Contest [CONCORSO LETTERARIO] I concorrenti

Fakè

Chosen one
Adesso posterò anonimamente tutti i pezzi che mi sono stati inviati, vi lascio un po' di tempo per leggerli e poi apro un poll.
:zoidberg:
 

Fakè

Chosen one
Culex


Tramonta il Sole chino ormai in su le messi d'oro;
Il contadino greve di sudore su la fronte,
S'avvia con passo lasso verso un bel cespo d'alloro,
Baluardo di frescura contro l'astro all'orizzonte.
La torre del paese batte sette, otto rintocchi,
Ed i lavoratori tornano alle lor dimore;
Ma al nostro eroe, purtroppo, si stan già serrando gl'occhi,
Ed oblierà per molto il passare delle ore.
morente il giorno, Elio s'accovaccia dietro un pesco,
Creature s'addormentano, mentre altre prendon vita;
La prole e la consorte sono già sedute al desco,
E attendon titubanti la persona lì assopita.
Ah, marito ingrato! Proletar senza premura!
Non pensi a chi hai creato e a chi hai legato il tuo destino?
Sprofonda la famiglia in un abisso di paura,
Mentre ti bei nel sogno, e lo farai fino al mattino!
Ma i Numi non transigono sulla tua negligenza,
E invocano per te una creatura della sera:
Crudele in quel di giugno è la Divina Provvidenza,
Perché ti ha riservato una condanna assai severa.
Un crotalo macchiato passa tra li suoi indumenti,
Non fatevi ingannare dal suo sguardo triste e ameno!
Occulta nella bocca i canini, cavi denti,
Coi quali inietterà più che fatale il suo veleno.
Ma ecco che interviene un terzo, strambo personaggio,
Che librasi nell'aere resa argentea dalla Luna;
Eroica per arsura, certo non per il coraggio,
Signori, è la zanzara, che non vuol restar digiuna.
Appare titubante, ma è sicura del suo fiuto,
Veloce s'appropinqua, individua, posa e punge;
Gingilla brevemente col suo ago a mo' d'imbuto,
Come vermiglia vacca il contadino spreme e munge.
Ma la zanzara beve, beve, e non fa caso all'oste,
Punture su punture fanno desto quel villano,
Che, pronto a ripagare la bestiaccia con batoste,
S'appresta a massacrarla con il tocco della mano.
E la zanzara pingue non può più volare bene,
Non evita lo schiaffo, rapido come una freccia,
La morte la raggiunge, senza neanche troppe pene;
Finisce a colorare di rubino la corteccia.
Il crotalo sussulta, sbigottisce, s'imbarazza,
Traspare lo sgomento sul suo volto da assassino,
Da lampo si dilegua nella verde e bruna chiazza,
Sì rapido che lascia in toto ignaro il contadino.
Il villico si rende conto delle ore spese,
Lo fa gettando in alto, alla Luna, un lungo sguardo;
Raccatta la sua roba e corre via, giù al paese,
Perché vol rimediare al mostruoso suo ritardo!


Giammai un solo verso, epitaffio, o pensiero,
Incideremo mesti su una lapide di pietra
Per l'essere minuto che, qual celere guerriero,
Salvò quel contadino da una sorte nera e tetra.
Del resto, chi mai celebra zanzare con fervore?
SIam forse sciroccati dalle menti assai contorte?
Un male male resta, anche se male minore,
E anche se ci salva dalle fauci della morte.
 

Fakè

Chosen one
La banana africana.

Quella notte, quando mi svegliai, mi sentivo strano. Non riesco a spiegarmi meglio di così, non mi ero mai sentito a quella maniera. Non avevo male, e non mi sentivo bene. Era come se qualcosa dentro di me non andasse e basta.
Anna dormiva. Il suo respiro ritmato era l'unico suono nella stanza. La sveglia segnava le 2,12.
Restai supino a fissare al buio quello che doveva essere il soffitto, con gli occhi sbarrati, inquieto.
La sera prima avevo bevuto parecchio, è vero, ma non era quello. No, io so cosa vuol dire essere sbronzi, e dovete credermi se vi dico che i postumi dell'alcol non c'entravano un cazzo con come mi sentissi. La testa non mi dava fastidio, non avevo la bocca allappata e non mi scappava neanche di pisciare. Mi sentivo solo, come dire, "strano" appunto.
Il cazzo mi tirava di brutto. Infilai la mano sotto le lenzuola per massaggiarmelo un po'.
Ragazzi miei, non vi dico la faccia che feci (anche perché era buio) ma mi meravigliai come un bambino della mia erezione. Per un attimo dubitai addirittura di me stesso, o meglio, del fatto che quello fosse il mio, di cazzo. Era grosso, troppo grosso, tanto che dopo un primo momento di soddisfazione estrema cominciò a salirmi l'ansia.
Scostai le coperte, cercai le ciabatte coi piedi e mi alzai.
Mi grattai le palle. Non mi facevano male, ma erano grandi come due prugne.
Corsi in corridoio, nel panico più totale. "No eh! No eh!"
Inciampai, mi rialzai, bestemmiai, sfondai con un calcio la porta del cesso.
Accesi la luce.
Mi vidi nel grande specchio sopra il lavandino, senza riconoscermi. Mi tastai la faccia, aprii la bocca, tirai fuori la lingua.
"Cristo, lo sapevo," dissi, "sono diventato negro."
 

