[Roma] L'ultimo grande discorso di Mario Valerio Corvo al senato romano

Toga!

Chosen one


Vale!

Senatores! Oggi dall'altezza di questi anni oso scorgere i confini della mia vita, oso scorgere i bordi di questo lungo percorso, un percorso a volte vittorioso e a volte sofferto, dalle Forche Caudine alle quali i coraggiosi sanniti ci costrinsero, sino alle vittorie contro volsci e contro gli altri latini. Perciò vi chiedo attenzione ancora una volta, vi chiedo decoro e ascolto poichè io mi accingo a portare il gladio per l'ultima volta. Tengo il peplo sulle spalle perchè temo il freddo *risate di qualche senatore* eppure qualcuno di voi mi ricorderà come condottiero, qualche stagione scorsa, e chiedo che a quel condottiero sia prestato ascolto quest'ultima volta. Dopo 5 anni di governo incerto Roma oggi deve affrontare la più dura delle prove, poichè voi sapete benissimo, come me e come anche il popolo romano, che cosa incombe su di noi. Per quanto Cartagine abbia finora rispettato i patti, ella mantiene un piede appena fuori dall'Italia peninsulare, sono certo, poichè essi sanno essere onorevoli, che non oseranno macchiarsi di infamia rimangiandosi le parole che spesero un giorno innanzi a questo Senato stesso, così come noi rispettiamo il patto coi tarentini, per quanto le voci che giungono a Roma li vogliono desiderosi di un nostro passo falso, forse proprio per intrappolarci nella morsa dei punici. Eppure ROMA NON HA MAI GIUDICATO IN NOME DELL'ECO O IN NOME DI PROTERVIA, ed aspetterà anche questa volta CHE GLI DEI CI MANIFESTINO la verità. Sappiamo della grande sete di vendetta oltre il Sannio, vendetta che riconosciamo come legittima, da fieri avversari quali essi sono, conosciamo il valore dei Bruzi e la loro volontà di pace, siamo fieri di conoscere i greci di sicilia: abili mercanti e provetti marinai. Ora vi è questa lega tra Umbri ed Etruschi, i primi di cui sempre disinteressatamente abbiamo fatto l'interesse, i secondi invece, come le foglie di un ceraso, vuolsi a mezzogiorno come a settentrione, non appena l'aliseo spira. Meno di 5 anni fa erano in scudo e frombola, ed oggi mirano al commercio e al disimpegno, trattando con chi pose le prore sulle battigie dei Galli Liguri, a meno di 100 leghe dalla foce dell'Arno.

Ora, Senatores, va detto che se la grande forza che proviene dal mare nostrum non azzanna, come la lupa l'agnello, questi lembi di terra lo si deve al valore di questo Senato, che seppe definire un trattato duraturo con i mercanti punici. Finchè sussiste il rispetto dei patti e della parola tra Roma e Cartagine, Cartagine non può muovere contro l'Italia senza che ottenga vergogna e guerra. Ma pare che questo sia dimenticato da molti tra gli Italici. Ad eccezione dei Sanniti, nostri avversari ma degni di rispetto, i quali meritano l'onore della battaglia, offrimmo la cittadinanza a Bruzi, Etruschi e Piceni, facendo la volontà di questo senato unito e delle sue consulte, il di che i Comitia hanno legato i fasci ed affisse le Aquile alle legioni di Lucio e Publio, eppure non abbiamo trovato che neutralità, una neutralità sporca, una neutralità che deride Roma, con trentamila elmi cartaginesi a minacciare l'Italia, come se non varcare con una caliga una striscia di gesso significasse pace e tranquillità.

E mentre restavamo immobili, i figli dei Tarquini, che mai hanno manifestato sentimenti diversi dal dominio incontrastato su questa Repubblica, stringevano il petto delle loro donne affondandovi il capo e ridendo a crepapelle. Una neutralità la loro che è un invito alla solitudine, ecco come ci ripaga l'Italia o Romani!, per nostro mezzo essi possono prosperare sul mare, che essi non vedono oggi come una rupe irta di speroni eppure rifiutano quello che i progessia generosamente avevano loro elargito. E mentre qualcuno chiedeva una contropartita per rimuovere i canapi degli elefanti e scatenare i leoni su di loro, essi guardano a noi con sospetto, considerano le nostre leggi nient'altro che letame, sputano e pestano i piedi su una cittadinanza che vedono come un oltraggio. Chiedetelo ai Campani di che oltraggio si tratta, chiedete loro chi preferiscono come padrone: se una corte di guerrieri d'alto lignaggio o la legge di Roma, scritta ed eterna!

