A.D. 1145 - Preludi

Vanadis

Ninja Skilled!
Fantacalciaro
Re Sven siede sul suo scranno, la notte si insinua dalle grandi finestre della stanza. Guarda immobile al di là dei davanzali le fredde terre della Danimarca, le brume e la luce sottile della luna. Guarda in silenzio. Siede e pensa.

Canuto, che tu sia dannato, e dannata sia la tua testardaggine. Non avrai mai ciò che mi spetta, mai cederò quel che è mio. Dovessi estinguere tutta la tua stirpe, io, Sven figlio di Erik il Memorabile, dominerò su questa terra e sui mari che la cingono. Dio mi è testimone. Io prevarrò.

---

[GdROFF]è una sorta di background, così, per rompere il ghiaccio; di seguito ogni regnante può scrivere ciò che vuole per introdurre il proprio gioco, nei modi e nei tempi che più desidera[/GdROFF]
 

Vanadis

Ninja Skilled!
Fantacalciaro
Da dove credi che provenga, o Canuto, l'autorità di cui si adorna un Re? Dal sangue e dalla spada, dico io. Valdemaro è ancora un moccioso, non può nuocermi ancora. Non quanto te almeno. Dal sangue e dalla spada, dico io. Te ne renderai presto conto, infame, tu che vorresti divenire padrone di qualcosa che non t'apparterrà mai.

Re Sven si alza, abbandona la stanza. Il buio pervade le cose ed ogni lume è spento.
 
A

Anonymous

Guest
[premetto che non ho la scheda, non conosco quindi bene la situazione. comunque ho letto che nel 1145 già da qualche decennio la norvegia ha problemi di guerre civili e lo stesso Sigurd II che sarei io poi muore in una guerra civile. allora ho scritto qualcosa che mi sembra verosimile. rebaf: se c'è qualcosa che non va bene, fa niente, si cancella. Se va bene invece lo completo perchè non è finito]

Da mesi il regno di Norvegia è nuovamente insanguinato dalla guerra civile. Emissari giungono da ogni regione per tenere informato il re degli ultimi avvenimenti. Sigurd II, il possente signore di Norvegia, e al suo fianco il veterano primo consigliere del re, ascoltano gli ultimi rapporti degli emissari.

emissario1: Mio signore, la gente delle terre di Trondheim è scontenta, dicono che il trono non vi spetta. Tre giorni fa hanno impugnato le spade. I nostri non possono più mantenere la regione sotto controllo senza combattere. Cosa ordinate? Vostro cugino aspetta solo un vostro ordine, dice che la vostra nobile stirpe è stata offesa ed è pronto a far rispettare la legge. Sono stati catturati vivi 14 rivoltosi e condannati a morte. Cosa ordinate? La condanna va eseguita?

emissario2: Mio signore, la rivolta in hordanland è stata sedata. Il comandate riferisce che ci sono state oltre 100 vittime tra i rivoltosi. Dei nostri 12 sono i caduti in battaglia. Ma ora la regione è sotto il vostro controllo. I rivoltosi superstiti sono stati condannati a morte e la condanna eseguita immediatamente.

emissario3: Mio signore, dalle isole riferiscono che il vostro trono non è in discussione. Le regioni di Fjordane, Agder inviano regolarmente i tributi e sarebbero onorati di combattere al fianco dei vostri uomini nelle lande del Trondheim e ovunque si scatenassero rivolte.

emissario4: La vostra regione, la nobile Norvegia, vi è fedele, mio signore.



Sigurd II: Date ordine di preparare il mio cavallo, dite ai miei uomini di tenersi pronti, domattina partiamo per l'Hordanland.
Inviate immediatamente un emissario in Trondheim, fate sapere a mio cugino che entro 7 giorni dovrà ospitarmi nel suo palazzo. Andate adesso.

Gli emissari si allontano e Sigurd II resta solo col proprio amico e fidato consigliere...

Consigliere: Nobile Sigurd, non possiamo permetterci che le rivolte si estendano. Vanno represse con ogni mezzo, immediatamente. I popoli del nord potrebbero fare accordi coi rivoltosi e invadere le nostre terre.
Il nostro regno cadrebbe nel caos. Non possiamo permettercelo.
Leggo nei vostri occhi che non avete intenzione di lasciare che le condanne a morte in Trondheim vengano eseguite. E temo per la sorte del comandante dei guerrieri dell'Hordanland, è chiaro che non avete apprezzato la carneficina che è stata fatta senza il vostro ordine diretto. Ma... ascoltatemi bene, mio signore: se lasciate pulite le nostre spade oggi, domani a sporcarsi saranno quelle dei nostri nemici. Le rivolte vanno sedate. E bisogna farlo in fretta.

Sigurd II: Sagge come sempre sono le vostre parole, amico mio. Ma le genti del nord non meritano spargimenti di sangue se non per una nobile causa, troppo spesso le rivolte sono state represse con carneficine simili e la situazione non è migliorata. La stirpe dei rivoltosi uccisi dopo qualche anno è pronta a vendicare i propri padri con l'onore e l'orgoglio che contraddistingue i valorosi vichinghi.
Così, dovremmo sterminare i rivoltosi fino all'ultima generazione per sperare di aver completamente riportato l'ordine. Ma che regno è quello che, invece di allevarli, uccide i propri figli? Quale tipo di nobiltà può esserci in un Re incapace di farsi rispettare dalla propria gente senza insanguinarsi le mani? Che razza di Signore di Norvegia è colui che ha dimenticato lo splendore del popolo vichingo uccidendo gli amici e trascurando i nemici?

