Diplomazia [Coro-Dovjunaar] Fahdonne

Dyolance

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La comunità del Coro nell'ultimo anno aveva investito innumerevoli risorse in una sola cosa: crescere. In regioni, certo, considerato l'abbattimento dei mostruosi vermi in Isteria e la colonizzazione della stessa, ma soprattutto in numero. Anni e anni di corsa sfrenata all'espansione, in un moto disperato quasi di voler arrivare in determinate parti del mondo conosciuto il più in fretta possibile, o magari prima che ci arrivassero altri -malintenzionati, non ben pensanti come invece lo era la Collettività del Tutto- lasciavano intendere una strategia votata allo sviluppo in orizzontale piuttosto che in verticale sulle singole regioni, in cui il fabbisogno del domani sarebbe stato soddisfatto dalle regioni occupate nell'oggi, o addirittura in quelle del domani. Ora però il mondo cominciava a farsi più piccolo, lo spazio più stretto, e le ampie distese di speranzosa facile espansione stavano finendo. L'Uno s'era preso del tempo per guardarsi dentro, cosa che in effetti stava facendo su innumerevoli livelli...

Comandato da una lunga analisi interiore era l'incontro di quell'anno con il Dovjunaar, l'ennesimo in quasi un decennio di scambi commerciali e culturali tra i due "individui" (uno politico e uno nel vero senso della parola). Comandato, sì, per molti motivi: la voglia di stringere sempre maggiori legami con il pacifico vicino, di rafforzare i patti di non aggressione stipulati già firmati dal tuonare di thu'um dopo secoli e secoli; il trovare a destra e manca stati tra i più disparati, o entità tra le più diversificate, molte amichevoli, ma chissà che in futuro non sarebbe arrivato qualche nemico; infine, la volontà d'affidarsi ad un amico per un consiglio.
In ogni caso, per dare ulteriore sfondo all'incontro, è giusto specificare che esso sia stato proposto non da una delle parti, bensì da entrambe: come due compari che pensano e dicono la stessa identica cosa nello stesso momento, così il Dovjunaar e il Coro Astrale si erano trovati all'inizio dell'anno nuovo con le medesime intenzioni. Felici del fatto, è bastato determinare una data e un posto per l'incontro, renderlo ufficiale, e suggellare ciò che si voleva suggellare.
Ecco quindi che la dragonide Thala Latis, facce ormai così famigliari per il Dominio del Drago, si fa trovare sulle sponde dello Xilibas tra l'astrale Dor Lomin e la dragonide (e recentemente annessa) Ragnvald. Un luogo simbolico, in quanto il fiume fluiva interamente ed esclusivamente all'interno e per i confini dei due stati, rendendoli fratelli accomunati dal corso d'acqua. Molti, nell'Uno, si stupivano di quanta strada avessero fatto... Eppure il lavoro era ancora così tanto...
Bando alle ciance: quanto s'andava a consumare sarebbe stato qualcosa da libri di storia, il primo caso diplomatico dalla Fine del Mondo.

Alcune driadi armate accompagnano Thala Latis, più per scena in realtà considerando che il Dovjunaar mai si è dimostrato pericoloso; assieme agli astanti e alla legata, un paio di mastri commercianti, secondi, assistenti e segretari del buon Bomberil, impegnato in altra parte del globo terracqueo in quello stesso momento.
Tra i tanti adulti, un bambino umano.

@Monitor_Dundee
personaggio: Thala Latis (Dragonide)
 

Monitor_Dundee

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Mikaelis non ricordava di avere mai fatto viaggi di piacere con lo zio Senatore, troppo preso dagli affari di Stato per pretendere di fare attenzione ai parenti e alla loro prole.
Non sembrava sarebbe stata questa l'occasione per recuperare quel tempo perduto, visto che la loro carrozza viaggiava verso l'incontro con l'inspiegabile mente alveare che sembrava unire gli abitanti della nazione confinante.
"Confine" e "Nazione" erano parole dimenticate, dal suono bizzarro, figurarsi tutto il resto.