Poichè questo è ciò che io vedo dalla grande montagna dei miei anni, Senatores!, io vedo lo ius prima di ogni altra cosa, vedo la santità dei tribuni e la forza dei consoli nella nostra legge, vedo questo Senato piegare la propria giusta volontà alla legge di romana. Una legge che non ha eguali in Italia, e desidero dare questa legge a tutti i popoli che possono intendermi, che adorano gli stessi dei, che vedono in Roma la fonte, la sorgente, della giustizia. Da pares quand'essi vogliano essere savi in nome dei loro figli e delle loro mogli, ma quand'ecco che essi muovono la bocca sghignazzando, orbene che la loro testa spicchi dal collo, perchè nessun romano può essere insultato in virtù della sua legge. Mai nella storia proponemmo una simile fortuna. Solo dal Piceno essi ci hanno dato ascolto.

Io ho visto la mia fazione brancolare nel buio e nel silenzio in questi ultimi anni, ma dove non arriva la generosità dei romani amanti della pace, deve giungere il nodoso vincastro della nostra tradizione.

Roma non accetterà mai di trovarsi circondata da città disimpegnate e disinteressate, poichè il disimpegno non è nelle mani della fazione dei nostri costruttori: essi infatti sono laboriosi, umili e taciturni.

Roma non accetterà mai di trovarsi circondata da città che mercanteggiano per il solo profitto: poichè l'avidità non è nelle parole dei nostri mercanti: essi infatti sfamano il popolo prima che sfamare se stessi.

Roma non accetterà mai di trovarsi circondata da città che rifiutano le leggi romane, o le considerano frutto dell'Averno, poichè non può esistere una pace domani che non sia edificata su queste tavole: e questa è la convinzione profonda dei nostri legisilatori e dei nostri progessisti.

Roma non accetterà mai di trovarsi accerchiata dai suoi nemici, che bramano la sua fine, senza avere la possibilità di intervenire, poichè abbiamo il diritto di difendere le nostre case e le nostre terre, poichè moriremo tutti e che Roma sprofondi nel Tevere se negheremo a noi stessi l'orgoglio della nostra stirpe: per questo i militares vanno a morire sui campi di battaglia. Non per la gloria personale bensì per la gloria di Roma.

Quanto ai conservatores, nostro compito è ricordare a questo senato quali sono i suoi compiti: assicurare la prosperità alla nostra città e a noi stessi, difendere la nostra città, progredire nella bellezza, nella forza e nella politica.

Ora io vi chiedo che la decisione sia concorde, e che i proletari votino anche loro con un plebiscito perchè se da Romani dovremo morire, da Romani moriremo, ma non acconsentiremo ancora un solo giorno allo scherno e al disonore di chi gioca con noi, come se dovessimo piegarci alla paura. O noi muoviamo guerra agli etruschi, e le nostre risorse sono considerevoli, o noi inevitabilmente ci piegheremo alla volontà loro e alla loro neutralità di facciata. Rispondiamo da Romani e otteniamo per votazione il mandato a poterci regolare senza che qualcuno qui abbia nulla in contrario!

Perchè, oh Romani, o si vince o si muore! com'è sempre stato e sempre sarà. Non muoversi ora, restare ancora avvilluppati nell'indecisione, è la nostra condanna. Che gli italici sappiano che noi siamo amici con tutti coloro che vogliono essere amici di Roma, fratelli e cittadini o alleati proficui, purchè ne accettino le Leggi, affinchè si possa creare una grande Lega sotto la Legge migliore e sotto il controllo di un unico Senato, condiviso e non dittatore.
Non gioghi, quindi, bensì Leggi! così come nessuna neutralità: o con Roma o contro Roma. E a chi contro Roma marcia, auguriamo una grande vittoria, ai nostri nemici che oggi si sentono così forti poichè superiori di numero e sicuri di un'alleato più forte di noi auguriamo la nostra morte. Perchè se vi fosse sconfitta non resterà abbastanza sale nel mare da quanto ne spargeremo sulle loro città.

Dittatura!

