[Serenissima Repubblica di S.Marco] Annales de Minor Consilio

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*in questo thread, come di consueto vengono discusse, presentate e votate le leggi del governo della Serenissima e rese pubbliche a chiunque come tradizione della Repubblica di S.Marco.*


1990-1993


Lex Tessalonika: trattato di alleanza difensiva e clausole speciali con l'Impero Romano d'Oriente

Come per tradizione del Minor Consiglio, è un gran battagliare tra le fazioni che ne fanno parte, dopo 40 anni oramai codificate in 4 fazioni principali: ròmeni, lagunari, vèndari, zòbiari. Le istanze di Pietro Dandolo capofazione dei Romèni, vengono presto enunciate. Pietro suggerisce una stretta nei rapporti con Bisanzio a consolidamento definitivo dei rapporti economici che intercorrono tra le due nazioni. Viene consegnata all'assemblea la bozza del trattato di Tessalonika in cui Venezia riconosce sostanzialmente lo status quo attuale dei suoi intrallazzi nell'ecumene bizantino, con il Basileus di Costantinopoli riconosciuto superior nei confronti di tutte le nazioni ortodosse. Pietro confida nell'acquisizione della Dalmazia, mettendola servita sul piatto, di modo da tenere buone le fazioni più espansioniste e controbilanciare i possibili malumori da parte dei mercanti attivi nel Ponente. Se da una parte il trattato ratifica definitivamente il monopolio commerciale Veneziano a Bisanzio, Pietro pone l'accento soprattutto sull'ottenuto usufrutto esclusivo delle rotte legate all'argento, un risultato di portata storica che consente a Venezia rifornimenti certi per il proprio conio. Pietro intende guadagnare consensi decisivi per il futuro tra gli esponenti non ròmeni appartenenti alla Zecca Veneziana. La richiesta di Pietro è quella dell'accettazione del trattato, per quanto la clausola VIII, crei un certo timore nella parte più oltranzista dei maggiorenti legati alla Santa Sede, soprattutto visto l'ultimo conclave. Dandolo esprime la convinzione fondata che Venezia debba continuare a coltivare i suoi rapporti con l'Oriente, per questo Bisanzio resta una pedina fondamentale anche nella gestione della Terrasanta. Si passa quindi a votare la mozione per la ratifica definitiva.

Trattato di Tessalonika 1190 AD
 

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1990-1993

Lex urbana Reforma: riforma urbana della Serenissima Repubblica di S.Marco.

