l'ho visto stasera, due ore e quarantotto minuti.
l'ottavo film di quentin tarantino, film "minore" che contiene tuttavia un gran numero di chicche, che non voglio spoilerare e che meritano di essere apprezzate su grande schermo.
clamorosa la fotografia, probabilmente la più bella dell'intera filmografia tarantiniana, capace di imprimere su pellicola, con un risultato di grande bellezza ed efficacia, il freddo, il vapore, i cristalli di neve, le pellicce, le barbe e i fluidi dei protagonisti. forse è quel che tiene in piedi il film nella sua durata "claustrofobica".
d'altra parte, però, maestria indiscussa, e indiscutibile, del regista nel dirigere gli attori, e nell'utilizzare gli spazi aperti all'interno di uno spazio chiuso. ottima anche la sceneggiatura, che diverte e pesca ecletticamente nell'immaginario western americano, (ri)creando (dalla coscienza infantile dell'America) legami tra popoli e vicende storiche, senza proporre versioni alternative o romanzate della Storia, come nei due precedenti, ma realizzando piuttosto una rilettura ironica, e tragicomica, della "vera" Storia.
robustamente valido il comparto attori, con un samuel l. jackson imperversante (sua, e di bruce dern, la scena migliore del film) e con un kurt russell in splendida forma, incatenato a jennifer jason leigh, sorprendente e convincente nella parte della criminale tarata. forse un po' in ombra tim roth, ed è sempre un peccato, ma in compenso c'è un walter goggins, nella parte di chris mannix, che insieme a s.l. jackson regge la baracca, anche a fronte del "basso impiego" di michael madsen.
nel complesso, dunque, film minore nel senso che non ha la spettacolarità dei precedenti (da kill bill in poi), e che segue, piuttosto, django unchained su questa via della "nostalgia canaglia" per la "falsa epopea" western.
per alcuni, probabilmente, potrebbe pagare la fattuale staticità e fatuità, ma per me ha nel gusto del dialogo, e dello sguardo "tarantiniano" sui rapporti umani, la sua forza profonda, condita da un uso esponenziale della violenza che mostra appieno, e comunque, la sapienza del grande autore di cinema.
l'ottavo film di quentin tarantino, film "minore" che contiene tuttavia un gran numero di chicche, che non voglio spoilerare e che meritano di essere apprezzate su grande schermo.
clamorosa la fotografia, probabilmente la più bella dell'intera filmografia tarantiniana, capace di imprimere su pellicola, con un risultato di grande bellezza ed efficacia, il freddo, il vapore, i cristalli di neve, le pellicce, le barbe e i fluidi dei protagonisti. forse è quel che tiene in piedi il film nella sua durata "claustrofobica".
d'altra parte, però, maestria indiscussa, e indiscutibile, del regista nel dirigere gli attori, e nell'utilizzare gli spazi aperti all'interno di uno spazio chiuso. ottima anche la sceneggiatura, che diverte e pesca ecletticamente nell'immaginario western americano, (ri)creando (dalla coscienza infantile dell'America) legami tra popoli e vicende storiche, senza proporre versioni alternative o romanzate della Storia, come nei due precedenti, ma realizzando piuttosto una rilettura ironica, e tragicomica, della "vera" Storia.
robustamente valido il comparto attori, con un samuel l. jackson imperversante (sua, e di bruce dern, la scena migliore del film) e con un kurt russell in splendida forma, incatenato a jennifer jason leigh, sorprendente e convincente nella parte della criminale tarata. forse un po' in ombra tim roth, ed è sempre un peccato, ma in compenso c'è un walter goggins, nella parte di chris mannix, che insieme a s.l. jackson regge la baracca, anche a fronte del "basso impiego" di michael madsen.
nel complesso, dunque, film minore nel senso che non ha la spettacolarità dei precedenti (da kill bill in poi), e che segue, piuttosto, django unchained su questa via della "nostalgia canaglia" per la "falsa epopea" western.
per alcuni, probabilmente, potrebbe pagare la fattuale staticità e fatuità, ma per me ha nel gusto del dialogo, e dello sguardo "tarantiniano" sui rapporti umani, la sua forza profonda, condita da un uso esponenziale della violenza che mostra appieno, e comunque, la sapienza del grande autore di cinema.