"Ho già incontrato un emissario del Coro, ma ho bisogno delle tue esperienze con il loro lato più... singolare"
"Mio Signore e Zio, ho incontrato due dei loro diplomatici mentre ero già impegnato nel lavoro con le Apoptosi e..."
"Non nominare quelle creature, un così brillante incantatore!"
Per anni i suoi esperimenti con la magia erano stati visti come distrazioni, ma ora che l'aveva abbandonata...
"E le tue capacità magiche sarebbero state terribilmente utili, in questa trasferta."
Ecco. Ora lo riconosceva
"Avete dato il mio titolo e il mio laboratorio a una Matriarca Formian, stento a immaginare a qualcuno di meglio equipaggiato per comprendere il Coro."
"Sai meglio di me che anche Anixidris è rimasta senza parole di fronte alla natura del Coro. Mantenere relazioni pacifiche ci dà anche tempo per colmare questa lacuna di ignoranza"
"Quello che so di loro... di Esso è che un albero alto chilometri ha trasformato centomila creature in cellule di un unico cervello. Non è la PRIMA cosa che mi tiene sveglio la notte, ma è sul podio."

...

La delegazione era formata dai due notabili Dragondi e da un seguito di Elfi, Formian e Dragonidi, variamente distribuiti tra soldati, portatori e funzionari di palazzo, una ventina scarsa di senzienti, accompagnati da un egual numero di creature cervidi e lucertoloidi usate come mezzi di trasporto.
La carovana giunse all'ansa del fiume, dove le valli scelte come spartiacque tra le nazioni si aprivano su lati opposti del torrente, e vedendo il luogo già occupato gli attendenti non persero tempo a smontare tende e tavoli, e ad approntare un accampamento.
Il Diarca Ormos scese rapido dalla carrozza e, seguito dal nipote e da due armigeri, si diresse a braccia aperte verso il gruppo di Astrali.
"Salute a Voi, a nome del Dovjunaar. Salute al Coro tutto. Il nostro incontro avviene in un luogo fausto, recentemente reso sicuro."
 

Dyolance

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L'Uno attese pazientemente i suoi vicini imbandendo le tavole e i rinfreschi a cui il Dovjunaar era abituato a ricevere nelle relazioni con lui. Non era strano infatti che le carovane mercantili draconiane, quando incontrate da quelle astrali, fossero coperte di picnic e vettovaglie, questo per festeggiare con ogni singolo membro del regno dragonide il rapporto che condivideva con la singolarità nella sua interezza. La signora Franca o il panettiere Gino, nativi di Kiinarlok, non potevano sapere che oltre le foreste e verso le foci dello Xilibas ci fosse un qualcuno che, forse anche con un pizzico di naiveté, vedeva in ogni singolo membro del Dovjunaar un amico, un fratello, un compagno; forse perché l'Uno vedeva gli altri stati come se fossero diverse declinazioni di se stesso... D'altronde il pensiero dello stato non è forse quello del suo Principe, o le azioni del popolo non sono forse quelle comandate dal Sovrano? Una filosofia curiosa quella astrale: stati amici e stati nemici si fondavano su stessi concetti, ma se lo stato amico era appunto un'amichevole variazione della propria stessa esistenza (tutti raccolti in Uno, autenticamente nel Coro, metaforicamente negli stati) quello nemico sarebbe stato probabilmente additato come soggetto alla tirannia dei pochi e i suoi cittaidini perciò non liberi e anzi da dover soccorrere dall'ignoranza dell'esistenza in cui, senza saperlo, si trovavano. Nella sua immensa razionalità forse anche il Coro aveva dei chiariscuri.