Sempre su iniziativa dei ròmeni, venne proposta una riforma urbanistica di notevoli proporzioni. E dalle stravaganti ripercussioni politiche nonostante la materia potesse sembrare neutra. Essa riguardava in primo luogo la città di Venezia, di cui venne proposta la divisione in Sestieri. Le vecchie riforme costituzionali di Enrico Dandolo erano divenute obsolete, dal momento che le gilde mercantili o corporazioni si erano ormai fuse in differenti fazioni all'interno del Minor Consiglio veneziano. Lo stesso scrivano aureo era divenuto da controllore addirittura Doge, nonostante la carica fosse a vita. La riforma istituiva la figura del balivo, una sorta di plenipotenziario del catasto, dell'anagrafe e del fisco, responsabile dell'accesso fiscale di tutti gli abitanti di Venezia e dei versamenti che spettavano alla Serenissima. Per non scontentare nessuno Pietro Dandolo proponette la divisione in 4 sestieri sotto il controllo fiscale diretto di un rappresentante scelto dalle varie componenti; per cui le fazioni in Maggior Consiglio vennero a controllarne uno ciascuno. La parte XI della Riforma prevedeva che le vecchie gilde, disseminate con le loro sedi corporative su tutta la città, si registrassero ad un Sestiere. Essendo esse espressione diretta dell'oligarchia veneziana, ciò significava che le gilde di riferimento a questa o a quella fazione politica in Minor Consiglio, non avrebbero più avuto modo di separarsi politicamente in maniera troppo drastica dai loro "rappresentanti", questo per non dare tasse agli avversari politici (dal momento che ogni balivo tratteneva per se, quindi per la sua fazione un 5% dell'introito fiscale proveniente dal Sestiere che controllava). Questo stratagemma costringeva la corporazioni veneziane a "spostarsi" di sede, per registrarsi nel Sestiere di riferimento politico, rimescolando non poco le carte. Se i ròmeni dandoliani potevano contare sull'appoggio economico e sull'influenza delle gilde legate agli interessi con Bisanzio; i vèndari di Ziani, legati al Sacro Romano Impero avrebbero dovuto spostare dal Sestiere il cui balivo era espressione della fazione di Pietro Dandolo, le proprie corporazioni di riferimento. Tutto questo in realtà giovava un po' a tutti, in quanto non era raro in questa fase politica per Venezia, di trovarsi con corporazioni mercantili nell'altra assemblea veneta, il Maggior Consiglio, a volte spaccate. Pietro Dandolo confidava che, alla conferma del trattato di Tessalonika, avrebbe potuto fare "spesa" di delegati al Minor Consiglio; andando a pescare sia tra coloro che desideravano l'acquisto di territori, generalmente fedeli a Michiel e Ziani, sia andando a erodere i delegati Polani, che mantenevano interessi più moderati ma tuttavia simili rispetto alla fazione di maggioranza ròmenea, anche e soprattutto in riferimento alla singolare divisione politica principale esistente a Venezia: guelfi-ghibellini contro levantini. La stessa cosa poteva dirsi per i lagunari del Doge Michiel, che potevano "cannibalizzare" i vèndari di Francesco Ziani. Le fazioni di minoranza avrebbero quindi dovuto trovare argomenti politici differenti per mantenere la loro influenza, oppure puntare sulla caratura dei loro leader. Questo avrebbe rimescolato non poco le carte.
Diversa era invece la divisione delle città delle Terre da Mar in quanto facente funzione di balivo era il Bargello, deciso da voto assembleare su proposta del Doge. Era abbastanza palese che la riforma urbanistica creava condizioni per controllare il business delle espansioni urbane, dal momento che i bargelli controllavano integralmente le liste catastali della Città a cui erano assegnati. L'implicito patto era che se Michiel avesse nominato per Piombino e San Rebbo bargelli lagunari, si sarebbe trovata la convergenza per far passare la riforma, creando di fatto un blocco di lagunari e ròmeni, dal momento che gli interessi levantini di San Rebbo erano presumibilmente, data la posizione, evidenti.
Le norme poste a tutela della cittadinanza e degli artigiani o piccoli mercanti in grado di ottemperare alle tariffe, lasciavano presagire la possibilità di un boom edilizio, qualora vi fossero stati allargamenti o costruzioni di nuove città o di quartieri riservati al mercato, garnatendo comunque una posizione di forza alle corporazioni e quindi alle fazioni aristocratiche in generale, essendo riconosciuto il diritto di acquisire immobili non più a livello famigliare ma consociativo (gilde mercantili con interessi comuni potevano vedresi riconosciuta la proprietà in maniera non discinta). La divisione in quote e la possibilità per i contadini benestanti di venire a risiedere in città, potenzialmente accresceva il numero dei cittadini potenzialmente registrabili.
Per evitare uno spopolamento delle campagne, la riforma stabiliva incentivi riguardo la manodopera schiavile, andandone a fissare il costo direttamente, così da incentivare le forniture alimentari.

Inevitabilmente, durante il dibattimento, i ròmeni promossero anche l'ingrandimento di Venezia e di San Rebbo. i Vèndari quello di Piombino. Si andò quindi alle consultazioni di voto.



I. Viene istituita la figura del Balivo. Esso ha il compito di raccogliere le tasse e di aggiornare i registri catastali. La sua nomina è a vita.

II. L’urbe veneziana è divisa in 4 sestieri , la competenza per la riscossione degli oboli e delle tasse nei sestieri è data alle 4 famiglie oligarchiche del Minor Consilio di più alto lignaggio, tramite un balivo che ha il compito di attenersi alle quote dell’erario fissate dal Minor Consilio stesso. Le fazioni a compenso del proprio servizio trattengono 5 parti su cento del totale fiscale proveniente dalla Sestiere, per un complessivo di 20 parti su 100 dei talenti provenienti dalla città.

III. Del totale delle imposte raccolte dalle famiglie oligarchiche, Minorenti, una parte su tre dev’essere messa a libro e accumulata per opere di interesse pubblico relative alla città di Venezia, quali :opere per la difesa, allargamenti dell’arsenale, costruzione di cattedrali etc. L’accantonamento prende il nome di “Riserva”

IV. Il Minor Consilio, con legge speciale all’unanimità, può attingere alla Riserva per motivi differenti a quelli elencati alla parte III.

