Battaglie turno 7:

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La guerra di liberazione scandinava:

Forze in campo: esercito svedese, esercito norvegese contro esercito danese

La forze svedesi stavano muovendo da nord per occupare la preziosissima regione dello Skane, porta diretta su Copenaghen. il generale Knut Erikson comandava un gruppo di 11.000 uomini che, dopo alcuni giorni fortunati, si erano trovati ad avanzare in una fittissima e gelida pioggia.
I danesi li stavano aspettando, trincerati nella regione con un esercito di 20.000 uomini comandati dal re di Kalmar Hans I in persona.
I norvegesi stavano arrivando, forse, la battaglia ad Halland li aveva rallentati più del previsto.

La battaglia:

Gli svedesi cercarono di bersagliare il nemico con le proprie balestre, usando i miliziani come prima linea per prendere i danni maggiori. Disgraziatamente la pioggia rese scivolose le armi e i tiri furono fiacchi e poco precisi da entrambe le parti, ma i danesi avevano una portata di fuoco 6 volte superiore a quella della controparte.
Ci furono i primi morti da entrambi i lati, dopo una mezzora abbondante divenne chiaro come i danni inflitti fossero irrisori rispetto alle perdite nella milizia e, vista la nettissima superiorità numerica del nemico il generale Erikson decise di continuare a temporeggiare, sempre sacrificando i miliziani.
La cosa fece gioire i danesi che fecero il tiro al piccione col loro nemico, uccidendo almeno 1700 miliziani a fronte di 200 balestrieri morti.
La cavalleria pesante svedese tentò il giro dell'accampamento nemico e fortunatamente non fu vista, riuscendo a riversarsi sul fianco avversario contro 1000 fanti pesanti.
L'impatto fu devastante, causando la morte di oltre 300 nemici in un solo colpo ma la reazione danese non si fece attendere e furono inviati 3000 lancieri a risolvere l'offesa.
Gli svedesi, fortunati, riuscirono a sfuggire appena intempo ai loro nemici.
Nel frattempo però i miliziani amici andavano in rotta per le troppe perdite, mentre i balestrieri ripiegavano dietro agli alleati.
Constatando l'esiguità dei nemici Hans comandò una carica generale della sua fanteria, supportata sul lato destro dalla cavalleria pesante.
Lancieri e picchieri si scontrarono e, grazie alla carica, i primi punti andarono alla Danimarca. La carica di cavalleria causò solo un centiniaio di morti e non fu così tremenda ma era chiarissimo che in pochi minuti gli svedesi sarebbero stati sopraffatti totalmente.
Proprio allora arrivò l'esercito norvegese, da nordovest, con almeno 15.000 effettivi comandati dal Duca-Re Erik II.
La cosa non fece che infuriare i danesi che colpirono i nemici con maggior violenza, sentendosi intrappolati. Una carica laterale dei lancieri danesi mandò in fuga la controparte svedese e fu una catena di panico unica. Il generale Knut dovette ripiegare rapidamente con la sua cavalleria, incalzato dalle picche nemiche.
Tolta di mezzo la Svezia i danesi si disposero rapidamente per il secondo scontro.
Gli arcieri norvegesi diedero molto filo da torcere ai balestrieri danesi, le perdite furono tutto sommato equilibrate ma i danesi erano stanchi e il loro morale si abbassava con maggior rapidità.
Hans vide il centro dello schieramento nemico composto solo da miliziani e decise di cogliere l'occasione per ottenere una facile vittoria. Dopo aver dato un po' di riposo ai suoi comandò una carica generale dell'esercito.
Le cavallerie pesanti danesi tentarono un aggiramento rapido sui lati ma furono viste ed intercettate da reparti misti di lancieri e picchieri che vi ingaggiarono una durissima battaglia.
Al centro i miliziani furono facilmente fatti a pezzi, lasciando il loro posto ai fanti pesanti norvegesi, li subito schierati.
I fanti leggeri norvegesi tentarono un rapido aggiramento del nemico sul lato destro ma furono intercettati da 2000 miliziani che li tennero occupati, combattendo con fierezza.
Sul lato sinistro la cavalleria pesante danese dovette ritirarsi rapidamente, lasciando un grosso vuoto che fu colmato da 2000 fanti leggeri, adatti ai meno rapidi picchieri.
Nella durezza della mischia re Erik II fu ferito a morte da un lanciere danese, mentre combatteva con la sua unità.
Fortunatamente il generale Aakon prese i suo posto impedendo una rotta generale ma la battaglia non si stava svolgendo come sperato.
Per risollevare le sorti dei lancieri Aakon lanciò una carica dei suoi arcieri, armati di coltello, ma questi furono intercettati da 1000 cavalieri leggeri danesi che li falciarono con 500 perdite, nonostante poco dopo sopraggiungesse un contingente di soccorso di 400 lancieri.
Era chiaro come, anche in caso di vittoria, i norvegesi non avrebbero potuto mantenere lo Skane, perciò decisero di ritirarsi per riorganizzarsi ad Halland.