Fakè

Chosen one
LA GRANDE SCRIVANIA

C'è questa grande scrivania in mezzo all'ufficio. Tutta piena di tamarrate e scartoffie e altre facezie inguardabili. E poi c'è questa macchia di sangue che si anima sulla superficie. E comincia a parlare e dice che era la macchia di sangue di Napoleone Bonaparte. E se non s'è sbiadita è perchè era merito di dio. E se per porco giuda cazzo qualcuno volesse cominciare a dirle dietro qualcosa, beh lei dice che si arrabbierebbe. Dio. E intanto che va avanti a proclami passano 4 giorni e 4 notti; e tutte le penne e le gomme, e tutta quella cancelleria da ufficio la ascolta, è li ben disposta: ascoltano, commentano, qualcuno è rapito. E per 4 giorni e 4 notti la macchia di sangue va avanti a ciarlare. E fa incazzare. Fa incazzare chi narra questa storia e non può intervenire perchè non fa altro questa macchia di sangue che ipnotizzare tutto il popolo della scrivania. Poi all'alba del quinto giorno, la macchia di sangue comincia a girare vorticosamente, come impazzita, come una trottola della daskagrosnja, come un tortello inspiegabilmente vivente immerso nel burro rovente. Comincia a girare e goccioline di sangue macchiano penne, fermacarte, cucitrici e tutta quella fauna malata li accorsa ad ascoltare. E gira e gira. sempre più vorticosamente come un derviscio del cazzo, o come il tamburo di una mitragliatrice se mai una mitragliatrice avesse un tamburo. E finalmente l'ipnosi finisce e le cucitrici, le penne, le gomme, le matite, si scuotono. Hanno un fremito. Guardano come la macchia di sangue animata si è centrifugata da sola, vedono che si sono sporcati di quella macchia, di quel sangue, e urlano terrorizzati. E scappano via nuovamente dentro i cassetti, tra le mensole, negli armadi coi raccoglitori che li scacciano perchè i raccoglitori sono tutti di destra.
E la macchia di sangue continua a girare, finchè non si sparge del tutto in tutta la stanza. La sua scia ha disegnato un grande cerchio, sulla scrivania. E resta li questo cerchio come il cerchio che ho in testa e che continua a farmi una domanda che è un lager. Una domanda che è un forno crematorio. Una domanda che è una persecuzione.

Ma perchè non posso votarmi al prossimo, gratuitamente, senza che egli fugga ogni volta?
Perchè devo essere falso?
 