V. L’elenco dei balivi votato dal Minor Consilio dev’essere depositato presso il Maggior Consilio che deve prevenire tramite l’interrogazione al suo apposito Tribunale Generale della Repubblica, una Bolla Bonaria, onde evitare vi sia un candidato non idoneo per buon costume o lealtà alla Repubblica. Il Minor Consiglio mantiene la potestà di rimuovere un balivo sconsiderato per mezzo di legge speciale una volta eletto.

VI. I possedimenti di San Rebbo e Piombino e così tutte le città ulteriori a Venezia presenti e future, con tutto ciò che vi si muove all’interno, hanno diritto all’ istituzione della carica di Bargello, o governatore cittadino, direttamente dipendente dal Minor Consilio, su nomina del Minor Consilio stesso previa proposta dogale. Egli amministra le tasse, il catasto e segue la città facendo funzione di Balivo per l’intero dominio urbano di sua competenza. La parte V della seguente riforma urbana regola anche la figura del Bargello.

VII. I cittadini veneziani e della Repubblica della Serenissima, sulla sola base del reddito e del censo, senz’altra distinzione purchè non iscritti al Libro Aureo del Maggior Consilio (quindi tutta l'aristocrazia) e non facenti parte del Minor Consilio, se possibilitati per le proprie ricchezze, hanno diritto all’opzione sui lotti di territorio edificabile all’interno delle SOLE AREE URBANE in tutto il territorio della Repubblica, al fine di costruirvi la propria dimora o la dimora per la propria bottega. I lotti reclamabili dalla cittadinanza sono pari a 6 parti su 10 del totale dei lotti edificabili presenti sui registri del catasto.

VIII. Le parti non reclamate dalla cittadinanza non iscritta al Libro Aureo dell’Urbe Veneziana e tutte le quarte parti di diritto spettanti alla nobiltà possono essere concesse ad uso di canone, affitto, o direttamente edificabili dai Maggiorenti.

IX. E’ reso possibile ai contadini che lo richiedessero, la registrazione: presso i balivi di sestiere, per la sola città di Venezia, ai Bargelli per le altre città della Repubblica; all’interno delle liste catastali di quel dato sestiere o di quella data città

X. Al contado della Serenissima Repubblica di S.Marco, di qualsivoglia provincia, è dato acquistare schiavi mori o di altra etnia, al mercato veneto, con un’incentivo pagato dalla Repubblica pari a 15 parti su 100 dell’importo fisso stabilito dal Minor Consiglio della Serenissima Repubblica. La manodopera non libera impiegata nelle botteghe veneziane e di ogni città della Repubblica viene sgravata di 5 parti su 100.

Xbis. L'importo di ogni singola partita di schiavi non può superare i 750 zecchini d'argento o le 15 togate d'oro.

XI. Le corporazioni mercantili che sono inquadrate nel Maggior Consiglio hanno l’obbligo di registrare la loro appartenenza direttamente nel Sestiere in cui sono locate. Esse quali partecipanti al Maggior Consiglio sono considerate Maggiorenti e possono, in formula consociativa, partecipare ai bandi e alle aste per i lotti edificabili dei privati.

XII. I regolamenti per le aste e i bandi dei lotti edificabili sono redatti dai Balivi di Sestiere in Venezia e nella laguna, dai Bargelli nelle altre città della Repubblica, in ottemperanza alle leggi del Tribunale e della Serenissima Repubblica di S.Marco per effetto delle disposizioni del Minor Consilio o del Doge.
 

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1990-1993

Lex concessio mercantile XVII: Concessione di Emporio Commerciale in Georgia.

La votazione quasi scontata verteva sull'apertura, vista la possibilità, di un nuovo emporio commerciale in Georgia presso la città di Santatoga. I consuntivi e gli eventuali dazi sarebbero stati di competenza del regno cliente, come consuetudine.

Editto di concessione da parte del Regno di Georgia 1993 AD
http://forum.sohead.org/http://sohead.org/phpBB3/viewtopic.php?t=2
 

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1990-1993

Lex concessio mercantile XVII: Concessione di Emporio Commerciale in Persia.