Esito:
Vittoria di misura dei danesi
Gli svedesi lasciano sul campo: circa 5500 uomini
i norvegesi lasciano sul campo: circa 6000 uomini
i danesi lasciano sul campo: circa 11.000 uomini
 

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Orgoglio veneto:

Forze in campo: esercito austriaco, esercito ungherese e esercito milanese contro esercito veneto, raguseo, bizantino e montenegrino

La guerra aveva investito Venezia con una forza inaudita, travolgendola con impeto. Eppure l'esercito della Serenissima non si era fatto cogliere impreparato. Dopo aver pesantemente trincerato la zona il Doge aveva fatto chiamare un ragguardevole esercito che, fra le truppe venete e i resti di alcune compagnie mercenarie contava più di 20.000 uomini.
Il comando supremo dell'esercito era dato a Giulio Antonio Acquaviva, capitano di ventura di una certa fama, da diversi anni al servizio della Repubblica e poi naturalmente vi era l'anziano Doge veneto, Agostino Barbarigio.
Gli alleati che avevano risposto alla chiamata erano la repubblica raguesa con 2000 uomini, il regno montenegrino con 1000 fanti e l'Impero romano, con 4000 soldati.
Le truppe nemiche non erano certo da meno.
In testa, come comandante supremo dell'Armata unita vi era Manfred il Grosso con circa 15.000 uomini dell'Austria. Insieme a lui Giorgio di Transilvania comandava circa 10.000 ungheresi.
Poco più indietro, giungendo da ovest arrivava l'armata milanese di Galeazzo Maria Sforza, con circa 10.000 uomini.
Nonostante il bel tempo e la netta superiorità numerica gli aggressori avevano trovato alcune difficoltà nella lunga marcia intrapresa e negli assedi dei territori più esterni di Venezia.
Sicchè la battaglia era tutta da giocare.

La Battaglia:

