[Regno di Georgia] Il Principe Giorgi e il Rito di Marchiatura

Mabelrode

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Negli ultimi 4 anni Giorgi era invecchiato più di quanto il suo ormai perduto viso di bambino preannunciasse.
Ora una lunga cicatrice ne spezzava il volto e la sua serena pace era perduta in eventi ai quali la sua giovane età non era pronta. Le profonde ferite inferte al fratello ne tormentavano ancora i sogni e la prigionia gli aveva imposto un concetto di responsabilità finora sconosciuto.
Negli anni passati prigioniero dei pirati, il giovane Principe aveva avuto modo di pensare a ciò che sarebbe successo al proprio regno nel caso fosse morto il suo unico erede. Non tutta la nobiltà era fedele alla corona come la famiglia Alana e ben presto la stabilità del regno sarebbe scomparsa in intrighi e macchinazioni.
In quegli anni Giorgi aveva scoperto la responsabilità di vivere e questo ne segnava il viso ben più di una cicatrice.
Erano passate solo poche ore dal suo ritorno in patria quando convocò tutta la nobiltà nella sala del trono.
Lo sguardo del giovane Principe indugiò su Jadaron, colui che nei suoi giorni di prigionia aveva auspicato come suo possibile sostituto, un barlume di speranza nel caso la situazione fosse stata risolta nel peggiore dei modi.

“Nobili Georgiani e fratelli,
Il fato ci ha imposto anni difficili. Anni in cui il dubbio e l’incertezza hanno macchiato i nostri cuori facendo vacillare l’amor di patria dinnanzi alla possibilità di un futuro oscuro.
Ma il nostro Regno, così come fece San Giorgio resuscitando 3 volte nei 7 anni di patimento, tornerà in piedi forte di una ritrovata fiducia nel domani.
Dinnanzi alla nobiltà della nostra tradizione, la gloria ci è stata imposta come destino inevitabile.
E’ dunque nostro dovere di Figli di Georgia seguire con fede la via che ci condurrà verso un luminoso futuro.”


La voce di Giorgi si gonfiò di una marmorea risolutezza pronunciando le sue ultime parole.

“E in nome di questo, abbraccio il mio destino di futuro Re e Generale affrontando per diritto di stirpe il rito di marchiatura e, se Dio vorrà benedirmi con un successo, dichiarerò le mie nozze per donare al mio amato Regno un erede.”
 

Mabelrode

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Erano passati 68 anni da quando Davide IV Bragationi, detto il Fondatore, aveva completato il rituale della marchiatura sopravvivendo ad esso, era infatti buona norma per un sovrano agire con saggezza e non mettere a repentaglio la propria vita per un titolo che, per diritto di nascita, già gli apparteneva.
Ma, così come suo nonno, Giorgi sapeva che l’inchiostro su una pergamena non conferisce il rispetto del Marchio e che solo attraverso ad esso si era veramente degni del titolo di “Sommo Generale” , grado militare indispensabile per poter guidare gli AmmazzaDraghi, prima armata della Cavalleria Georgiana consacrata a San Giorgio.
Attualmente solo Jadaron poteva vantare questo titolo, ottenuto a 25 anni e costatogli 100 giorni di tormenti passati tra la vita e la morte, e in nome di questo la sua famiglia sottomessa aveva ottenuto un prestigio inferiore solo a quello dei Bragationi, prestigio che gli aveva permesso di sposare Rusudan, unica figlia di Demetrio I.
Non era concesso parlare della natura della prova e intorno ad essa giravano molte leggende, alcune delle quali permeate da creature infernali degne del più terribile degli incubi, ma erano solo pochi gli indizi considerabili concreti e il resto era frutto di fantasie di cantastorie ubriachi. La realtà era che alcune persone non sarebbero mai uscite da quella misteriosa stanza e che altre avrebbero subito mutilazioni o gravi ferite ma, soprattutto, che coloro che ne sarebbero usciti vittoriosi, avrebbero dovuto patire tormenti indicibili per settimane prima di riuscir a riprendere la loro normale vita.
Un enorme sacrificio per una ricompensa senza prezzo.
 