La votazione quasi scontata verteva sull'apertura, vista la possibilità, di un nuovo emporio commerciale nell'Impero Persiano presso la città di Esfahan. I consuntivi e gli eventuali dazi sarebbero stati di competenza del regno cliente, come consuetudine.

Il gabellario era incluso nel trattato commerciale in essere tra la Serenissima e l'Impero dello scià.
 

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1994-1997

ELEZIONI DELLE MAGISTRATURE E QUADRO POLITICO

Le elezioni delle cariche Repubblicane del 1195 furono senza dubbio tra le più movimentate che si potessero ricordare, non tanto per la consueta parità istituzionale che veniva come sempre garantita, quanto per il meccanismo legato all'ingresso dei nuovi Maggiorenti.

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Le istituzioni veneziane da rinnovare erano sostanzialmente: il Minor Consilio, i tribunali delle Quarantie (sia quella Mercantile per i reati di tipo economico, che quella Criminale per i reati contro la persona) il consiglio dei Dieci (la polizia segreta della Repubblica) Dal momento che il Minor Consilio secondo le introduzioni del Morosini vent'anni addietro, era ormai null'altro che l'esecutore delle volontà del Doge, il Maggior Consiglio stesso rappresentava ora l' l'unico e vero organo politico della Repubblica, in grado appunto di nominare la massima autorità ducale. Minor Consiglio e Avogadri, così come il consiglio dei Dieci restavano in carica per 4 anni. Il Doge ovviamente a vita o fino all'abdicazione.
Per giovane tradizione, il Minor Consiglio era composto da due Minorenti per ciascuna delle fazioni esterne a quella dogale, e tale rimase la suddivisione. Per questioni di prestigio, nessun Minorente sarebbe mai andato contro una posizione del Maggior Consiglio, dal momento che era il Doge a proporre le leggi espressione stessa dell'assemblea al suo esecutivo. Si trattò quindi di una questione più legata al prestigio che ad altro, i Minorenti erano ormai da vent'anni l' espressione dei "capi" delle fazioni Veneziane.
I 6 Minorenti nominati furono:

- Enrico Dandolo, 88 anni, ex doge e Patriarca di Grado. Ormai cieco è considerato il grande vecchio di Venezia, temuto alla stregua del demonio dal clero cistercense.
- Pietro Dandolo, capofazione dei Ròmeni al Maggior Consiglio. E' il nipote di Enrico ed è considerato l'astro nascente della politica Veneziana.
- Eribertino Ziani, pronipote in secondo grado di Francesco Ziani, capofazione dei Véndari al Magg.Consiglio. Giovanissimo e colto.
- Cesare Badoer, della famiglia dei generali Badoer, arricchitasi con le conquiste territoriali venete ai danni di Rascia, membro di spicco dei Vendàri.
- Naimero Polani, figlio di Pietro Polani il gran bailo a Costantinopoli ed ex Doge. Capofazione degli Zòbiari.
- Giacomo Morosini, figlio del defunto Domenico Morosini, precedente Doge. Zòbiaro tutto d'un pezzo. E' il più grosso armatore di Venezia.
Da questa posizione, il Doge diresse abbastanza agevolmente la votazione riguardo le due Quarantie, che furono nominate abbastanza velocemente, con i consueti 10 membri nominati per fazione. Ovviamente i due Avogadori del Comun (procuratori della Repubblica) spettarono come consuetudine alla fazione dogale, quella dei Lagunari e furono per l'esattezza:

- Orio Mastropiero, Avogadro della Quarantia Criminale, il braccio destro del Doge
- Bajamonte Tiepolo, Avogadro della Quarantia Mercantile, il più grande tra i mercanti del tessile.

