[Repubblica di Genova] La situazione pisana

Nemo

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Nell'anno 1146 la situazione a Pisa degenerò. Dopo un anno di malgoverno del console Griffi la popolazione era ormai all'esasperazione e infine un giorno la rivolta esplose.
Popolani e contadini scesero nelle strade della città armati di fiaccole e forconi dirigendosi verso il palazzo del Consiglio, ma quando vi giunsero lo trovarono deserto. Il console era fuggito, si dice a Siena, insieme ad altri membri di spicco delle più importanti famiglie pisane, e anche il vescovo, per incolpevole della situazione, si vide costretto a fuggire per non incorrere nel furore del popolo.

La città di Pisa era ormai in mano ai rivoltosi, e quando la notizia giunse in Corsica, le famiglie locali vi videro l'occasione per spezzare il giogo pisano sull'isola.
Reazione ben diversa ebbero invece i coloni pisani a Maiorca. Senza la protezione di Pisa sarebbero stati in balia di attacchi sia interni, dalle locali popolazioni musulmane, che esterni, dagli stati vicini che avrebbero potuto vedere nell'arcipelago delle Baleari un facile terreno di conquista.

Quando la notizia giunse a Genova, per quanto la caduta della storica rivale Pisa potesse allietare le famiglie che facevano del commercio la loro principale occupazione, maggiore era la preoccupazione per la situazione critica di regioni tanto vicine.
Il console Caffaro convocò immediatamente una riunione del consiglio, che non poté che sancire che era necessario un immediato intervento diretto della Repubblica per riportare la situazione alla normalità. Si decise quindi di contattare immediatamente tutte le fazioni in gioco per evitare l'esplodere dei conflitti, non che il Santo Padre quale garante della pace tra le genti cristiane, ma anche per un eventuale intervento delle forze armate dello Stato Pontificio.

Prima ancora che la lettera del console potesse giungere a Roma però, arrivò a Genova una convocazione papale per risolvere la questione. Caffaro decise quindi di recarsi personalmente a Roma.
Dal primo colloquio con il Papa scaturì che la sua primaria preoccupazione era la situazione nelle Baleari, dove le popolazioni musulmane potevano strappare alla Cristianità le terre appena conquistate, quindi Caffaro si propose di risolvere personalmente la questione, dicendo però che il principale interesse dei genovesi era invece la Corsica, suggerendo quindi che in cambio del nulla osta per l'acquisizione delle isole, Genova avrebbe abbondantemente finanziato lo Stato Pontificio per permettergli di riportare l'ordine a Pisa.
Il Pontefice sembrò interessato all'offerta, ma chiese del tempo per riflettere.

Pur attendendo il responso papale, Caffaro decise quindi di inviare suoi diplomatici nelle Baleari ed in Corsica, per vedere se la situazione potesse essere risolta senza spargimenti di sangue.
Inviò quindi il suo Primo Consigliere Goffredo Crozzi a Maiorca e l'Ambasciatrice della Repubblica in Sardegna, e già ben nota al di là delle Bocche di Bonifacio, Alina Embriaco in Corsica.

Il Crozzi, giunto a Maiorca, si ritrovò di fronte ad una situazione piuttosto complessa. La città era principalmente abitata dai coloni pisani, ma le campagne non che le isole minori erano ancora popolate da musulmani, che superavano fortemente in numero i pisani, ed erano divisi a loro volta tra chi tollerava la presenza cristiana e chi non desiderava altro che ricacciare i nuovi arrivati.
L'unico modo per evitare un'ecatombe era quindi trovare un accordo tra i pisani e i musulmani più moderati. Goffredo decise quindi di incontrare rappresentanti sia delle famiglie pisane che dei musulmani più propensi a trattare.
Non fu difficile far accettare ai coloni una dominazione genovese, vista la loro situazione, ma per evitare tensioni il governo della città fu comunque concesso alle famiglie residenti, a patto che i commerci fossero in mano ai mercanti genovesi.
Più lunga e difficoltosa fu invece la trattativa con i capi musulmani, ma alla fine si giunse ad un accordo che concedeva alle popolazioni locali una sostanziale indipendenza a patto che accettassero la sovranità formale della Repubblica, non che il controllo di questa sui commerci verso l'esterno dell'arcipelago.
Entrambe le fazioni accettarono quindi di buon grado questa convivenza, ognuna nella propria zona, pur non ponendo limiti al passaggio di persone e merci attraverso le porte della città.
La missione del Crozzi ottenne quindi gli scopi prefissati: mantenere la pace nella regione e dare a Genova il controllo dei commerci della zona.

Quando ricevette la lettera con le direttive del console, Alina Embriaco si trovava ad Olbia, presso la corte del giudice Costantino. Dopo essersi congedata dal giudice si recò immediatamente via nave ad Ajaccio per incontrare i rappresentanti delle più importanti famiglie corse. Lì trovò anche il vescovo Villano Villani, fuggito da Pisa e rifugiatosi presso il clero corso.
Le famiglie corse già pensavano all'indipendenza, visto che con la caduta del governo a Pisa, i rappresentanti della Republica non avevano più alcun potere sull'isola, quindi Alina decise di chiedere al vescovo di partecipare all'incontro per condurli a più saggia decisione.
Alina sapeva che proporre una qualunque autorità diretta di Genova sull'isola avrebbe portato ad un rifiuto, quindi decise di anticipare ogni richiesta delle famiglie proponendo ella stessa un governo completamente formato da rappresentanti delle famiglie stesse, con un esercito regionale comandato dal governatore, e con il vescovo Villani posto a garante del governo corso e dei suoi rapporti con Genova.
La proposta inaspettata stupì i convenuti, che accettarono quindi di buon grado di unirsi alla Repubblica lasciando ai genovesi la gestione dei commerci sull'isola.
Anche la missione diplomatica della Embriaco fu quindi un successo, portando la Corsica e i suoi commerci alla Repubblica.