Le truppe degli aggressori decisero di puntare sulla netta superiorità delle loro truppe da tiro, che mandarono in avanti. Venezia schierò le proprie e inviò un gruppo di archibguieri a cavallo ad infastidire il nemico. La mossa era per prendere tempo, mentre reparti di cavalleria e fanteria dovevano compiere un lungo aggiramento delle postazioni nemiche per colpirle sui lati e alle spalle.
GLi archibugieri a cavallo furono investiti da una formidabile pioggia di quadrelli che li costrinse a ripiegare quasi subito, mentre i vari gruppi di arcieri facevano volare le prime freccie.
oltre 6000 archibugieri camminarono in avanti e, una volta presa la posizione migliore, fecero fuoco sulle proprie controparti. Un gruppo di 800 colburinieri veneti riuscì a tirare una grossa salva che fece strage di almeno 600 fanti nemici ma la potenza di fuoco dei due eserciti rimaneva nettamente in favore degli assalitori.
Acquiaviva fece arretrare le proprie truppe per mandare avanti i miliziani a subire i danni maggiori. Contro di essi, fortunatamente, non si riversarono colpi particolarmente violenti e se la cavarono con 1002 morti in qualche salva, costringendo comunque un reparto a darsi alla fuga.
Il Duca di Milano decise di separare due grossi gruppi di arcieri per colpire i nemici all'esterno, facendoli scortare da un raparto di fanti leggeri. Intanto gli Ungheresi inviavano in avanti i propri miliziani per assorbire i danni dei tiratori veneti.
L'Austria rimaneva quella più sicura, decidendo di inviare un gruppo di cavalleria ad attuare un aggiramento corto ma deciso.
Tutti questi aggiramenti crearono una grossa confusione quando le truppe nemiche si incontrarono.
Un gruppo di 892 cavalieri di condotta e 1000 cavalieri pesanti veneti, nascosti dietro a degli alberi, videro il movimento dei milanesi e vi si lanciarono addosso.
La cavalleria si schiantò con ferocia contro i fanti leggeri, annientandoli, mentre i cavalieri di condotta fecero una strage di arcieri prima che potessero giungere i picchieri di Milano.
Intanto un gruppo di 1000 picchieri veneti tentava un'imboscata alla cavalleria austriaca appena mossa. Nonostante la lentezza, forse per la stanchezza degli austriaci, il gruppo di picchieri riuscì a intercettare il nemico causando 602 perdite contro 203 subite.
In quel momento uscirono alcuni gruppi di fanti venetida varie posizioni nascoste opportunamente create, oppure dalle trincee, concentrandosi in un attacco su più punti.
Fu allora che Acquaviva chiamò la carica generale.
Grazie alla posizione maggiormente defilata i milanesi riuscirono ad evitare l'accerchiamento e anzi, poterono controbattere con una carica di lancieri e picchieri che intercettò un gruppo di cavalleggeri veneti, mandandolo rapidamente in rotta.
Le truppe austroungheresi riuscirono a tirare una salva compatta che fece cadere a terra un migliaio di fanti nemici, prima di cambiare posizione e mandare avanti i propri soldati da corpo a corpo.
L'Ungheria decise di lasciare avanti i miliziani per subire il primo scontro.
Contro ogni previsione l'attacco generale veneto fu un autentico successo. Contro il lato destro si lanciarono 1000 lancie spezzate e oltre 3000 fanti leggeri che riuscirono a incrinare la barriere dei lancieri austriaci.
Più a sinistra la carica dei lancieri veneti fece arretrare terribilmente i miliziani ungheresi, già duramente provati dalla fatica.
I milanesi tentarono di creare una breccia per ricongiungersi con gli austriaci ma disponevano di troppo pochi soldati da corpo a corpo per piegare la massa dei bizantini e dei ragusani, che risposero con violenza.
Un reparto di cavalleria pesante veneta riuscì a colpire alla schiena gli archibugieri austriaci, uccidendone oltre 400 ma fu poi costretto a fuggire dall'arrivo dei picchieri asburgici.
Nella calca Onorato Ventimiglia, aiutante in campo del generale austriaco, fu travolto e ucciso. Galeazzo Maria, invece, fu colpito alla spalla da un proiettile vagante e fu costretto a indietreggiare.
Mentre la vittoria veneta sembrava totale ci fu un improvviso cambio del fronte. Gli austriaci premettero con forza verso il centro tentando di sfondare ma non vi riuscirono, nonostante trasformarono la zona in un bagno di sangue di entrambi gli schieramenti. L'Ungheria lanciò un'ultima carica comprendente gli arcieri, armati di coltello e mise in fuga due reparti di montenegrini, creandosi un varco per un possibile contrattacco ad ascia.
I resti dei fanti leggeri austriaci, uniti ai balestrieri armati di spada, spingero verso il centro insieme agli austriaci. Per un secondo i veneti dovettero indietreggiare ma poi riuscirono a contrattaccare con efficacia, supportati da 3000 lancieri ancora abbastanza freschi.
Milano era riuscita ad evitare l'accerchiamento ma aveva finito i dardi e non se la sentì di mandare il resto del suo esercito alla morte.
Con una posizione sempre più precaria e il rischio di perdere le posizioni acquisite, ungheresi e austriaci si ritirarono.
I veneti erano troppo stanchi per inseguirli.


Esito:
Vittoria netta della coalizione veneta:
Gli austriaci lasciano sul campo: circa 9000 soldati.
Gli ungheresi lasciano sul campo: circa 6000 soldati
I milanesi lasciano sul campo: circa 6000 soldati, con la distruzione completa di un reparto di arcieri e di uno di fanti leggeri.
Ragusa, Montenegro, Impero lasciano sul campo: circa 4000 soldati.
Venezia lascia sul campo: circa 11.500 soldati
 

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Aragona, la resa dei conti:

Forze in campo: esercito castigliano, esercito francese e esercito portoghese contro esercito di Aragona-Napoli.

