L.Arrotino
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Gli anni che scorrevano verso il 1195 furono politicamente intensi nella piccola Siena.
Con l'avvicinarsi delle elezioni, seppur la situazione politica interna era ampiamente stabile e pacificata, le correnti di pensiero della nobiltà mercantile iniziavano a far sentire la loro voce.
Il buon governo attuato dall'attuale Console di Siena, il ghibellino Piccolomo di Montone, aveva avuto un largo consenso, non solo fra la popolazione ma anche fra esponenti delle corrente direttamente avversaria dei Guelfi e quella tendenzialmente neutrale dei filo veneziani. Il grande sviluppo commerciale dovuto agli accordi siglati con il Ducato di Milano ed il Regno delle Spagne Unite, il successo diplomatico della garanzia d'indipendenza concessa dal regno iberico, e l'avvicinamento alla politica dello Stato Pontificio con le cospicue donazioni a beneficio dell'Ordine Benedettino, avevano ritratto la fazione ghibellina in una posizione predominante nella scena politica repubblicana. Convinti dell'importanza dei territori repubblicani del nord Italia, auspicavano il riconoscimento formale da parte del futuro Imperatore dell'ufficializzazione dell'indipendenza, che molti aspettavano da anni, e che era stata promessa più volte. Visti però gli attriti avvenuti con il Ducato di Milano in materia economica, alcuni iniziarono a sostenere che, essendo legittime le pretese territoriali dell'Imperatore sul comune di Siena, forse sarebbe stato meglio per la città ritornare ad accettare la supremazia imperiale, rientrando de facto in quell'Impero, anche se molto distante dai confini germanici, con la possibilità di essere riconosciuti come Libera Città Imperiale, un'ordinamento politico simile a quello della capitale Aquisgrana che la poneva fuori dalle guerre di successione, ma che garantiva un territorio imperiale alle nazioni germaniche in Italia.
Sul fronte opposto, la fazione dei Guelfi si trovava ad affrontare una spaccatura di pensiero.Da una parte vi era la corrente moderata, quella capeggiata da Arrigo Tolomei, che rimaneva fedele all'idea della supremazia papale, ma che aveva iniziato a considera la Repubblica Senese come una equidistante entità fra l'Impero e Roma, più interessata ad una politica spicciola e basata sul territorio che sulla grande disfida fra i due stati esteri.Dall'altra vi era quella intransigente, che identificò in Cecco Gualtieri il suo capo: sosteneva che nel conflitto ideologico Siena doveva sicuramente appoggiare la supremazia papale, sia per la sua vicinanza, sia per motivi molto più alti e religiosi. Questa corrente però non aveva molta presa, vista la politica "di compromesso" attuata dal ghibellino di Montone, che alcuni sostenevano essere una politica studiata a tavolino fra il Console, il Tolomei ed il Bandinelli dei Veneziani, per evitare disordini interni ed il caos amministrativo. Eppure, tale politica era stata apprezzata non solo dalla classe governativa, ma anche dal popolino e dal clero, vista la tanto sospirata tranquillità interna e la fine delle faide fra le famiglie.
Nel mezzo, come detto, vi erano i filoveneziani di Erasmo Bandinelli. Posizionando la Repubblica di Venezia ed i rapporti con la città lagunare nei primi gradini d'importanza per la Repubblica, non avevano un seguito tanto grande da determinare una possibile vittoria, ma godevano, insieme al resto delle famiglie senesi, dei benefici commerciali portati avanti dall'attuale governo e degli ottimi rapporti con la Curia Romana, instaurati immediatamente dopo la morte di Sergio V. La loro posizione di mezzo, lentamente, si era stabilizzata, ma era stata ridimensionata dallo scarso interesse dimostrato dalla Repubblica di Venezia verso il territorio senese. I contatti affievoliti avevano avvicinato anche questa fazione a considerare Siena il loro centro del mondo, e la riforma delle Arti Senesi aveva portato un cambiamento sperato per molti di loro - essendo essi nobili di estrazione mercantile e non aristrocratica. Alcuni fra gli esponenti del Bandinelli iniziarono ad abbandonare le concezioni di supremazia economica veneziana, avvicinandosi alle idee dei ghibellini, sancendo la sempre più chiara uscita del territorio senese dall'influenza commerciale veneziana.
La popolazione, in questo ambito, aveva a tutti gli effetti le idee bene chiare, e lo scontro politico, seppure acceso e serrato, non era mai violento o aveva portato a scontri armati come negli anni passati. Anzi, la pacificazione interna ed esterna operata dal governo ghibellino aveva garantito alla città oltre quattro anni di pacifica convivenza, tanto che spesso non era raro veder discutere famiglie Guelfe e Ghibelline senza ricorrere alle armi o alle minacce, cosa che rassicurava ogni abitante di Siena.
A riprova di ciò, quando venne il momento dell'assegnazione degli uffici governativi, non fu sorprendente per quasi nessuno veder riconfermato il partito Ghibellino alla guida della Respublica Senensis, visto il buon governo attuato finora e che nessuno osava additare come manchevole, con le cariche giudiziarie affidate in minor parte alla corrente moderata dei guelfi del Tolomei, ed il restante alla fazione ghibellina. I Consoli delle Arti vennero affidati per la metà ai ghibellini, due sesti ai filo-veneziani ed un sesto alla fazione guelfa. Una divisione delle cariche amminsitrative oculata, cosa che raramente rese qualcuno scontento.
Nel 1195 quindi Siena accettò il proprio Console riconfermato alla guida dello stato, dando a Piccolomo di Montone la possibilità di continuare con la sua politica di neutralità estera e ricostruzione di un'identità culturale forte e duratura basata sulla vita e sul pensiero del comune stesso.