Il Consiglio dei Dieci invece rappresentò il vero terreno di scontro, su cui le fazioni interne a Venezia combatterono aspramente. Il combattimento ci fu e fu estremamente pesante nei toni, la "pax dalmata" andò definitivamente in frantumi durante un epico scontro tra il vecchio Enrico Dandolo, tutt'altro che remissivo, nei confronti del Lagunare Celestino Zen.
I Lagunari ottennero 5 seggi: uno per Zen, e gli altri quattro per Jacopone Gradenigo, Aristide Baseggio, Filippello Zorzi, Barnaba Bembo, cioè primarchi delle nobiltà veneziane di maggior spicco, stabilendo quindi la maggioranza dei Lagunari all'interno del "braccio armato" politico della Serenissima.
Il pomo della discordia con i romèni riguardò prevalentemente il tornaconto preteso dalla fazione dogale, alla chiusura ròmena del contratto commerciale con Damasco, contratto che esaudiva la gran parte degli obbiettivi a lungo termine dei Dandolo, ma che sottraeva risorse alla Serenissima.
Coi romèni divenuti oramai i signori del Levante a tutto danno dei Polani, loro concorrenti storici in quelle areee, si complicavano le cose per la fazione zobìara, che risentiva della straripante politica levantina degli arcinemici romèni, Naimero Polani perse l'appoggio di un gran numero di maggiorenti e nonostante la proprietà delle miniere in Ialomita, il cognato di Pietro Dandolo non riuscì a strappare nemmeno uno delle tre nomine a contabile della Zecca, scontentando di molto il Doge..
Se la posizione ròmena fu irremovibile intorno al direttorio del Banco, fece da contro da contro la strategia lagunare, che arrivò a chiudere coi Vèndari di Ziani un vero e proprio patto di ferro, durante le votazioni della Lex Derratae et Vinicula, voluta dalle fazioni mercantili non levantine, e in cui fu stabilito il monopolio dei mercanti veneziani sul caffè.
La risorsa dunque rimase di pieno controllo metropolitano, annullandone di fatto l'esportazione mercantile verso altre nazioni.
Tutto ciò ebbe ripercussioni sia sul Maggior Consiglio che sulle nomine dei Dieci, dove le fazioni "orientali" si videro a segnare tre miseri seggi. Coi restanti che andarono a Bragadin, Dolfin e Contarini, Stabilendo un rapporto di 7 a 3 a favore delle fazioni "metropolitane".
Per quanto riguarda il Maggior Consiglio, Venezia non aveva cariche "deputate" all'interno dell'Assemblea, le famiglie più importanti o comunque iscritte al Libro Aureo vi partecipavano, oltre al fatto che mano a mano che la Repubblica si ingrandiva, nuove famiglie chiedevano di entrarvi.
La questione dei contratti commerciali nel Levante, come poi tutto il dibattito politico in seno alla Serenissima, fece sì che si verificassero i classici "spostamenti" di schieramento, con l'asse Michiel-Ziani deciso a far valere le proprie posizioni. I Dandolo si trovarono ancora in minoranza alla fine del quinquennio per quanto rinvigoriti, mentre gli Zòbiari di Naimero Polani dovettero tribolare e non poco in seria a mantenere i consensi delle proprie famiglie tradizionalmente levantine.
La Lex Derratae et Viniculae introdusse la rotazione delle colture nel veneto oltre a legiferare sui monopoli del caffè. L'istituzione di un monopolio vinicolo veneziano in Toscana, fortemente voluto dai lagunari per mantenere gli introiti delle proprie nobiltà commerciali, rese impossibile ai ròmeni lo sganciamento definitivo della grande marineria commerciale veneziana verso il Levante, anche in luce dell'opposizione strenua di Ziani in Maggior Consiglio all'aumento delle gabelle nei mercati iberici, il vero forziere degli irriducibili ghibellini vèndari.
Il risultato fu il progressivo spostamento dei commercianti filo ròmeni verso la ricchissima area siriana. Infatti nel quinquennio i lotti dei quartieri commerciali sulla costa libanese andarono battuti all'asta per ben 17 volte, e i ròmeni fecero in modo di assicurarseli logicamente in grandissima maggioranza.
La notizia del contratto commerciale esclusivo tra gli Altavilla e l'Ordine del Tempio, soprattutto sulle rotte delle saline costruite anni prima su suggerimento dello stesso Doge Dandolo, ingarbugliò alquanto i commerci veneziani, che non avevano nulla da guadagnarci dalla concorrenza lusitana.
Buona parte dei mercanti romèni migrò verso Damasco, aiutati dalla Lex pro mercantes siculae et apuliae, che ne facilitava il trasloco. Il trattato commerciale con Palermo, nella pratica e infine anche nella teoria decadde, in quanto oramai totalmente inefficace, uno smacco politico non da poco per Pietro Dandolo, che coniò il motto "Altavilla intelligunt" ovverosia "Altavilla capirà", giustificando in questa maniera l'inevitabile abbandono del principale mercato italiano da parte del patriziato mercantile legato ai Dandolo e ai Polani.
La faccenda interessò in parte minore anche la repubblica Senese, dove i legati storici tra Bandinelli e la famiglia Dandolo, persero in influenza politica.
I levantini ròmeni trasferirono completamente la sfera d'interesse tra nazioni non cristiane, mantenendo comunque il preziosissimo mercato del Ponente magrebino, con cui collaboravano strettamente coi lagunari..
Le tratte degli schiavi mori provenienti dalle coste dell'Africa Occidentale arricchirono nuove famiglie, che quindi ebbero accesso al Maggior Consiglio. Rebaffin e Raufestino su tutte.
Infine fosche nubi si addensarono sulla Laguna, dopo che il Capitolo Templare fissò per l'Ordine cavalleresco la possibilità di poter incamerare elemosine e decime all'interno di S.Marco, il tutto senza alcuna sottomissione all'autorità del Doge. Tutte le fazioni veneziane si mostrarono compatte su questo punto: chi come i romèni per salvaguardare gli interessi coi musulmani, chi come gli zobìari per mantenere l'equilibrio a Gerusalemme e fare gli interessi dei clienti bizantini, chi come i vendàri per meglio concorrere in iberia, chi come i lagunari per una questione di sovranità interna a Venezia e al dogato che amministravano.
Un'unanime condanna fu pronunciata dall'assemblea cittadina, e verso l'ultimo natale del lustro il Consiglio dei Dieci fu riunito per discutere di eventuali rappresaglie.
 