Consigliere: Nemici? Di chi parlate? Ad ogni modo, il vostro volere è legge. Le vostre parole sono più sagge delle mie, come sempre, mio signore. Non potrei mai contraddirvi.

Sigurd II: Amico mio, non è approvazione che cerco da voi, ma critiche e consigli. E' vostro dovere contraddirmi.
Eppure...ci deve essere un modo di fermare questi disordini e riunire il nostro popolo dietro un unico vessillo, com'era un tempo. Ne sono convinto.

Consigliere: Il nostro è un popolo guerriero, la nostra è gente libera. Non ama certo sottostare alle leggi di un Re in tempo di pace, ma è pronta ad unirsi e a morire in battaglia per difendere le nostre terre da invasori esterni.

Sigurd II: E' compatta e pronta a morire anche per riconquistare terre perdute e che invece legittimamente ci appartengono.

Consigliere: State pensando al regno di inghilterra? Avete dimenticato quale sorte toccò ai vostri antenati che tentarono di approdarvi? Qualche scorribanda guasterebbe le relazioni commerciali con le nostre città, probabilmente potremmo assoldare dei pirati per farlo. Ma una invasione è una conquista è ben altra cosa...

Sigurd II: No, non era a quello che pensavo. Le genti del nord nei nostri mari vivono in pace, i commerci tra le nostre città sono un bene troppo prezioso per essere messo in dicussione.

Consigliere: E a cosa allora? Forse pensavate ai lontanissimi nemici della chiesa di Roma?

Sigurd II: Neppure. Non ho mai sopportato l'idea di difendere una chiesa che non mi appartiene, che non appartiene alla gente del nord e anzi ha corrotto il nostro popolo, offuscando l'antico splendore del popolo vichingo.

Consigliere: Mio signore, state forse incolpando il santo Papa delle nostre disgrazie?

Sigurd II: Di santo io riconosco solamente la mia spada. Benedetta dal sangue dei nemici abbattuti. Amico mio, è ora di volgere lo sguardo al passato e ricordare alle nostre genti chi siamo. Ho intenzione di incolpare qualcuno delle nostre disgrazie. E nessuno dei nostri può mai essere colpevole.
 

Il bizantino

Ninja Skilled!
Il basileus dei Romani sedeva immobile sul suo trono elevato. Il suo volto, severo e al tempo stesso estremamente fermo, come del resto si confà a colui che detiene l'imperium nell'ecumene, osservava i vari dignitari che porgevano i suoi omaggi; oltre agli invitati delegati di tutte la nationes presenti a Costantinopoli: Veneziani; Selgiuchidi; Normanni etc.etc. [sostanzialmente tutti siete presenti] Manuele, questo il suo nome, i Comneni questa la sua stirpe che, grazie all'operato del nonno Alessio e del padre Giovanni, avevano riportato l'ordine nell'impero: il centro del mondo. Eppure molto cose in quel momento angustiavano la sua mente: i Normanni che già ai tempi di Alessio I avevano tentato di reclamare ciò che non era loro venendo per questo puniti da Dio; i seguaci di Maometto che numerosi alle sue frontieri destavano già meno preoccupazioni; e il Papa errante nella sua fede, ma pur sempre interlocutore politico al quale si doveva il rispetto e l'onore che si confà al suo rango. Il suo paraoikoumenos continuava ad elencargli, in piedi accanto a lui, i vari dignitari che si presentavano di fronte e a ringraziarli per l'operato e l'affezione che mostravano verso l'Impero, l'Imperatore e quindi verso Dio. Terminate le presentazioni era giunto il momento del suo discorso; il basileus diede l'assenso al suo protovestiarios Giovanni Comneno di inizare a parlare per suo nome. Al cenno egli incominciò a dire: Manuele basileus dei Romani fedele in Cristo Dio e sempre augusto, a tutti coloro che sono dotati di ragione. È proprio e conveniente beneficiare secondo i mezzi i propri simili per tutti coloro che hanno a cuore l’amore di tutti, che donano e prendono a loro volta.
Infatti in questo modo, si può conservare la venerazione verso Dio e la comunanza e affezione verso i propri simili.
Un simile comportamento si addice soprattutto e massimamente agli imperatori come ciò che è più peculiare dell’istituzione imperiale: nulla orna infatti l’imperatore tanto interamente, quanto l’essere umano e generoso verso tutti.
Per questo, è molto chiaro a tutti che egli imita, per quanto possibile, Dio, dando benignamente ascolto e esaudendo generosamente le richieste di coloro che hanno bisogno e illuminando i beneficiati con il suo splendore imperiale, ma anche attira su di sé la benevolenza degli altri e conserva l’abito imperiale affidatogli da Dio. Il nostro regno, nel nome di Dio protettore di Costantinopoli, regina delle città, dell'Impero, che detiene il globo dell'ecumene tutta, e dell'Imperatore, primo dei primi, vicino a Dio e suo XIII apostolo, amerà il più umile e punirà gli insolenti; cerchermo la pace la concordia e preserveremo la fede di Dio nei cuori delle nostre genti e di coloro che vorranno in futuro esserne parte. Noi tutti conosciamo la situazione in cui l'Impero versa; esso è potente ora, non come ai tempi di Romano o Costantino i quali peccarono per arroganza e fecero sì che subissero la punizione di Dio. Possano quindi i dignitari latini stare tranquilli poichè non attenteremo alle loro cose e ci compiaciamo della loro presenza qui; e possano anche dimorare in pace i seguaci di Maometto; Costantinopoli e il suo Impero non cercheranno la guerra se a loro non sarà dato pretesto di cercarla. Dio ci ha affidato il compito di aiutare ogni persona dell'ecumene a raggiungere la sua città celeste ed è proprio questa missione che noi cercheremo di ottemperare in ogni modo possibile.
Finito di discorrere il protovestiarios diede ordine di congedo a tutti i dignitari; solamente i più alti come il mega domestikos Giovanni Axuch e altri rimasero nella stanza. Cosa si sono detti non è dei mortali saperlo.
 