Con l'avvicinarsi delle elezioni, seppur la situazione politica interna era ampiamente stabile e pacificata, le correnti di pensiero della nobiltà mercantile iniziavano a far sentire la loro voce.
Il buon governo attuato dall'attuale Console di Siena, il ghibellino Piccolomo di Montone, aveva avuto un largo consenso, non solo fra la popolazione ma anche fra esponenti delle corrente direttamente avversaria dei Guelfi e quella tendenzialmente neutrale dei filo veneziani. Il grande sviluppo commerciale dovuto agli accordi siglati con il Ducato di Milano ed il Regno delle Spagne Unite, il successo diplomatico della garanzia d'indipendenza concessa dal regno iberico, e l'avvicinamento alla politica dello Stato Pontificio con le cospicue donazioni a beneficio dell'Ordine Benedettino, avevano ritratto la fazione ghibellina in una posizione predominante nella scena politica repubblicana. Convinti dell'importanza dei territori repubblicani del nord Italia, auspicavano il riconoscimento formale da parte del futuro Imperatore dell'ufficializzazione dell'indipendenza, che molti aspettavano da anni, e che era stata promessa più volte. Visti però gli attriti avvenuti con il Ducato di Milano in materia economica, alcuni iniziarono a sostenere che, essendo legittime le pretese territoriali dell'Imperatore sul comune di Siena, forse sarebbe stato meglio per la città ritornare ad accettare la supremazia imperiale, rientrando de facto in quell'Impero, anche se molto distante dai confini germanici, con la possibilità di essere riconosciuti come Libera Città Imperiale, un'ordinamento politico simile a quello della capitale Aquisgrana che la poneva fuori dalle guerre di successione, ma che garantiva un territorio imperiale alle nazioni germaniche in Italia.
Sul fronte opposto, la fazione dei Guelfi si trovava ad affrontare una spaccatura di pensiero.Da una parte vi era la corrente moderata, quella capeggiata da Arrigo Tolomei, che rimaneva fedele all'idea della supremazia papale, ma che aveva iniziato a considera la Repubblica Senese come una equidistante entità fra l'Impero e Roma, più interessata ad una politica spicciola e basata sul territorio che sulla grande disfida fra i due stati esteri.Dall'altra vi era quella intransigente, che identificò in Cecco Gualtieri il suo capo: sosteneva che nel conflitto ideologico Siena doveva sicuramente appoggiare la supremazia papale, sia per la sua vicinanza, sia per motivi molto più alti e religiosi. Questa corrente però non aveva molta presa, vista la politica "di compromesso" attuata dal ghibellino di Montone, che alcuni sostenevano essere una politica studiata a tavolino fra il Console, il Tolomei ed il Bandinelli dei Veneziani, per evitare disordini interni ed il caos amministrativo. Eppure, tale politica era stata apprezzata non solo dalla classe governativa, ma anche dal popolino e dal clero, vista la tanto sospirata tranquillità interna e la fine delle faide fra le famiglie.
Nel mezzo, come detto, vi erano i filoveneziani di Erasmo Bandinelli. Posizionando la Repubblica di Venezia ed i rapporti con la città lagunare nei primi gradini d'importanza per la Repubblica, non avevano un seguito tanto grande da determinare una possibile vittoria, ma godevano, insieme al resto delle famiglie senesi, dei benefici commerciali portati avanti dall'attuale governo e degli ottimi rapporti con la Curia Romana, instaurati immediatamente dopo la morte di Sergio V. La loro posizione di mezzo, lentamente, si era stabilizzata, ma era stata ridimensionata dallo scarso interesse dimostrato dalla Repubblica di Venezia verso il territorio senese. I contatti affievoliti avevano avvicinato anche questa fazione a considerare Siena il loro centro del mondo, e la riforma delle Arti Senesi aveva portato un cambiamento sperato per molti di loro - essendo essi nobili di estrazione mercantile e non aristrocratica. Alcuni fra gli esponenti del Bandinelli iniziarono ad abbandonare le concezioni di supremazia economica veneziana, avvicinandosi alle idee dei ghibellini, sancendo la sempre più chiara uscita del territorio senese dall'influenza commerciale veneziana.
La popolazione, in questo ambito, aveva a tutti gli effetti le idee bene chiare, e lo scontro politico, seppure acceso e serrato, non era mai violento o aveva portato a scontri armati come negli anni passati. Anzi, la pacificazione interna ed esterna operata dal governo ghibellino aveva garantito alla città oltre quattro anni di pacifica convivenza, tanto che spesso non era raro veder discutere famiglie Guelfe e Ghibelline senza ricorrere alle armi o alle minacce, cosa che rassicurava ogni abitante di Siena.
A riprova di ciò, quando venne il momento dell'assegnazione degli uffici governativi, non fu sorprendente per quasi nessuno veder riconfermato il partito Ghibellino alla guida della Respublica Senensis, visto il buon governo attuato finora e che nessuno osava additare come manchevole, con le cariche giudiziarie affidate in minor parte alla corrente moderata dei guelfi del Tolomei, ed il restante alla fazione ghibellina. I Consoli delle Arti vennero affidati per la metà ai ghibellini, due sesti ai filo-veneziani ed un sesto alla fazione guelfa. Una divisione delle cariche amminsitrative oculata, cosa che raramente rese qualcuno scontento.
Nel 1195 quindi Siena accettò il proprio Console riconfermato alla guida dello stato, dando a Piccolomo di Montone la possibilità di continuare con la sua politica di neutralità estera e ricostruzione di un'identità culturale forte e duratura basata sulla vita e sul pensiero del comune stesso.