In ogni caso, l'atteggiamento verso il Dovjunaar era sfrontatamente amichevole, senza remore alcuna: gli astrali sorridevano e cantavano con la gioia del loro unico cuore ma con la maestosità delle loro molte voci. Thala Latis, presente e rappresentante, si congratulò per la diversità del contingente dragonide.
"Piacevole vedere un'accozzaglia come questa, così tante culture, così tante voci; e poi ci dicono che siamo così dissimili dal resto del mondo, ohoh" - sghignazzò la faccia rossa della donna, accompagnata da quella verde e quella nera. Quella blu rimase silenziosa, quella bianca, come altre volte, scelse arbitrariamente un qualcuno da fissare per tutta la durata dell'incontro. Quella volta il caso cadde sul buon Mikaelis, già conosciuto alle attenzioni della Latis.
"Mh, sì, un buon lavoro è stato fatto in queste terre. Ora il fiume scorre sicuro: una vittoria per tutti, ma..."
La digressione della Latis venne fermata dal serpenteggiare attento della testa nera, improvvisamente così interessata ad annusare l'aria in direzione di Ormos. Questo avvenne durante il discorso della dragonide, che venne interrotta non dall'atteggiamento istrionico di una delle sue tante teste ma dal fatto che questa s'avvicinò verso di lei per sussurrarle qualcosa all'orecchio. La stessa si fermò per ascoltare, di fatto, se stessa. "Oh." - commentò incuriosita. "Mh." - aggiunse quindi pensosa.
"Noi siamo sicuri d'aver condiviso con voi il perché vi abbiamo proposto questo incontro, così siamo sicuri d'aver inteso che voi foste equamente convinti del prossimo passo. Siamo altresì sicuri d'aver condiviso con voi la necessità d'avere un confronto con amici, con Padri della nazione in particolare."
La sottolineatura al padri non significa un'enfasi nel discorso della dragonide, quanto piuttosto una sottolineatura su un concetto che si rivelerà importante durante l'incontro. Di fatto il discorso della Latis è da intendere come andare liscio e diretto, e non interrotto da qualche dettaglio particolare che spezzi il ritmo della sua parlata o sia degno di qualche descrizione.
"Eppure questa dragonide annusa diffidenza, nell'aria. Le vostre movenze lo tradiscono, le vostre voci lo nascondono, l'odore dei vostri liquidi corporei lo lascia intendere. State avendo ripensamenti, cari? Sta male, sapete, giacere con una donna solo perché si ha necessità di svuotare le palle e non per amore autentico, o anche solo attrazione. Dobbiamo intendere che non vi siamo graditi? È per via di questa tribuna deforme? Possiamo inviarne d'altre più affini ai vostri gusti, se lo preferite."
 

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Il Diarca Ormos ormai era abituato alla bizzara Dragonide policefala scelta dal Coro come voce per parlare al Dovjunaar, ma Mikaelis non fu evidentemente in grado di mascherare il suo disagio.
Ad essere sinceri, stava pensando che tra questo e un altro incontro con l'Apoptosi sarebbe stato difficile scegliere.
Piu' di una volta si trovo' troppo attento a guardare negli occhi il volto bianco per seguire la conversazione...
Fortunatamente suo zio era nel suo elemento naturale.

Il Diarca Kostas seguiva senza fatica la danza delle teste, fissando gli occhi in quella che, al momento, gli rivolgeva la parola o sembrava piu' attenta alle sue.
"Cambiare il pubblico? Passare ad un diverso assortimento di comprimari per voi e' come per noi mutare espressione del viso, cercando di mascherare cio' che si pensa. Abbiamo deciso di parlare con sincerita' e, a quanto pare, fisiologica schiettezza, quindi non sara' necessario. Abbiamo intenzione di proseguire il dialogo diplomatico, e di stringere accordi piu' vincolanti."

Il Diarca passo' lo sguardo da una testa all'altra, come per verificare di essere ascoltato da tutte e cinque.

