli di Ofiura, ma nessuno dei moralizzatori, delle autorità del paese si oppose, a meno che, nelle lunghe notti della Teiera, gli innumerevoli giudici ed avvocati si intrattenessero al suo interno nel tentativo di convincere le ragazze a rimettersi in carreggiata.
Fu così che a Gerrard, ufficialmente odiato da tutti ma segretamente venerato dalla totalità dei maschi del paese, fu appioppato l'appellativo di "Infame". Del resto, con tutta la buona volontà del più santo dei santoni, era veramente difficile definire Gerrard una brava persona.
Gerrard l'Infame era l'uomo più spilorcio di tutta Redshrimp; non si fidava delle banche, nascondeva i pur cospicui proventi della Teiera Sibilante chissà dove. Da quando era giunto in città non aveva acquistato un solo paio di mutande, riciclava gli ormai consunti abiti del vecchio Jeff, che aveva le spalle almeno il doppio delle sue. Da quando non era più costretto a nutrirsi degli avanzi degli altri (anche se secondo le malelingue non aveva perso la sua vecchia abitudine), aveva messo su una spettacolare pancia, tonda come un mappamondo, ma i suoi arti erano rimasti scheletrici, e a vederlo camminare sembrava non avere le gambe. Forse anche per questo restava sempre dietro il bancone.
Come detto, questo buffo signorotto sembrava essere a conoscenza di tutti gli espedienti per risparmiare anche il singolo centesimo: coltivava egli stesso le piante da the, negli acri di sua proprietà, e lesinava anche sul the fornito ai clienti...Si diceva in giro che dopo le cinque, alla Teiera non si beveva più la rinomata bevanda, ma semplice acqua calda. Se avesse potuto, avrebbe coltivato anche la canna da zucchero, per risparmiare, ma in compenso era riuscito a chiudere un ottimo accordo con uno zuccherificio non molto distante da lì. Essere alle sue dipendenze equivaleva ad avere uno stipendio da fame, continuamente rosicchiato da quelle che lui chiamava "penitenze": un ritardo, una tazzina rotta, un paio di giorni di ferie erano dei lussi che non ci si poteva concedere. Se non fosse per le abbondanti mance lasciate dai clienti notturni della Teiera, Gerrard si sarebbe ben presto trovato a corto di personale.
Oltre ad essere brutto come la fame, l'Infame era così misogino da far rizzare i capelli anche ad una suora. Ma come biasimarlo? Lui, che ha visto innumerevoli e pregevoli seni e chiappe, ma non ne aveva mai toccato uno; lui, che era costantemente vittima di scherzi e soprusi da parte delle prosperose arpie, che lo battevano sia in astuzia che in forza fisica; lui, che era stato abbandonato dalla madre, andata chissà dove; lui, che aveva avuto un imprinting incentrato sulla donna come oggetto. Insomma, Gerrard non era assolutamente capace di relazionarsi con le donne. Odiava le clienti, odiava le sue sottoposte, ed utilizzava la sua posizione di privilegio per riprendersi la rivincita di una vita. Alcune puttanelle al suo servizio si lasciarono scappare che a volte correggeva il the delle sue clienti con sputi e chissà cos'altro. Le malelingue sostenevano che Gerrard fosse l'unico pappone al mondo a non intrattenersi con le sue lavoratrici, ed adducevano interessanti teorie a riguardo: alcuni avevano la certezza matematica che fosse frocio, altri che fosse impotente come un pompiere senz'acqua, i più fantasiosi erano certi che glielo avessero tagliato lì ad Ofiura, per pagare un debito o una scommessa.
In parole povere, Gerrard era un omino triviale, grottesco e senza il benché minimo accenno di grazia, nel fisico come nei modi di fare, che risultavano pesantemente contaminati dal teatrale e dal carnascialesco. Tuttavia Gerrard aveva una passione che aveva trovato finalmente terreno fertile il giorno in cui l'Infame uscì dall'ufficio del notaio di Redshrimp, ed era la tecnologia.
Aveva imparato a sue spese il peso della tecnologia, ed era un fermo sostenitore della teoria secondo la quale un impianto all'avanguardia permette di risparmiare, alla lunga. Si interessava dei nuovi prodigi della meccanica, delle nuove applicazioni della fisica, ma soffriva di un'artrite cronica alle mani, e non era in grado di maneggiare gli strumenti del mestiere senza sofferenze. Divenne fondamentale per lui l'amicizia con un giovane meccanico, ingegnere autodidatta, all'anagrafe registrato come Fedro Finnegar, ma da tutti conosciuto come Collembolo.
[continua nel post successivo...]
NOTA: a causa dell'automerge non posso incollare il resto del racconto...lo incollo nell'altro thread, prego Fat di postarlo al posto mio.
Questo automerge fa più danni che altro...