*resta in attesa dell'effetto sortito sulla folla di senatori*
 

Rebaf

Get a life
Fantacalciaro
La strana alleanza tra Militares, Conservatores e Progressisti, nonostante i primi normali tentennamenti, pare reggere. L'influenza del leader progressista Lucio Cornelio Scipione Barbato ha la meglio sulla posizione espressa dall'altrettanto importante gens dei Claudi per bocca del saggio Appio Claudio Cieco. Gli interessi degli Scipioni, che sono forti in ambito mercantile, fanno rendere necessaria la la scelta per una politica netta e interventista nei confronti di Cartagine, tutto all'opposto, seppur per simili motivi commerciali, delle idee dei loro vecchi alleati dei Mercanti.

Da parte dei progressisti la benedizione alla richiesta di Valerio Corvo arriva dal censore Quinto Appuleio Pansa, mentre i Militares appoggiono l'idea per bocca dell'influente console Lucio Postumio Megello. Tuttavia la discussione in Senato si fa incandescente quando a prendere la parola è Publio Sempronio Sofo, console della fazione dei Mercanti. Publio Sempronio si lancia in una sperticata critica personale contro Quinto Appuleio Pansa, accusato di essere un burattino in mano agli interessi degli Scipioni e del Pontefice Massimo Lucio Cornelio Scipione Barbato. Proprio a lui, poi, si rivolge accusandolo di averlo tradito, proprio nel momento in cui la scelta verso vie di stabilità e di proficua amicizia con i popoli dell'Italia centrale sarebbe stata la preferibile di fronte alle ingerenze cartaginesi. Publio Sempronio, poi, accusa i militares di aver condotto le trattative con Etruschi e Cartaginesi in modo inappropriato, chiedendo troppo in Etruria e presso gli altri popoli italici, e muovendosi troppo duramente nei confronti dei punici. Applausi sperticati da una parte del senato in cui siedono membri della gens Emilia e Carvili, cardini della fazione dei Costruttori. Questi, nonostante del tutto interessati a futuri appalti nelle zone conquistate, vedono troppo ghiotta l'occasione per formare un asse di alleanza politica stabile con i Mercanti. Spurio Carvilio Massimo, questore dei Costruttori, è tra i primi ad incoraggiare il console Sempronio Sofo mentre il vecchio e saggio Quinto Emilio Barbula prende la parola rincarando la dosa con una buona dose di retorica.

Ciò che segue è la solita infuocatissima discussione, dopo qualche batti e ribatti e vari richiami all'ordine da parte della morigerata fazione dei Conservatores, si arriva alla votazione in Senato. L'influenza delle tre fazioni è troppo grande, Publio Sempronio Sofo è obbligato a seguire la volontà del Senato, impossibilitato eticamente dal creare una così pericolosa situazione di stallo in un momento difficile, e la proposta di Marco Valerio Corvo viene accolta. Durante la notte, come da tradizione, in uno spettrale silenzio, mentre il futuro dittatore stava rivolto verso oriente, il Senato di Roma e i due consoli nominano Marco Valerio Corvo dictator rei gerendae causa (ossia dittatore per problemi esterni o di gestione difficoltosa dello stato). Il nuovo dictator riceve il summum imperium, ossia la facoltà di governare dispoticamente Roma, diventando la magistratura più elevata alla quale tutti gli atri magistrati devono sottostare, assumendo il supremo comando dell'esercito e non avendo l'obbligatorietà di sottoporre leggi ad assemblee e Senato, il tutto per un tempo limitato. Un Senatus consultum, qualche giorno dopo, ordina che Marco Valerio Corvo venga accompagnato per strada da 24 littori con facoltà di portare le scuri nei loro fasci, dando una dimostrazione tangibile e concreta ai cittadini dell'Urbe della nomina.

Toga devi indicare un magister equitum, ossia il tuo vice, per il resto non hai sottoposti nè nessuno di cui tenere conto. Ovviamente è buona creanza presentare ugualmente, almeno al Senato, le leggi più importanti per sentire il suo parere. Ugualmente, su alcuni temi delicati, almeno sentire il parere delle assemblee più importanti potrebbe portare a lavorare con più serenità il tuo novello dictator. Ricordati che, comunque, il Tribuno della Plebe rimane invece come unica carica su cui non hai alcun potere.
 
Alto