"Capisco che per Vostra natura sia difficile distinguere tra i rapporti tra individui e quelli tra stati e nazioni, essendo le due cose per Voi essenzialmente sovrapposte, ma un accordo diplomatico e' come un buon matrimonio. Non ha nulla a che fare con il desiderio, il trasporto o la passione. E' un contratto, e come tale va considerato."


Un discreto colpo di coda riscosse Mikaelis, di nuovo distratto dalla testa del drago glaciale.

"Se leggete in noi esitazione, anche timore, non e' dovuto all'esito di questo incontro, ne' alle nostre intenzioni.
Semmai, e' prodotto della nostra profonda ignoranza. Mio nipote e' piu' incline alla curiosita' accademica di me, ma condivido la sua posizione. Gli accordi che prendiamo con il Coro sono presi con un tipo di organizzazione del quale sappiamo spaventosamente poco, e di cui e' difficile prevedere intenzioni, reazioni, piani futuri. In questi tempi di fame e paura gia' il dialogo tra comunita' eguali e' problematico, senza che vengano messi sul piatto interrogativi filosofici sulla natura della coscienza e del pensiero. Veniamo a voi come se il Coro fosse un Regno come il nostro o come quelli del mondo andato, perche' a questo siamo abituati. Perdonate se la nostra cautela puo' essere scambiata per ripensamento."
 

Dyolance

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Non si può nascondere che nella persona di Thala Latis il Coro rimase sorpreso dalla sincerità del Diarca Kostas. Le sue parole tradivano pensieri, filosofie di vita su cui si reggeva l'individuo e attraverso cui l'individuo prendeva quindi scelte che poi influenzavano la nazione.
Il ragionamento fu gradito dalla coscienza collettiva, così abituata a fondarsi nelle decisioni sulla ragion di stato, sull'utilizzo esatto di voci e risorse come se fossero numeri in una tabella. Il sacrificio di uno era beneficio dell'Uno, di tutti, e da questo mantra venivano guidati i vari membri della moltitudine... Se eroici volontari, paladini, servi, oppure semplici marionette quella era una questione per le filosofie, appunto. Forse però, sorprendentemente, il Coro presentatosi quel giorno al cospetto del Diarca era particolarmente interessato proprio a quell'elemento evanescente.

"Siete prigioniero della vostra stazione, mio signore: che visione bieca di ciò che c'è di più bello e, mi permetto di dire, sensato al mondo. Dovreste provare a scigolere i nodi che legano e soffocano il vostro cuore; con la dragonide giusta anche il vostro popolo non vi biasimerebbe"
Il pensiero Latis strideva con quello del collettivo, ma in ultima la singola voce non poteva che piegarsi e perdersi nell'immensità del Coro in cui viveva.
"Questo lo pensa Thala Latis, ma il Coro invece apprezza la vostra schiettezza e la vostra ragion di stato. Non ne è compiaciuto, non dopo anni e anni di piacevole convivenza e vicinato, ma lo comprende. Il Nostro esistere provoca dubbi che solo prove di fede o approssimazioni possono allontanare, raramente fugare. Mh."

La Latis si sedette sull'erba dei prati davanti ai suoi onorevoli interlocutori, reclamando la terra come tavolo e il mondo come stanza. In certi atteggiamenti il Coro non era dissimile da una tribù primitiva, lontani dalle etichette complesse e ricercate di una corte reale; per giunta nel loro accomodarsi non pensarono neanche un minuto di star facendo qualcosa di riprovevole. Cosa c'era di più ovvio e spontaneo di sedersi sull'erba fresca mentre si parlava tra amici?
La Latis s'accese la pipa e nel farlo sembrava meditare intensamente.
"Noi e voi. Il perché ufficiale che ci riunisce qui sta diventando irrilevante, oppure non ha mai avuto davvero rilevanza. Già dal nostro primo incontro anni vi promettemmo che i vostri nemici sarebbero diventati i nostri nemici, ammesso che questi nemici avessero tentato di violare la vostra esistenza. Il seme di quelle parole è cresciuto e siamo qui per raccoglierne i frutti... Ma Noi stiamo cominciando a capire che il Coro non può vivere di soli contratti, di promesse e di mantenimento di quelle promesse. Per quanto fugaci, forse è nelle parole e nelle opinioni la chiave: sarebbe più auspicabile essere maggiormente capiti da voi apparati di diarchi, dinastie e corti reali che suggellare l'ennessimo accordo. Noi lo percepiamo: l'armonia e la perfezione del nostro canto è stridore nelle vostre orecchie, quatno meno al momento.
Nessun amore può nascere da questo matrimonio. Non da questi presupposti."