Mabelrode

Get a life
L'indice del sovrano sfiorava delicato la tela del quadro appena giunto al palazzo come a voler sottolineare un piccolo particolare di norma trascurato, come a comprendere un nuovo punto di vista e accettarne la rivoluzione.
Non che questa opera meritasse la sua attenzione per la propria bellezza e non era infatti questo a rapirne lo sguardo.
Il dipinto raffigurava un maestoso castello occidentale risplendere sotto la luce dell'alba come fosse un avamposto di Dio nella terre mortali, tutto di esso trasudava di una solennità divina ed immobile grazia come ad indicare che la vittoria fosse legittimata dal Creatore stesso.
Ma non era su questo che l'indice del re indugiava, non era il castello del vincente a rapire la sua attenzione bensì la condizione del perdente.
Ai piedi del castello l'esercito assediante era messo in rotta dalla peste e dalla fame, gli ultimi sopravvissuti ormai sommersi dai cadaveri e piegati da una disperazione brutale e ignobile sprecavano quel poco che restava della propria vita scagliando inutili frecce contro mura indistruttibili.
Un assedio perso ancor prima di iniziare, un assedio capace di far divenire un Re arrogante anche agli occhi di Dio.


-Mio Signore, mi avete fatto chiamare? -

La voce destò il Re dai propri pensieri rendendo la risposta poco più di un sussurro.

- Si, Ibn al Azraq, vecchio amico.. devo affidarti un compito -
 

Ostrègone

GIF MASTER
Fantacalciaro
Costantino passeggiava lentamente nella sua abitazione. Era un raro momento di pace e lo sfruttava immergendosi nella quiete dei suoi pensieri, dato che solitamente erano disturbati da visite continue di familiari, consiglieri, ecc. Camminava, massaggiandosi con entrambe le mani le due tempie. Sbuffò sonoramente, dandosi qualche colpetto con le nocche.

"Padre mio, da piccolo mi sembrava così facile quello che facevi, da Nuramis fino al Sarrabus, da Seulo fino al Sulcis..." sospirò, pensando al padre Mariano. Congiunse le mani, continuando a pensare.

"Dalle bidde tutto sembra andare bene. Perfino dall'Ogliastra non giungono problemi da quegli altri della Gallura o del Logudoro, e questo mi sta bene. Tuttavia ben altro c'è..."

Poi andò alla finestra, osservando le strade del borgo di Santa Gilla. Tanti piccole persone che lavoravano, che lavoravano per il Giudicato, per lui, il Giudice.

La mascella si indurì pensando al cugino Gonario. Un tempo solevano andare insieme per le campagne del Campidano, ma ora... gli sembrava così avverso nei suoi confronti. Da tempo ormai notava strani sguardi dal cugino e voci poco piacevoli gli erano giunte alle orecchie. Ma la calma e la pietà sono le virtù concesse da Nostro Signore, soleva ripetere Costantino.

"La brama di potere forse, è quello che fa a tutti gli uomini. Lui è fatto di carne, come me e tutti gli altri. Gli parlerò.".

Pose la mano sinistra, chiusa a pugno, sotto il mento. Sentì il freddo metallo dell'anello all'anulare, che lo ridestò da altri pensieri. Tornò rapidamente nella sua stanza, dirigendosi al tavolo, dove prese in mano una missiva. Notizie sui Pisani, per la questione delle diocesi sarde poste in controllo dell'Arcivescovado; bisognava quindi tenersi aggiornati di tutte le situazioni di cui fossero implicati. Sbuffò non trovando nulla di eclatante nelle informazioni riportate.

"Sempre Pisa, sempre Pisa in mezzo. Pure mio padre ci ebbe a che fare tutta una vita e mio nonno prima di lui.", poi si bloccò nel pensare. Stava per pensare "Mio figlio pure ci avrà a che fare di questo passo...", ma non aveva figli.

Il volto si indurì, in preda a una folle rabbia. Sua moglie non gli aveva ancora dato un erede maschio e ormai sentiva il peso degli anni. Calmatosi un poco, chiamò un suo servo...

"Efisio, vieni!"



[Rebaf se noti qualche incongruenza storica tipo la storia delle curatorie del Giudicato di Cagliari (non so se all'epoca erano già divise così) o questioni relative a Pisa, di' pure]
 

- FatmikE -

Typing Monkey
"Petr, vieni che la zuppa è pronta!"
"Da!"

Il sole sfiorava appena la città, facendosi spazio a fatica nella pesante coltre di nubi che accompagnavano il Dnepr nel suo viaggio verso il mare. Kiev non è mai stato un bel posto dove vivere, sopratutto se non hai una pelliccia.
Il bambino fece un cenno alla donna che lo stava guardando dalla finestra di casa, dall'altra parte della strada. L'idea di una zuppa calda era più forte di qualsiasi spirito ludico o distrazione ,anche per un bambino. Anche nella tiepida primavera di Kiev.