Dopo essersi riuniti i tre eserciti avevano deciso di marciare, uniti, contro le forze del nemico in Aragona, sperando di avere vittoria facile per poi colpire Valencia.
Le truppe portoghesi non erano che poche migliaia mentre i castigliani di Beltràn de la Cueva[sup][/sup]ammontavano a oltre 20.000 soldati ben armati e preparati.
I francesi, anch'essi sui 20.000 uomini, seguivano le direttive del comando centrale castigliano nonostante disponessero di propri generali.
L'avanzata non fu facile, le aspre colline brulle dell'Aragona non erano un aiuto e una serie di pesanti nevicate fuori stagione avevano rapidamente abbassato il morale degli attaccanti, oltre a mietere le prime vittime.
Le truppe aragonesi, ben trincerate, attendevano l'arrivo del nemico con un esercito di circa 40.000 uomini, molti di essi giunti dopo la leva di massa dei precedenti anni.
Alle truppe aragonesi si erano unite alcune centinanai di mercenari bistrattati dal regno di Castiglia che erano stati accolti a braccia aperte.


La battaglia:


Come prima cosa i castigliani ordinarono un attacco a distanza con le proprie truppe da tiro, sicuri della superiorità numerica. Disgraziatamente la posizione svantaggiosa e le poche migliaia di arcieri si rivelarono immediatamente in difficoltà quando furono travolti da nuove di freccie dall'alto. Nonostante l'impegno dimostrato la situazione si stava facendo rapidamente critica e le truppe da tiro dovettero retrocedere.
Inutile anche un massiccio impiego degli archibugieri come suggerito dal Portogallo, Beltràn decise di puntare su una carica frontale della milizia per dare tempo alla cavalleria di condurre un attacco sul fianco.
Con un po' di incertezza da parte francese qualcosa come 10.000 miliziani furono lanciati su per la collina.
Nonostante la neve e i tiri delle freccie nemiche l'esercito avanzò molto rapidamente, tanto che gli aragonesi dovettero schierare i propri archibugieri sperando di cambiare la situazione.
La prima salva fece cadere a terra oltre 1200 miliziani, che però continuarono ad avanzare coraggiosamente, arrampicandosi sempre più in alto.
Prima di arrivare a contatto ci furono altri 2500 morti, dopodichè i rispettivi gruppi di miliziani cominciarono a combattere.
Nel frattempo, 4000 cavalieri francesi e 2000 cavalleggeri castigliani tentavano l'aggiramento da destra e da sinistra.
I francesi riuscirono a compire un ampio giro, sorpassando un reggimento di picchieri e lanciandosi proprio nel fianco destro dello schieramento nemico, presidiato da gruppi di fanti pesanti.
Peggio per i cavalleggeri spagnoli che furono intercettati da 2000 lancieri e rapidamente massacrati, infliggendo solamente 80 perdite.
La cavalleria aragonese sbucò all'improvviso, travolgendo il fianco destro castigliano presidiato dai lancieri, che furono colti totalmente impreparati.
La battaglia continuò con una carica giù per la collina da parte degli aragonesi, cercando di spezzare la resistenza dei miliziani franco-porto-castigliani.
Nonostante oltre 400 perdite nei fanti leggeri e oltre 1000 nei miliziani alla fine la rotta per gli aggressori fu inevitabile e oltre 6000 miliziani si diressero giù per la collina, correndo e schiamazzando.
I fanti pesanti francesi tentarono di prendere la sommità della collina con una carica laterale a sinistra ma la mossa fu brutalmente interrotta dalla resistenza di oltre 5000 fanti leggeri aragonesi.
Terribile un tentativo di 2000 picchieri aragonesi di caricare sul lato la cavalleria pesante aragonese. Il terreno scivoloso ne fece cadere molti e la loro lentezza li rese un bersaglio facilissimo per 3000 miliziani aragonesi.
I portoghesi tentarono di formare un quadrato aiutandosi con gli archibugieri, mettendosi sulla difensiva, ma la formazione fu rotta dalla carica dei fanti pesanti aragonesi nonostante questi subissero oltre 200 perdite.
La battaglia si stava improvvisamente trasformando in un terrificante massacro.
Di fronte a tale scempio le truppe francesi decisero di ripiegare ordinatamente per non essere annientate, riuscendo fra l'altro a fermare una carica di cavalleggeri sul lato destro.
Beltràn, che evitò una lancia per poco, si convinse che fosse meglio ritirare l'esercito ora piuttosto che vederlo perduto.


Esito:
Vittoria di misura dell'Aragona.
La Castiglia lascia sul campo: circa 7500 soldati.
La Francia lascia sul campo: circa 7000 soldati
Il Portogallo lascia sul campo circa 2500 soldati.
L'Aragona lascia sul campo circa 15.000 soldati
 
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