Le parole furono particolarmente importanti e il Coro lasciò un secondo di tempo ai dragonidi per poterle assimiliare. Una brezza leggera percorse la piana e fece danzare i fili d'erba alta e bassa, alcuni frustando sulle ginocchia dei presenti ma in maniera piacevole. Thala Latis prese un'ultima boccata di pipa prima di fare una nuova domanda.

"In questi anni avete parlato con noi diverse volte. Avete contrattato con noi, commerciato con noi. Sapete poco, ma vi sarete fatti le vostre idee o avrete fatto le vostre congetture in merito al nostro Noi. Vi ascoltiamo."
 

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"Era mio intento mettere a nudo i nostri pregiudizi, nel nome di un accordo basato innanzitutto sulla sincerità, non certo di offendervi, o di mostrarci restii alla collaborazione. L'accordo che prenderemo sarà scritto con un linguaggio che possiamo capire e che possiamo spiegare alla nostra gente, un linguaggio fatto di popoli, territori e paesi, ma è nostra speranza che questo contatto superficiale, come lo definite, non sia solo un punto di arrivo.

Corti e confini fanno parte del Mondo Che Era, e né noi, né voi appartengono ad esso.
Contrariamente a molti in questo Mondo Nuovo, non consideriamo gli effetti del Collasso come una maledizione che corrompe Ea, il nostro credo non prevede di tornare indietro.

Viviamo in un mondo nuovo, e l'Apocalisse è stata prodiga di Doni, sta a noi decidere se accettarli o rifuggerli.
Ignoro se il vostro legame sia fatto di centomila menti in dialogo costante, come un'immensa, costante assemblea, o se le Voci del Coro altro non sono che organi, cellule di un corpo più grande, e non so nemmeno se questa distinzione abbia senso per Voi.
Quello che so è che il Collasso vi ha portato a legarvi più strettamente per sopravvivere, e questo, in maniera meno... letterale è successo anche a noi. Questo è stato il vostro Dono, e non è dato a noi di comprenderlo."


Mikaelis prese coraggio, e sentì che era arrivato il momento di dire la sua:
"Forse solo una creatura capace di far parte del Coro per un periodo limitato, tornando all'individualità e alla condizione primaria, sarebbe in grado di comprendere entrambe le posizioni. La mia è ovviamente un'ipotesi...."

Il Diarca scoccò uno sguardo gelido al nipote
"...e come ipotesi non ha intenzione di mancarvi di rispetto o di offendere."
 

Dyolance

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Abile politico, il Diarca dribblò bellamente la richiesta del Coro. Un atteggiamento sorprendente nella sua, chiamiamola con il suo nome, paraculaggine: il non voler dare opinioni perché non stava a lui dare giudizi sulla natura del Coro, fondamentalmente qualcosa che non conosceva... Eppure il Coro voleva sentire quell'opinione, anzi voleva essere giudicato da un'assemblea di cittadini stranieri e da rappresentanti che potessero vantare la Loro fiducia. Era il giudizio di un pari, o magari addirittura di un amico.