Petr recuperò la palla di stracci e pelli con cui stava giocando. Era la cosa più preziosa che aveva, nonchè l'unica. Dopo la madre, si intende.
La strada era affollata più del solito. La città era particolarmente animata in questo periodo dell'anno. Mercanti, farabutti e straccioni erano richiamati dall'aria meno pungente a uscire dalle tane dopo il lungo letargo, con tutto ciò che tale migrazione comportava, nel bene e nel male.
Il ragazzino, forse esaltato da un momento raro come quello di un piatto caldo, diede un calcio alla palla in direzione di casa sua, rincorrendola con una foga liberatoria. La seguiva con gli occhi,mentre la sua traettoria si perdeva alta verso le nuvole e andava ad cadere esattamente in una pozza di neve sciolta e sterco.

Non è affatto raro, in un'epoca come questa, che chi possiede qualcosa arriva ad avere sempre di più, mentre chi possiede poco ne possieda via via sempre meno. Difatti un rombo misto di zoccoli e grida decretò la fine del giocattolo di Petr, ed anche la morte di una piccola parte della sua infanzia.
Dodici Druzina in alta uniforme e armature sfolgoranti fecero spartiacque fra la folla, cavalcando a velocità sostenuta verso il Palazzo Reale. Il vessillo del Gran Principe Vsevolod II sbandierava sulle loro teste, con gran meraviglia del volgo e di Petr, seduto con le gambe incrociate poco distante dalla sua palla, oramai distrutta. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle armature, da quei mantelli. Non riusciva a non rimanere incantato dal movimento caotico delle criniere dei destrieri. La folla si diradava al loro passaggio, e il sole si faceva più forte e speranzoso, tanto da donare ancora più luce in quella sporca e stretta via di Kiev. Non riusciva a muoversi.

Il silenzio che aleggiava durò per pochi secondi. Tutto tornò come prima dopo poco, e le grida dei mercanti e il brusio dei Kieviti tornarono a riempire la via, come se non fosse successo assolutamente niente.
Ma per il ragazzo qualcosa era successo. Qualcosa di più profondo e più serio di una palla di stracci.

"Peeeeeetr, la devo dare al cane questa minestra?"

Il bambino fece un salto in piedi e corse verso la porta al massimo delle sue forze, spintonando i passanti e guardando il terreno. Per esorcizzare l'amarezza forse. O per spirito d'imitazione, chissà.
 

Oghard "El Burro" Fireburp

Admin
Fantacalciaro
[Asd Fat credo che le patate nel 1145 ancora non c'erano a Kiev :look:]
Due uomini dalle vesti pregiate discutono davanti un planisfero il cui valore in denaro, sia per l'accuratezza della lavorazione che per i materiali con cui è realizzato, supererebbe di gran lunga quello della reggia in cui è situato. Data l'architettura del luogo e la lingua utilizzata dai due interlocutori, si direbbe che la scena sia ambientata a Damasco o Medina, se non fosse che uno dei due sta sorseggiando del vino in un calice con troppa nochalance per essere musulmano. O almeno, un musulmano praticante.
I dubbi fuggono quando il sorseggiatore si rivolge ad un inserviente, finora in ligia attesa, in un latino misto ad idiomi del Mezzogiorno.

"Sì, questo va bene. Fai imbarcare cento casse di questo vino, e fa' in modo che arrivi a Roma. Consegna questa pergamena al capitano,e fa' che arrivi a destinazione. Mi raccomando, Eugenio III deve leggere questa lettera, chiaro?".
"Certo, Conte".

"Non sono più Conte, stulte. Sono Re. Re, capito? Rex Siciliae ducatus Apuliae et principatus Capuae. Guarda, è scritto lì...Guarda?"

"Sì, lei ha ragione Maestà...Le chiedo scusa, umilmente...". Il servo si inginocchiò, prostrandosi con grandissimo cordoglio ed umiltà.
"Sì, sì...vai, adesso, vai...celeriter, che ho da fare!".
Il sovrano ritorna al suo interlocutore dalla pelle olivastra ed il turbante, che ha assistito divertito alla scena. Il re, dopo qualche attimo di esitazione, ritorna a conversare in arabo:
"Devi scusarmi Idris, ma lo sai meglio di me, accade tutto così in fretta, negli ultimi anni...neanche il tempo di sedermi sul trono...". Il sovrano sembra esausto. I solchi accentuati sulla fronte mettono in evidenza una vita ricca di difficoltà non sempre facili da sormontare."Avevo anche detto a quegli idioti di Capua di mandare il vino direttamente a Roma, e invece me lo sono trovato qui...come se potessimo permetterci questi viaggi a vuoto...".
"Tranquillo, Ruggero...è già tanto se il Principe di Capua non ti ha mandato del vino avvelenato...". L'uomo arabo sembra a suo agio con Ruggero. E sembra potersi permettere anche una certa confidenza, cosa che non è da tutti i membri della sua corte.
"Non esiste più nessun principe di Capua, idris...ci sono solo io, adesso". Una dura occhiata colpisce Idris, ed un imbarazzante silenzio pervade l'aria per molti secondi, prima che il Re decide di stemperare i toni:
"Il vino l'ho fatto controllare...e a parte una cassa, sembra buono. Non biasimerei Eugenio se pensasse che al posto del vino gli avessi mandato sangue di monaco...Figurati, non ho ancora ben capito se sono scomunicato o meno...Ahahahah!".La risata riecheggia nel salone con le tende, che affaccia sul Golfo di Palermo...è chiaramente uno sfogo isterico."Comunque, non perdiamo tempo, Idris. Continuiamo il nostro discorso". Ruggero torna a fissare il planisfero, in maniera quasi ossessiva. Lo studia con attenzione, tracciando rapide rotte immaginarie con la punta dell'indice.L'arabo lo osserva attentamente, ed esita prima di parlare:
"Mando a chiamare Christodolousì".
Il sovrano replica rapidamente senza neanche degnare di uno sguardo lo studioso musulmano, intento com'è a studiare possibili percorsi:
"No, no, non ancora...siamo in due e già non ci capiamo più niente, Idris...qui tra greci, bizantini, arabi e - qui Ruggero punta con decisione il dito in un punto ben preciso del mappamondo-...Normanni...Gli parlerò io, dopo, con calma...Piuttosto, Idris...Sei mai stato a Malta?".
 