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1994-1997

Lex Derratae et Viniculae

La legge fu voluta soprattutto per parte lagunare. In sostanza la legge cominciò come una piccola riforma agraria per meglio sistemare le derrate alimentari della capitale. In veneto fu incentivata la rotazione delle colture, anche grazie alla grande manodopera schiavile importata dall'Africa, di modo da sopperire alle eventuali necessità della città. A metà del dibattimento fu però sollevata la questione del caffè, risorsa di importazione, quasi esclusivamente in mano romèna. In breve tempo si accese una bagarre tra le famiglie degli esportatori, che intedevano mettere sul emrcato la risorsa, e chi invece intendeva importare il caffè per renderlo vendibile sul territorio, arricchendo quindi i sestieri veneziani. Passò la seconda mozione, e per Venezia si aprì la stagione delle tostiere e delle torrefazioni. Una sconfitta per molti levantini, per quanto di contro la possibilità per i veneziani di accedere a un bene di lusso, permise una maggior stabilità politica. Venne redatto anche un memorandum all'interno dello stesso provvedimento, in cui si istituiva il tariffario del vino toscano, dfi cui Venezia aveva ottenuto il monopolio di fatto. Anche questa manovra voleva porre in svantaggio i romèni, giacchè i trattati commerciali con Firenze ne risultarono rinvigoriti a scapito di quelli coi Siciliani.

Trattato tra Firenze e Fiandre in cui viene menzionato il monopolio Veneziano 1195 AD
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1194-1197

Lex Zengida: trattato commerciale con il sultano Zengi

Fortemente voluta dalla fazione roména, la legge stabilì il trattato commerciale tra la Serenissima e il sultano zengide. Fu il capolavoro finale di Enrico Dandolo, una carriera spesa al potenziamento della Serenissima, carriera che avrebbe meritato certamente una cerimonia di encomio solenne in piazza S.Marco se non fossero sopravvenuti i fatti di 20 anni addietro e della "Congiura Polana" in Bisanzio, che costrinsero l'allora doge di Venezia ad abdicare. Aldilà di ciò l'intero Maggior Consilio tributò un'applauso trionfale e commosso al vegliardo roméno, ormai completamente cieco. Nonostante il mormorio delle fazioni più tradizionalmente legate all'Italia il contratto sancì definitivamente l'egemonia monopolista veneziana su tutto il medio oriente, con le rotte carovaniere di Petra e Palmira ora a disposizione della Repubblica di S.Marco. "Xò che non fasemmo con le falanxi, fasemmo coi sghei!" disse Enrico Dandolo. La potenza politica e commerciale veneziana raggiungeva l'apice.

Trattato commerciale tra Siria e Serenissima Repubblica di S.Marco 1194 AD
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