Prima che la notizia dei successi diplomatici potesse raggiungere Genova, Caffaro fu nuovamente convocato dal Papa. Recatosi a Roma, vi trovò una situazione diversa da quella che aveva lasciato. Enrico Dandolo, appena eletto Doge di Venezia, era giunto a Roma alcuni giorni prima, chiedendo una più equa divisione dei possedimenti pisani. Non era bastato ai veneziani impossessarsi con l'inganno della flotta pisana, ed erano giunti a Roma per chiedere terre.
Caffaro fu indisposto dalla richiesta. Un qualunque territorio veneziano sul Tirreno sarebbe stato una grossa limitazione per l'influenza genovese, e quando il Doge arrivò a chiedere l'assegnazione della Corsica, il rifiuto del Console fu così netto che il Santo Padre aggiornò la discussione al giorno dopo con la speranza che la notte portasse consiglio ad ambo le parti.
Caffaro intanto attendeva notizie dai suoi diplomatici. Non sapere a che costo si sarebbero potute ottenere le nuove regioni rendeva quella con i veneziani una trattativa alla cieca. Decise quindi di protrarre la discussione fino a quando non avrebbe avuto le notizie sperate.
Si recò quindi al nuovo incontro con il Doge di fronte al Papa, dilungandosi in discorsi, trattazioni e analisi della situazione tali da portare all'esasperazione il Dandolo e da obbligare il Pontefice ad imporgli un ultimatum: se avesse voluto sia la Corsica che le Baleari, allora Venezia avrebbe avuto Pisa.
Caffaro aveva sempre pensato che a Pisa sarebbe ritornato un governo indipendente, e una Repubblica di Pisa abbastanza debole da non costituire più un pericolo per Genova sarebbe stata la situazione ideale, ma ora che si proponeva l'annessione di Pisa nasceva un'altra questione: i diritti commerciali.
Vedendo questa falla nella proposta papale decise quindi di aggirare l'ultimatum chiedendo per Genova i diritti commerciali pisani in Sardegna.
Dopo lo scontato rifiuto veneziano a quest'ultima richiesta, il Papa decise di aggiornare nuovamente la discussione.
Caffaro ormai non sapeva più come prendere tempo in attesa delle notizie dalle isole, ma per fortuna gli arrivò finalmente la voce che il Crozzi stava giungendo a Roma per referirgli l'esito delle trattative. Si trattava quindi di riuscire a guadagnare solo un altro giorno per dare il tempo al suo fidato consigliere di raggiungerlo.
Il console optò quindi per una mossa avventata. Non si presentò all'incontro del giorno successivo, ma mandò un suo messo a comunicare che per una sopraggiunta causa di forza maggiore non si sarebbe presentato fino al giorno dopo, e porgeva le sue più sentite scuse al Pontefice e al Doge. Il Papa accettò questo ulteriore rinvio, ma il Dandolo era ormai fuori di sé, ed inviò le proprie guardie personali per tutta Roma alla ricerca di Caffaro, per scoprire cosa stesse tramando.
Finalmente Goffredo Crozzi giunse a Roma e comunicò al Console il completo successo di entrambe le trattative diplomatiche. Caffaro si presentò quindi il giorno dopo di fronte al Pontefice accettando la proposta di divisione territoriale e anche una spartizione dei diritti commerciali in Sardegna, trovando infine l'accordo con il Doge con l'avallo del Papa.

Per festeggiare la conclusione delle trattative, Caffaro indisse un banchetto, al quale invitò anche il Doge, per distendere i rapporti tra le loro città e per celebrare la sua recente elezione. Il Dandolo si rivelò essere una persona decisamente più gioviale e calma del suo predecessore Polani, e questo fece sperare al Console che le future relazioni tra le due Repubbliche potessero essere più collaborative, portando ad una maggiore prosperità per entrambe.

Ritornato a Genova, Caffaro ricevette la notizia dell'emanazione della Bolla Pontificia De Pisae Condicione. Ora che l'accordo era stato reso ufficiale poteva quindi pubblicare l'editto che sanciva l'annessione di Corsica e Baleari alla Repubblica di Genova.
 

Nemo

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Editto delle isole


Con la benedizione del Pontefice, secondo gli accordi con le autorità locali e con l'approvazione del Consiglio della Repubblica, le regioni di Corsica e Baleari entrano a far parte della Repubblica di Genova a partire dal giorno Primo Gennaio 1148.

Le isole Baleari saranno suddivise in due aree con diversa giurisdizione. La città di Maiorca sarà diretto dominio della Repubblica e verrà amministrata dal consiglio delle famiglie residenti, la zona esterna alla città e le isole minori saranno uno stato vassallo della Repubblica, con proprie leggi ed un proprio governo.

La Corsica sarà una provincia della Repubblica, amministrata dal Consiglio delle famiglie corse, che eleggeranno il governatore. Sarà altresì costituito l'esercito regionale corso, sotto l'autorità del governatore.

I commerci da e per le isole entrate a far parte della Repubblica saranno integralmente gestiti dal Consiglio della Repubblica.

Così è deciso,


Console Caffaro di Rustico
 
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