Toga!

Chosen one
[scusate le licenze linguistiche...da leggersi con accento adeguato]

Venezia: anno domini 1145, Palazzo del Doge, appartamenti dei nobili Polani


<Ostreghèta al sapea mi, al sapea mi, che qello genuvès era un figlio di can, brutto boia, porco, vècio bavoso.... lador fiò di lador! mira qua....mira...tutta sta stofa da 4 soldi...con tuti gli zecchini che ci ho dato, diavol di laguna...ci sarebbe da bruciarglieli l'arsenale, le ciape e le figlie sue batone e putane e...>

<Ohhhhhhhhh!!...si ne ghe pensi mi a la tua anima chi ghe pensa? se a ti sembra il moteggio d'una casa rispetada????che ti lamenti Pietruccio nè...te sei il doge de Venesia...te ne posse comprar altre duecento svanziche di sta robacia vècia della Fiandra! suvvia suvvia...>

<Ma che te frigni te...che ne voresti sapere de comerci? te che tiene la calza tuto il santo giorno...mentre noialtri semo sempre a mantener tutte le tue smanie? che sembra che tiene il dogato per farti far le mutande d'ermelino?? ...sì che le pubenda te stieno in caldo!!! svergognata!!! chi se nun te ciàpa mi te finisce sposa di quel rechia del Badoer...>

<Ma sentilo! per l'amor di Santa Maria Vergine...che se non t'avesse dato via la prima rosa neanche coi ciuchi ti se svegliava quel gabiano morto che tieni nele brache.... lo grande Consol...Il Pietro Polani de Venesia....se te stieno sì tanto sulle castagne i genuvesi...fai come t'ha detto il pisàn e affonda tutto... brucia la città che non se ne può più di sentirsi sempre sta cantilena dietro le rechie nè....ma prima che i nostir filiol sieno in età da cannone...che non ti salti in testa de far la guèra in giro per il màr con Naimèro o il povro Giovannin su una di quelle tue galee schifose...che chi trabicoli li ciapen fuogo subido...>

<Adelasa!...Adelasa desemettila...basta>

<Te tieni più a li zecchini che a l'anima tua...te bruceria nello inferno...e pensar che mi te diede anche il deretano, perchè ti infoiato te voleva far subido tutto senza passar da San Marco...razza di pirati Polani...dio vi abbia in mercede...>

<eheh...taci dònna...che te me lo daria anche stanotte...si l' è vero che tengo il gabbiano inciurlado ...eheh>
*allunga le mani sotto la sottana della moglie

<maial!!!...>
*ridendo


E mentre la laguna si assopisce e i Polani si ritirano nella loro stanza da letto, il rumore placido delle onde dell'Adriatico culla dolcemente la Serenissima, in attesa di nuove imprese.
 
A

Anonymous

Guest
[seconda e utlima parte. scusate la lungaggine ma frega niente, non leggete]

Recatosi con urgenza personalmente nell'Hordanland il Re Sigurd II condannò a morte il suo comandante che aveva massacrato i rivoltosi, anche quelli catturati a rivolta sedata, senza consultarlo. La condanna fu eseguita all'alba in pubblica piazza e in quell'occasione Sigurd II disse:

Valorosi figli di Norvegia, insieme tutti noi, e prima di noi i nostri padri, abbiamo conquistato terre, saccheggiato le case dei nemici, preso con la forza ciò che ci spettava di diritto.
La storia del nostro popolo, la storia dei Vichinghi, è gloriosa.
Negli ultimi secoli abbiamo vissuto un periodo di pace, ma non di prosperità. Infatti, guardatevi intorno. Che cosa siamo diventati?
Ci scanniamo tra di noi e commerciamo pacificamente con chi minaccia la sicurezza dei nostri confini. Questo Dio della Pace che tutti noi adoriamo ci ha portato invece disgrazia e miseria. Ditemi, Valorosi figli di Norvegia, chi trae vantaggio da un patto di pace stretto con un glorioso e temibile popolo di guerrieri?
Domani qualche nobile delle vostre terre potrà convincervi che io non sono il legittimo Re di Norvegia. Domani, ma non oggi.
Il popolo di Norvegia oggi deve essere unito. E nessuno! nessuno, nè in patria -*Sigurd II indica il cadavere del condannato a morte sul patibolo*- nè forestiero, potrà minacciare la vita dei figli della gloriosa Norvegia.
O figli di Norvegia, molto presto il vostro valore verrà pesato in battaglia. E non sarà una battaglia fratricida, poichè questa può recare con sè soltanto disonore. Riconquisteremo mari e terre. Torneremo a prenderci ciò che ci spetta. Guarderemo le spalle al nostro amico e strapperemo via la vita del nemico.


