Proprio ieri ho letto un bellissimo post della pagina FB "Milanisti leopardiani", scritto come sempre da uno molto, molto bravo, in occasione del compleanno di Giacomino (nato il mio stesso giorno, per mio grande onore). Casualmente, dà un'ottima risposta alla tua domanda, indi per cui lo riporto qui:
LEOPARDARE (29 giugno 1798 – 29 giugno 2021)
Galimberti racconta spesso un aneddoto su Schopenhauer (d’altronde Galimberti, bontà sua, ama ripetersi): il tedesco, che predicava “l’emancipazione dall’incubo delle passioni”, fu visto uscire di notte da un postribolo da alcuni sui allievi che, meravigliati, gli chiesero: ”Maestro, anche lei qui? Dopo tutto quello che ci ha detto in ordine alla castità?”, al che lui rispose: ”Non dovete mai giudicare la filosofia dalla condotta di un filosofo”.
Ne “Il mondo come volontà e rappresentazione”, Schopenhauer scrive: “Che il santo sia un filosofo, è tanto poco necessario, quanto poco necessario che il filosofo sia un santo: come necessario non è che un uomo bellissimo sia un grande scultore o che un grande scultore sia pure un bell’uomo. […] Rispecchiare astrattamente, universalmente, limpidamente, in concetti l’intera essenza del mondo, e così, quale immagine riflessa, deporla nei permanenti e sempre disposti concetti della ragione: questo e non altro è filosofia”.
Leopardi, che gli era parente stretto nel pensiero, è dal canto suo il pessimista per antonomasia: ed è la stessa persona che, tra le altre cose, ha scritto: “Ridete franco e forte, sopra qualunque cosa, anche innocentissima”, o nel Ciclo di Aspasia: “E conforto e vendetta è che su l’erba / Qui neghittoso immobile giacendo / Il mar la terra e il ciel miro e sorrido”; o ancora che l’amore - l’idea d’Amore - è utile illusione in resistenza al male, e su di esso si eleva.
Ma, soprattutto, ha immaginato: “E quando miro in cielo arder le stelle; / dico fra me pensando: / a che tante facelle? / Che fa l'aria infinita, e quel profondo / infinito seren? / che vuol dir questa / solitudine immensa? / ed io che sono?”.
La felicità, sia per Leopardi che per Schopenhauer, non esiste perché non esiste limite al desiderio: tanto è bastato a bollare i due come corvi nei bignami dell'umanesimo.
A me la vita è male e fango è il mondo, dice uno, l’istinto sessuale è riprovevole, fa l’altro. E poi invece scopano, ridono, si stendono sull’erba, guardano le stelle e ad esse si comparano nello sconfinato e radioso stupore dell’esserci.
Per questo ci diciamo leopardiani: non c'è etichetta che possa racchiudere nessuno; non potremo essere felici, ma tenderemo alla felicità nel domandarci come.
A parte questo generico richiamo all'abbracciare la vita al di qua e al di là della filosofia (come diceva Pessoa, "io non ho filosofia: ho i sensi"), prima di risponderti dobbiamo chiarire un concetto fondamentale: la filosofia a cui tu ti riferisci, e che ti chiedi se e come è possibile rispettare, è la morale, e la sua pratica: l'etica. Questi sono rami della filosofia che si occupano di stabilire le leggi e le pratiche del vivere morale, ovvero della "buona vita". Oltre a esse, però, esistono altre tematiche filosofiche, che ovviamente risultano legate alla morale stessa (in quanto esseri umani, siamo necessariamente esseri sociali, e quindi morali), ma senza essere principalmente dottrine morali. (Per esempio, la filosofia del diritto è legata ai codici morali di una società; la filosofia politica si domanda quale sia il modo migliore per una società di sussistere; ecc. ecc.). Quindi, non è la filosofia nel suo intero a richiedere una coerenza tra teoria e pratica, ma solo la morale. In sintesi, la filosofia non è un intero, ma una forma di pensiero che può essere applicata a qualunque argomento dello scibile umano. In estrema sintesi, la filosofia è un'interrogazione dell'essere.
Stabilita questa premessa, per parte mia ho una certa facilità ad essere coerente, perché le filosofie che amo e che stimo sono generalmente affini al mio modo di vedere e interpretare il mondo. Ovvero, non sono amante delle etiche e delle morali pure, se non di quella esistenzialista (che è di per sé impura) e di quella nietzschana (che chiama alla trasvalutazione di tutti i valori morali), quindi non mi preoccupo di dover essere all'altezza di imperativi morali, se non di quelli che sono i tabù ancestrali della civiltà umana (cannibalismo, incesto), cui aggiungo ovviamente quelli sociali, in generale il rifiuto della violenza (se non in quanto strumento di lotta sociale). A questo proposito, la mia filosofia politica, che naturalmente è anche una filosofia morale (cf. supra), mi impone soltanto di riconoscere il mondo e la storia in quanto espressione di un conflitto di classe, e quindi di essere politicamente, e moralmente, schierato dalla parte di chi è oppresso e sfruttato. Per il resto, fatte tutte queste premesse, necessarie per valutare correttamente la mia conclusione, credo che si possa tutti fare un po' il cazzo che ci pare, se ci fa stare bene (a parte mangiare gli altri, scoparsi la madre, uccidere - se non come strumento di lotta sociale).