Sembrava un giorno come un altro a Roma, la città si risvegliava e si preparava ad affrontare uno dei tanti dies comitiliaes (giorni adatti per l'attività politica). Nel Foro Romano, gradualmente, le assemblee venivano convocate. Quando il Concilium Plebis venne convocato dal tribuno delle plebe Quinto Ogulnio Gallo nessuno si aspettava una seduta così focosa.
Lucio figlio di Quinto, un capopopolo molto carismatico, è il primo a prendere la parola.
"Orgogliosa plebe di Roma, voglio portare di fronte a voi oggi una questione della massima importanza. E' ormai molti anni che, forti delle nostre vittorie politiche, abbiamo potuto arrivare ai più alti gradi del cursus honorum. Ora plebei possono dire di essersi fregiato dell'onore del consolato, ora il volere della plebe dell'Urbe è finalmente rispettato e temuto. Tuttavia nella nostra costituzione permane ancora un posto di privilegio, forse di poco potere effettivo ma sicuramente dal grande valore simbolico e sociale. Sto parlando del Pontificato Massimo, la più alta carica religiosa. Esso è ancora fermamente in mano ai patrizi, a coloro che vorrebbero toglierci le conquiste tanto faticosamente fatte. Per questo voglio proporre al nostro buon tribuno Quinto Ogulnio, che venga votata, qua, in questa Assemblea una proposta di legge affinchè il Pontificato Massimo sia aperto anche ai plebei. Che il nostro tribuno si faccia portatore della nostra volontà e che sottoponga tale richiesta alle assemblee relative.
Ma fate attenzione, i nemici non sono solo dalla parte dei moralisti conservatori, così avizziti nella loro idea oligarchica, ma sono anche qua. Tra di noi. Tra quei plebei che ormai affogano nella ricchezza e nella gloria e, ora, tendono a comportarsi come se non peggio i tanto odiati patrizi.
Questa è una battaglia che non possiamo perdere, se Roma non ci ascolterà allora sarà lotta dura e i canuti Senatori si pentiranno di non averci preso sul serio ancora una volta."
Le parole di Lucio ammutoliscono il Concilium Plebis, ormai quasi non più abituato a tale veemenza da quando i plebei si sono insediati con efficacia in quasi tutte le magistrature. Da lontano, sui gradini della Curia del Senato, un gruppo di senatori osserva con sguardo preoccupato l'evolversi dell'assemblea.
Chi tra i giocatori di Roma ha seggi nel Concilium Plebis può partecipare alla discussione e tentare di influenzarla. Tra qualche giorno reale si voterà
Lucio figlio di Quinto, un capopopolo molto carismatico, è il primo a prendere la parola.
"Orgogliosa plebe di Roma, voglio portare di fronte a voi oggi una questione della massima importanza. E' ormai molti anni che, forti delle nostre vittorie politiche, abbiamo potuto arrivare ai più alti gradi del cursus honorum. Ora plebei possono dire di essersi fregiato dell'onore del consolato, ora il volere della plebe dell'Urbe è finalmente rispettato e temuto. Tuttavia nella nostra costituzione permane ancora un posto di privilegio, forse di poco potere effettivo ma sicuramente dal grande valore simbolico e sociale. Sto parlando del Pontificato Massimo, la più alta carica religiosa. Esso è ancora fermamente in mano ai patrizi, a coloro che vorrebbero toglierci le conquiste tanto faticosamente fatte. Per questo voglio proporre al nostro buon tribuno Quinto Ogulnio, che venga votata, qua, in questa Assemblea una proposta di legge affinchè il Pontificato Massimo sia aperto anche ai plebei. Che il nostro tribuno si faccia portatore della nostra volontà e che sottoponga tale richiesta alle assemblee relative.
Ma fate attenzione, i nemici non sono solo dalla parte dei moralisti conservatori, così avizziti nella loro idea oligarchica, ma sono anche qua. Tra di noi. Tra quei plebei che ormai affogano nella ricchezza e nella gloria e, ora, tendono a comportarsi come se non peggio i tanto odiati patrizi.
Questa è una battaglia che non possiamo perdere, se Roma non ci ascolterà allora sarà lotta dura e i canuti Senatori si pentiranno di non averci preso sul serio ancora una volta."
Le parole di Lucio ammutoliscono il Concilium Plebis, ormai quasi non più abituato a tale veemenza da quando i plebei si sono insediati con efficacia in quasi tutte le magistrature. Da lontano, sui gradini della Curia del Senato, un gruppo di senatori osserva con sguardo preoccupato l'evolversi dell'assemblea.
Chi tra i giocatori di Roma ha seggi nel Concilium Plebis può partecipare alla discussione e tentare di influenzarla. Tra qualche giorno reale si voterà