Mentre parlava tra la folla si diffondeva stupore e sbigottimento.

Quando ebbe finito, Sigurd II fece proclamare un banchetto per la sera e si allontanò dalla piazza mentre la folla restava a guardarlo basita. Al banchetto presero parte tutti i capi famiglia del villaggio in cui fu eseguita la condanna, oltre ai nobili della regione. Alcuni dei nobili sospettati di aver organizzato la rivolta sedevano, mangiando e bevendo, di fianco al Re stesso.


All'indomani Sigurd II diede ordine (un ordine lautamente ricompensato) ad alcuni villani di partire per il Trondheim e diffondere la notizia di ciò che era accaduto quel giorno. Quindi dopo 3 giorni, quando egli stesso partì per la regione del Trondheim, Sigurd II era già chiamato dai più religiosi "il senza dio", dagli altri "il magnanimo", e già i familiari dei rivoltosi detenuti avevano con insistenza chiesto al cugino del Re che fossero graziati.
Quando Sigurd II arrivò, fu accolto con tutti gli onori da suo cugino. Questo però criticò con veemenza la decisione del Re di graziare e liberare tutti i rivoltosi catturati. Disse: <Mio Signore, Cugino, Nobili guerrieri Norvegesi sono morti per difendere il vostro buon nome e quello della nostra famiglia. Può restare questo affronto impunito?> Si dice che a queste parole Sigurd II rispose: <E chi pagherà, poi, per la morte di questi figli di Norvegia che oggi tu vuoi condannare a morte?> Parole che si diffusero in fretta tra la popolazione suscitando stupore e compiacimento tra gli abitanti del Trondheim che ancora non si sentivano effettivamente Norvegesi, non riconoscendo Sigurd II come proprio legittimo Re.

L'ordine del Re fu di arruolare nella propria guardia personale tutti i rivoltosi liberati portandoli con sè nella regione di Norvegia insieme alle loro famiglie e promettendoli laute ricompense per la loro fedeltà. Incontrò singolarmente ognuno di loro facendosi giurare fedeltà. Soltanto uno di essi si rifiutò di giurare fedeltà a Sigurd II e fu lasciato libero, nelle sue terre. Non solo, il Re ordinò di poter parlare coi giovani figli di quell'uomo (circa quindicenni) e propose loro ciò che aveva già proposto al padre. I due, sorprendentemente, accettarono.


La storia di come Sigurd II aveva trattato i rivoltosi in quella circostanza fece ben presto il giro delle terre di Norvegia raggiungendo anche le isole più lontane. Ovunque si cominciò a vociferare di un imminente attacco della Norvegia, ma l'obiettivo restava ancora completamente ignoto, nonostante le tante supposizioni.
 

Panda

Chosen one
"Lasciami solo" dissi ad Ariès, il mio consigliere.
Era notte inoltrata e troppo a lungo mi ero trattenuto a dibattere con lui. Volevo riposare.
"Ma mio signore, se permettete, ci sarebbe quella questione di con..."
"Ti ho detto di lasciarmi solo", dissi con tono perentorio.
"Come desiderate, mio signore"
Avevo molti pesi che gravavano sulla mia testa, primo fra tutti quello della corona. Quante cose sono accadute in questi anni, quante battaglie, quanto sangue...
Poco tempo prima le stanze in cui ora mi trovo a riposare erano calpestate da eretici, da figli traditori di nostro Signore: uomini che hanno deciso di voltare le spalle alla Vergine Maria, alla Bibbia e ai Vangeli, uomini che, senza Cristo, non son degni di essere chiamati tali. Troppo a lungo questi esseri abominevoli, ebbri della loro superbia e spinti dalla fede nel loro falso Dio ingannatore, si erano arrogati il diritto di allontanare la Cristianità dalla penisola.
Mi venne alla mente Alfonso I e gli anni della riconquista: Saragozza, Tarazona, Borja, una dopo l'altra le città islamiche caddero sotto la spada del grande sovrano, pesante e implacabile. Pensai a Mequinenza. Ero più giovane allora, un giovane ragazzo Aragonese a cui capitò di camminare per le strade di una città da poco liberata. Era come se la luce tornasse a splendere per la prima volta, come un'alba soffice che dopo una notte di incubi rasserena la mente di un uomo stanco.
Mi sfuggì un sorriso senza accorgermene, quando ad un tratto sentii un rumore.
"Mio signore..."
"Cosa c'è ancora?"
"Il conte vuole vedervi"
"I miei impegni gravano sulla mia testa ed essa sembra davvero accorgersene, mio buon Ariès. Ditegli di tornare, ora sono stanco e ho bisogno di riposo, se ne parlerà domani mattina"
D'improvviso mi tornò la calma. Ero stanco, ma rievocare alla mente le immagini del passato aveva sortito su di me un effetto tranquillizzante.
Mi alzai e con fare spedito mi avviai ai miei alloggi. La luce di alcune candele illuminava l'interno. Presi il calamaio e mi misi sulla scrivania ad annotare gli eventi della giornata e gli appuntamenti del giorno successivo. Non so quanto rimasi lì, molto a lungo probabilmente, ma quando il sonno si fece insopportabile chiusi il libro, lo riposi in alto al suo posto e, dopo essermi preparato per la notte, mi inginocchiai davanti al letto.