Fakè

Chosen one
Racconti dal treno

L' uomo portava un piccolo bagaglio a mano, una specie di fagotto, che appoggiava lungo la spalla
destra, una volta trovato un posto libero ci appoggiò sopra le sue poche cose per appropriarsene, con
calma poi cominciò a togliersi il cappotto.
Faceva freddo e il treno non era riscaldato, alzando lo sguardo, poteva ora
vedere i suoi temporanei compagni di viaggio, nel sedile proprio di fronte al suo si trovava un
bambino intento a giocare con un cellulare, mentre subito alla sua sinistra una donna adulta,
probabilmente la madre.
Nessuno dei due sembrava badare a lui, compiaciuto di questa assurda possibilità di passare
inosservato, frugando nel suo bagaglio ne tirò fuori un piccolo libro il quale aveva la rilegatura
perfettamente intatta.
L' uomo passò la mano più volte lungo la superficie del libro, dopodichè sfogliò pigramente le
pagine fino a dare un' occhiata all' ultima, un piccolo cenno di piacere fece capolino sul suo volto.
Dopo aver letto le prime righe, i primi sbadigli cominciarono a distrarlo, gli occhi gli si
inumidivano di lacrime ad ogni sbadiglio e questo dava l' imbarazzante impressione che fosse
commosso da quel che leggeva, fortunatamente però le persone che aveva di fronte guardavano da
tutt' altra parte, sotto, o dietro, comunque non davanti.
L' ennesimo sbadiglio alla sola prima pagina scatenò in lui un inaspettato moto d' azione, chiuse il
libro infilandoci dentro il biglietto del treno come segnalibro, si alzò per andare verso il bagno.
Erano diversi giorni che non si specchiava, della barba irregolare aveva cominciato a crescere sul
suo viso, passandosi istintivamente la mano sulle guance riscoprì casualmente il piacere di un gioco
infantile: coprirsi con una mano una parte del volto e tentare di riconoscersi nella nuova immagine
di sè.
Gli sembrò di aver passato troppo tempo in bagno quindi senza neanche urinare tornò di nuovo al
suo posto, il piccolo libro era lì appoggiato sul suo sedile, doveva per forza riprenderlo in mano per
sedersi.
Dopo essersi di nuovo sistemato di fronte al bambino con il cellulare, aprì nuovamente la prima
pagina del libro per continuare a leggere. Gli sbadigli tornarono ad assillarlo, chiuse gli occhi
innervosito e lasciò cadere il peso della testa qualche istante sul suo braccio sinistro.
Aveva freddo, si alzò per andare a prendere il proprio cappotto che aveva probabilmente
dimenticato in bagno, trovò però la scritta "Guasto" sulla porta, ora bloccata, gli sembrava
impossibile e questa sua impressione veniva confermata dal fatto che la scritta era stata fatta direttamente sulla porta e, soprattutto, con la chiara grafia di un bambino.
Decise quindi di andare al bagno della carrozza più avanti. Superato il breve corridoio che unisce i
vari pezzi di treno, vide i contorni di una figura familiare che si trovava al fondo della carrozza, una
ragazza di cui sicuramente conosceva almeno i capelli.
La ragazza era di spalle rispetto a lui, alzava ed abbassava scattosamente la sua mano sinistra,
sembrava immersa in un discorso piuttosto animato, nel raggiungerla doveva però salutare i tanti
amici seduti ai sedili precedenti, molte mani si tendevano verso di lui e lui doveva stringerle tutte:
alcune amichevolmente, altre cordialmente.
Aveva la percezione chiara e distinta che quella ragazza sarebbe scesa di lì a poco, infatti poteva
vedere il treno che entrava in stazione e cominciava a rallentare, in preda al terrore di lasciare
qualche amico senza saluto tentò freneticamente di stringere tutte le mani, nel farlo però perse l'
equilibrio a causa dell' arresto brusco del treno.
Stava cadendo, lentamente ma stava cadendo, le mani protese verso di lui, a cui ora si aggrappava,
venivano giù con lui senza oppore la minima resistenza.
Una risata di bambino fu l' unica cosa che sentì dal buio della caduta, subito seguito da un
ammonimento severo da parte di una voce femminile, aperti gli occhi vide di fronte a sè il bambino,
sentiva parte del volto impiastricciato di saliva e si rese conto di aver colpito il finestrino con la
testa.
La bocca impastata e la saliva incollata alla sua guancia sinistra lo obbligarono ad andare al bagno
per sciacquarsi il volto. Qualcuno però doveva averlo usato senza tirare lo scarico, istintivamente
guardò dentro la tazza e alzò il colletto della maglietta fino a coprirsi il naso.
Raggiunto lo specchio si rese conto che l' unica parte scoperta del suo viso erano gli occhi, che ora
gli sembravano colmi di una paura abissale, non gli era mai capitato di guardarsi solamente negli
occhi, in genere c'erano almeno la bocca o il naso su cui distogliere lo sguardo.
Rimase qualche istante immobile a consultare i propri occhi, non aveva il coraggio di abbassare la
maglietta per il terrore di trovarsi la bocca contratta di una smorfia terrorizzata.
Solo dopo aver dato le spalle allo specchio ed essere uscito dal bagno tolse la maglietta dal volto,
tornò al suo posto, il bambino e la donna erano andati via, prese di nuovo in mano il libro al punto
dove l' aveva lasciato: dalla forma delle parole si rese conto di essere arrivato alla seconda pagina, o
forse invece nel dormiveglia aveva involontariamente mosso il libro e si era voltata pagina, eppure
il biglietto indicava la prima pagina non la seconda.
Chiuse il libro infastidito da questi pensieri, stavolta poteva finalmente lasciarlo nel sedile – ormai
libero – di fronte al suo e non essere obbligato a prenderlo in mano per sedersi.
Qualche istante dopo passò il controllore, di cui poteva vedere solamente la giacca senza alzare lo
sguardo, istintivamente sfilò il biglietto dall' interno del libro prendendolo per l' estremità che
fuoriusciva e lo consegnò al controllore.
Ottenuto il biglietto, silenzioso, rimase con il dubbio su quale fosse la pagina in cui lasciare il
segnalibro.
 

Fakè

Chosen one
Vorrei un par d'etti d'Arte, tagliati fini fini


Il locale è pieno di gente, tutti vestiti bene, tutti bellissimi (eccezion fatta per una rossa ridanciana che ricorda vagamente una boa alla deriva), la luce è soffusa.