"Il vostro rispetto è apprezzato... Ma non necessitiamo di esso, al momento. Cerchiamo da uno stato amico, un partner per quasi dieci anni e presto un alleato, la sincerità che altri non possono darci.
Saremo più diretti nella nostra ricerca di consiglio: la nostra natura è a questo mondo estranea, misteriosa, e parlando con Noi sono spesso paura e diffidenza a farla da padrone. Ogni parola guidata dalla curiosità e la necessità di disvelare, di sollevare il velo e vedere cosa ci sia dall'altra parte.
Sappiamo con certezza che alcuni vogliano estirparci, e se non saranno loro, presto ne saranno altri. Temiamo che sempre avremo Noi nemici... Genti che anche dopo aver ottenuto la verità non possa accettarla. Con questa certezza stiamo cercando di parlare in Noi stessi, comprendere come agire in futuro; come prepararci, e come preparare i nostri figli."


A quel punto si fece avanti il piccolo bambino umano, qualcuno che aveva conosciuto il Coro un paio d'anni prima dell'incontro tra questo e il Dovjunaar. Il grande disvelamento della verità, parziale se non totale, stava arrivando per il Dovjunaar. I primi a saperlo.
Gli occhi del bambino persero improvvisamente l'iride e s'illuminarono d'un blu notturno, profondo ma luminoso, e nei suoi occhi minuscoli punti bianchi segnavano le stelle. L'aria si fece più pesante e l'atteggiamento dei membri del Coro più solenne alla presenza del bambino, come se tra di loro fosse appena sceso, incarnato, il loro dio. Il bambino stesso sembrava posseduto, oltre che per gli occhi, da una potenza superiore: la sua voce rimbombò come il fulmine, con la profondità delle distese più remote dello spazio.
In sottofondo, tra le parole, si poteva distintamente udire il canto melodico tipico del Coro in una maniera più insistente di altre volte. Forse alcuni tra i dragonidi meno resistenti dal punto di vista mentale avrebbero potuto cominciare a sentire una generale sensazione di benessere e rilassatezza.

"Noi vi salutiamo, fahdonne, che nella vostra lingua sappiamo significhi amici. Vi riteniamo tali, e perciò davanti a voi: Noi Siamo. Non abbiate paura di Noi. Siamo qui come Padri preoccupati per i propri Figli.
Per voi, un paradosso: sapete con certezza che la vostra presenza mette in pericolo lo stato d'esistenza fisico dei vostri figli e che un nemico non si esiterebbe a eradicar loro per giungere a voi; equamente, sapete con altrettanta certezza che la vostra mancanza storpierebbe i vostri figli, che senza di voi la loro esistenza fisica e spirituale si torcerebbe su stessa e per il resto delle loro vite sarebbe un imbastardimento delle loro idee originali a guidarli. Idee che potrebbero farli diventare pericolosi per sorelle e fratelli, mogli e mariti, o vicini.

Noi Siamo. Noi attendiamo la vostra risposta."
 

Monitor_Dundee

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"Comprendo perfettamente la vostra posizione. Un'ammissione di incomprensione e' segno di ignoranza, e l'ignoranza porta sospetto, paura, odio. Lo dichiaro a tutte le Voci del Coro, e al Coro stesso: non percorreremo questa strada. Ogni nuova creatura su Ea, nata dopo il Collasso, e' stata a suo modo benedetta da Alduin, e non sta a noi giudicarla degna o indegna di esistere. Quello che possiamo fare e' cercare di convivere in pace, e con il Coro non e' stato difficile. Il nostro confine e' sicuro, i nostri scambi pacifici, i nostri commerci floridi. Per questo ci impegniamo qui e ora a difendere le Voci del Coro, i suoi abitanti e il suo territorio in caso di aggressione esterna, con la serena sicurezza che il Coro e' pronto a fare lo stesso per noi. Non ho la presunzione di capire l'intima natura del vostro legame, ma non per questo lo giudico innaturale o sbagliato."
 
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