Pai nuestro, que yes en o zielo, santificato seiga o tuyo nombre, bienga ta nusatros o tuyo reino e seiga feita a tuya boluntat igual en a tierra como en o zielo. O pan nuestro de cada dia da-lo-mos güe, perdona as nuestras faltas como tamién nusatros perdonamos á os que mos faltan, no mos dixes cayer en a tentazión e libera-mos d'o mal. Amen.

Pater Noster qui es in caelis sanctificétur Nomen Tuum; advéniat Regnum Tuum;fiat volúntas Tua,sicut in caelo, et in terra.Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie;et dimítte nobis débita nostra,sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris;et ne nos indúcas in tentatiónem;sed líbera nos a Malo.Amen.


Spensi le candele, chiusi gli occhi e mi addormentai.
 

Valchiria

SoHead Perfumier - Queen of the year
Svezia, 1125

-"Mia signora, il Re è morto."

Ulvhild girò la testa verso la finestra. Il cielo era cupo e la terra era ricoperta di bianco. Sul suo volto non c'erano segni di tristezza o malinconia, al contrario la sua espressione era soddisfatta. Il suo piano sembrava aver funzionato: sposare il Re di Svezia Ingold, troppo fragile per regnare in questa angusta terra e non aveva carisma sufficiente, nè l'ambizione, per riunificare le terre del Nord, attenderne la morte sperando, o facendo in modo, che fosse prematura, e poi succedergli al trono per fare quello che un uomo debole come quello non sarebbe mai stato in grado di fare.
Forse era troppo legato alla religione di Roma per riuscire a portare il suo popolo in una guerra che non fosse ordinata direttamente da Roma. Da quando la gente del Nord aveva dimenticato l'antica divinità vichinga, Odino, dio giusto ma intransigente, per affidarsi invece a un dio debole e misericordioso, ormai la Svezia prendeva ordini dalla chiesa romana e quel forte e spietato popolo di guerrieri era decaduto ad una accozzaglia di nobili ubriaconi buoni a nulla.

Ma nei giorni a seguire alcuni nobili fedeli al Re scoprirono che egli non era affatto morto per cause naturali, ma che era stata proprio Ulvhild a tramare contro di lui.

-"Forse è meglio se per qualche tempo andate via dalla Svezia. In giro dicono che siete stata voi ad avvelenarlo mentre dormiva. Tornate in Norvegia, lì sarete al sicuro."
-"La Norvegia?" - rispose Ulvhild dubbiosa -Sarebbe troppo facile trovarmi. Andrò in Danimarca lì ho delle conoscenze e sarò al sicuro, so già dove andare. Tu rimarrai qui, io tonerò quando le acque si saranno calmate. Non temere". - disse alla sua confidente.

Quella stessa notte partì.
Dopo pochi mesi di permanenza alla corte danese si sposò con il re Niels di Danimarca, quasi sessantenne, sperando di potergli dare un erede prima della sua morte sfruttando la giovane età del figlio per poter governare lei stessa.
Così non fu e dopo cinque anni di matrimonio Ulvhild non riuscì ad ottenere quello che voleva.
Nel 1130 conobbe Sverker I detto il Vecchio, nuovo Re di Svezia, che fu insolitamente capace di attirare le attenzioni di Ulvhild, una donna abituata a sedurre e non ad essere sedotta. Non ebbe quindi alcuna difficoltà a tornare in Svezia come Regina facendosi sposare dal Vecchio, abbandonando la Danimarca, nonostante fosse ancora sposata con re Niels.
Ulvhild che non era una stupida donna di palazzo lì solo per sfornare figli (da Sverker ne ebbe cinque) fece capire al marito che lei era una donna ambiziosa e vogliosa di potere. La sua idea di riunificare il Nord sotto il proprio potere, con la benedizione di Odino, era appoggiata dal marito che nel 1142, per far salire al trono sua moglie, molto più giovane di lui, promulgò una legge che permetteva ai re di nominare come eredi, non solo uomini, ma anche donne.
Così nel 1144, all'età di 34 anni, sul trono di Svezia salì una Norvegese: Ulvhild Håkonsdotter.


[gdr off: La storia che ho scritto è quasi tutta vera a parte la legge che non so se c'era o era stata già fatta e ovviamente la conseguente salita al trono]
 

Dread Sir Cassius

Get a life
Fantacalciaro
180px-BandieraPisa.jpg


Repubblica di Pisa A.D. 1145

Il rumore delle navi di ritorno dal commercio accendevano le giornate repubblicane,Cocco griffi dalla torre del suo palazzo osservava il movimento delle merci trasportate dai lavoratori.
Le case si innalzavano con numerose torri simbolo della importanza del propietario commerciante e il Governatore sospirava immaginando che quella citta' era troppo piccola ormai,per gestire commerci in grande espansione...


-"Le isole non danno appoggi sicuri,stanno la' in mezzo al mare sole da tutto,devono trovare un contatto con la terraferma,il regno in Corsica la si raggiunge piu' che bene,ma non le isole Baleari!