Mi aggiro con Barabba tra i tavoli scrutando la fauna del posto tentanto di scacciare la noia, evidentemente l'offertona del mercoledì "vodka a 1 euro" è riuscita a radunare un campionario di gente talmente eterogeneo che quelli del paniere ISTAT si stanno ancora mangiando le mani, si va dall'imprenditore brizzolato al nutrito gruppetto di adolescenti : forse pensano che girando in branco l'acne si noti di meno.


Compiuta la perlustrazione "No, non c'è nessuno a cui devi dei soldi qui Barabba" ci abbattiamo su un tavolino per gustarci il meritato beveraggio - "Ma sarà davvero vodka, per solo un euro?" "Bevi e scoprilo" "Sa di Amuchina""Con quello che costa? Almeno disinfetta, non rompere i coglioni "- Notiamo che alle pareti campeggiano numerosi quadri di quelli che molti a voce alta definirebbero arte moderna, insomma, croste con pennellate random di un colore troppo pericolosamente simile allo sbocco che ogni volta che ci si grida al capolavoro c'è la Venere di Botticelli che si chiude nel mitile e si cerca le vene col rasoio.

Immediatamente scattano insulti all'imbrattatele di turno, a sua mamma e al cane che gli ha venduto le vernici, quando un figurino tristo e smilzo ci interrompe squittendo. "Appassionati d'arte anche voi?".
Annuendo consapevoli che forse la serata avrebbe potuto acquistare di senso, soffermo il mio sguardo sull'individuo : i pantaloni stretti color melanzana, che cadono alla perfezione sul fisico da lanciatore di coriandoli dell'uomo suggeriscono velatamente un"io si che sono alternativo, ragazzi" mentre gli occhiali di corno, apparentemente privi di lenti, si sgolano per ribadire "intellettuale da passeggio" : pareva promettente.

A questo punto mentre io penso serissimo che il tabacco trinciato sta iniziando a costare davvero troppo, lo Sgarbi dei poveri si lancia in una filippica appassionata in cui ci narra che l'autore dei sedicenti quadri si chiamava Mario La Sugna ed era un paninaro della Prenestina che si dilettava di pittura nel retro del suo chioschetto - "Ah-haaa mi sembrava senape quella merda lì" sbotta Barabba - e dopo aver composto la prima serie che vediamo esposta nel locale è morto ammazzato in una faida tra zozzi.

"E questo gli ha dato la fama capite? Cioè, colui che ha concepito ed eseguito queste tele è morto, non si trova più tra noi, questi sono capolavori inenarrabili ed inimitabili!" conclude l'ometto asciugandosi la fronte.

Mentre mi domandavo quali fossero esattamente le dinamiche di una lotta fratricida tra bisunti e se comprendessero anche il lancio di sottaceti imbevuti di 'nduja, il mio compare mi si avvicina e dubbioso chiede " Oh, ma sto ramarro dice sul serio? Davvero questo sudiciume appeso alle pareti vale una tale mole di quattrini?" "A quanto pare, c'è chi è disposto a buttarci un sacco di soldi : ma d'altronde ormai, dopo che ho scoperto che esistono i feticisti delle ascelle, io non mi stupisco più di nulla" ribatto compunto.

Iniziano a brillargli gli occhi, e dopo aver buttato giù il terzo bicchierino di vodka -sempre più annacquata via via che ce la servivano, di questo passo avremmo fatto prima ad ordinare una Ferrarelle- mi fa : "E' deciso ! Noi si viene qui il prossimo venerdì sera, mi fo imprestare l'iveco dallo zio, ci fottiamo ste tele e le rivendiamo a qualche mentecatto, e sai cosa ti dico? Prima ci caco pure sopra che tanto nessuno si accorgerebbe della differenza"

Cerco di accennargli che forse non è proprio una bella idea "Ma si, che svolgiamo pure un servizio sociale!" "Sociale?" "Ma certamente : noi ci tiriamo su un par dì dindi che, francamente, ce ne si ha entrambi un discreto bisogno, il locale ritorna ad avere un aspetto decente e per quanto concerne l'artista che c'è schioppato, beh, senz'altro riposerà in pace sapendo che i suoi tesori saranno al sicuro nella bacheca di qualche ricco baffone piuttosto che qui a prendere schizzi di sbocco adolescenziale e a guardare donnette con il Saratoga nelle labbra.”

Mi aveva quasi convinto, e stavo quasi per accendere il telefono e rintracciare lo zio, sempre se non era già al gabbio, ma ad un certo punto la rossa che avevo notato entrando nel locale, quella in grado di sfamare l'Angola per tre giorni, si alza su di un tavolino e, iniziando a far tintinnare il bicchiere con un cucchiaino, bramisce tonante : "Ho un annuncio importante da fare:”
 
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