Costantino cosa ne pensi?-"

-"Devi calmarsi sua maesta' Cocco Griffi,le cose stanno andando per il verso giusto,la flotta e' sana e nessuno ha cattive intenzioni verso di noi,lavoriamo bene e i repubblicani sono dalla vostra parte.
Gli scali di Aleria, Aiaccio e Sagona funziona alla perfezione"-

Ma il Governatore continuava a pensare alle stesse cose e testardo si tratteneva a colloquio con un giovane amico,apprezzato per le sue straordinarie doti d'intelletto...

-"Violante,dovrai occuparti tu della flotta sei giovane e capace io ho troppi problemi con la repubblica qui a Pisa,gli averi devo gestirli personalmente per il bene comune in piu' devo intrattenere i rapporti con il papa tu ben sai questo...scegli le soluzioni migliori per le nostre navi"-

adsumitur Pisa in locum Romae

[prima parte]

[gdr off:prendo le misure della cosa]
 

Zaratustra

Get a life
Fantacalciaro
...... عبد محمد قمي مشى في الغرفة ، وجهه الكئيب ، زرعوا من التجاعيد والندوب

المنحني الهيئة ، ملفوفة في الكوبالت سترة زرقاء

حرة عقلك ، ضائعة في المتاهة من الأنهار وبين غرفة مرصع بالذهب

عبد محمد قمي ..... كما أو إذا كنت تريد أنت لن ينضم له العذاب

فجأة يستيقظ الآن ، الخفقان مثل الحصان ، وأشار أحدهم...

مبني من ، وهو رجل والعاجزين عن الحركة ، توقف العين ، العقل وتأكيدا على السخرية غامضة




كيف علم الأصيل خطأ غير مقصود في التعبير الجديد الى الدفاع عن الكلام هذه الجملة

"من يظن أنه الخالد ، الذي لا يعتقد ان وفاته".


"لأن الفكر هو نفسه بالنسبة لجميع الرجال ويفصل بينهما سوى أرواحهم أنها عادت إلى الله والمجد"

أكثر محمد قمي حول عينيه رطبة وحتى ذلك الوقت لا يتوقف
لاخماد المتعجرفة ل يدعى أبو الوليد محمد أحمد بن محمد ابن رشد
بين الفلاسفة والمعروفة باسم .............
فجأة يستيقظ الآن ، قشعريرة ، مثل حصان ، وأشار أحدهم...







lo traduco per chi di voi non mastica l 'arabo












......Abd al-Mu'min al-Qumī camminava per la stanza , il volto cupo , arato da rughe e cicatrici

il corpo curvo , avvolto in una tunica blu cobalto

la mente libera, persa nei fiumi di arabeschi e tra gli intarsi d'oro della stanza

Abd al-Mu'min al-Qumī Camminava .....come fuggisse o se preferite come non volesse essere raggiunto dai suoi tormenti

D'un tratto desto,fremito ,come di cavallo ,qualcuno lo osservava...

Eretto d'innazi , un uomo , immobile ,dall'occhio fermo,la mente placida e un espresisone vagamente derisoria




Come consapevole della colpa insita nella sua non voluta espressione, il nuovo entrato pronuncio a sua discolpa questa frase

"Chi pensa è immortale, chi non pensa muore."


"poiche l'intelletto è unico per tutti gli uomini ed è separato mediante la loro anima solo quest'ultimo ci ricongiunge a Dio e alla sua Gloria"

Ancora piu innervosito, al-Qumī rivolse gli occhi umidi e fino al quel momento mai fermi,
verso quell arrogante diturbatore di nome Abū l-Walīd Muhammad ibn Ahmad Muhammad ibn Rushd
tra i filosofi conosciuto come Averroè .............
 

Mersault l'Apostata

Chosen one
Fantacalciaro
فى شوارع بغداد

"ان تكف الشمس له فى السماء فى بغداد, اكثر بيلا بين المدن" الى - ممن الوحيد من الله, تلاحظ الطرق بما فى ذلك من الرجال والنساء, وهو يستند الى اليد اليسرى بشان كتف الشباب الطفل, الى - ان يسمع مع تمسك بالاقلاع دون ان ننظر فى شوارع بغداد. "لا نهاية لها هو منح العفو الالهى ان المخطط له عن تقديرنا موجهة, الطفل, مع ان مهمتنا هى ان كل مرة اكبر على غلوريا من الله. اننا, نحن النجم القطبية التى
.تشكل فى ضوء


Per le strade d Baghdad

"Che il sole splenda nel limpido cielo di Baghdad, la più bella tra le città!"
Al-Muqtafi, l'unico Califfo servo di Allah, osserva le strade brulicanti di uomini e donne, e poggia la mano sinistra sulla spalla del giovane figlio, Al-Mustanjid, che ascolta con devozione, senza staccare lo sguardo dalle strade di Baghdad. "Infinita è la grazia divina che aleggia sul nostro Califfato, figlio, e il nostro compito è rendere sempre più grande la gloria di Allah. Noi siamo la stella polare che irradia la luce del divino in tutto il mondo: non dimenticarlo mai, Al-Mustanjid."
Il giovane uomo annuisce, senza staccare gli occhi dalle strade di Baghdad. Sa che un giorno la saggezza del padre dovrà divenire la sua propria, giacchè il destino del Califfato Abbaside sta nel portare nuova gloria al Signore, per indicare agli uomini la strada da percorrere per l'evoluzione dell'umanità.
Per le strade di Baghdad, proprio in quel momento, un giovane poeta sta facendo innamorare la figlia di un nobile con le sue dolci e nuovissime parole d'amore.
 
Alto