Mabelrode

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La prova della marchiatura non veniva eseguita in Accademia, la sua antica tradizione aveva selezionato una piccola conca naturale molto simile ad una miniera per questo evento e da ormai qualche secolo quello era il luogo in cui nascevano i Sommi Generali.
L’ingresso a questa sorta di arena era costituito da una enorme porta fatta di tronchi di quercia e da un sistema di argani trainato da buoi che ne permetteva l’apertura, la grandezza della porta unita alle alte e aguzze rocce rendevano impossibile anche sol il pensare di osservare cosa accadesse dentro quella che veniva chiamata dal popolo “La Tana della Bestia”, nome derivante dalla grande quantità di carne consegnata periodicamente al marchiatore per gestire quel luogo in attesa che qualche folle decidesse di metter alla prova il proprio destino.
Ai piedi di questa colossale unione tra natura e lavoro umano, Giorgi attendeva che il sole sorgesse.
La sua carne protetta da una leggera armatura di cuoio, una spada affilata stretta nel suo pugno, solo questo era concesso a chi tentava di divenire Generale della Cavalleria di San Giorgio.
Jadaron, suo Maestro d’Arme, attendeva con lui in silenzio, concedendosi solo poche parole per consigliare quello che un tempo fu il suo allievo.

-Non distogliere gli occhi da lei. Qualsiasi cosa accada non perderla di vista.

Giorgi non fece domande sapendo che Jadaron non poteva fornirgli risposte senza infrangere il giuramento di onore fatto a suo padre, Re Demetrio I.
La notte abbandonò la Georgia e la porta si aprì mostrando un ampio spiazzo, grande quasi come l’intera Accademia Demetrina, il luogo era totalmente deserto e una sabbia polverosa sottolineava ogni passo del Principe verso il centro di quella che sembrava una Arena.
La porta si chiuse alle sue spalle e solo in quel momento Giorgi capì il motivo di tante leggende.
 

Mabelrode

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Un sibilo precedette la sorpresa del principe, una piccola freccia si era appena conficcata nella carne della sua spalla causando un pungente seppur modesto dolore. L’arma non aveva dimensioni tali da poter esser considerabile letale e, anche avendo colpito la pelle nuda, non si era conficcato per più di un pollice causando una ferita di lieve identità.

-Principe Giorgi Bragationi, figlio di Re Demetrio I, Sovrano di Georgia .
Sono stato io a Ferirvi ma non datevi affanno, il Vostro vero nemico si trova di fronte a voi.
Che Dio guidi la Vostra mano e vi conceda di regnare su queste terre con Giustizia e Coraggio.


La voce era del marchiatore, l’unica persona oltre al Re a sapere l’esatta dinamica della prova, e proveniva dalle spalle del Principe. La funzione di quella piccola puntura divenne chiara poco a poco, con l’annebbiarsi della vista ed il sapore acido sulla punta della lingua. La punta dell’ordigno era avvelenata, per questo motivo non era necessario che si conficcasse a fondo danneggiando i muscoli, la sua funzione non era quella di causare una ferita mortale bensì di ucciderlo lentamente dall’interno.
Giorgi sapeva che quello non era un veleno mortale ma la sua preoccupazione aumentava ad ogni crampo e tremore, così come la consapevolezza che ogni piccolo spasmo gli stava portando via la capacità di dare una forma alla realtà che lo circondava.
Nei suoi occhi appannati la sabbia e le rocce si erano ormai fusi con l’arena perdendo i propri contorni in un omogeneo grigio nel quale erano contenuti cielo e terra come in un dipinto sfumato, al centro della grande macchia in cui la realtà era stata tramutata dal veleno, un essere nero gli si stava avvicinando lento.
La Bestia, così era chiamata nelle leggende di Tbilisi, una frattura in un mondo grigio, un buco in una realtà falsa e letale.
Non la paura bensì lo stupore stava attanagliando la mente di Giorgi, i movimenti lenti della creatura non lasciavano trasparire nessuna minaccia e la distanza rendeva impossibile capire cosa fosse e per quanto ne sapeva poteva benissimo essere un piccolo cavallo. Speranza improbabile ma indubbiamente confortante.
La Bestia adesso era abbastanza vicina da poterne distinguere due occhi color ambra e zanne bianche come la neve quando esplose un ruggito.
Era già balzata in volo quando Giorgi la riconobbe.
 

Mabelrode

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Lo avevano già trascinato fuori dall’Arena quando Giorgi perse conoscenza lasciando cadere la spada insanguinata che stringeva ancora nel pugno. Adesso era un Sommo Generale, un Signore dei Cavalieri di San Giorgio e, soprattutto, era sano salvo. Il veleno non lo avrebbe ucciso, di questo era certo, nessun candidato era mai morto dopo aver lasciato la Tana della Bestia nonostante tutti avessero passato almeno una settimana tra dolori e tormenti prima di rimettersi completamente.
Presto non avrebbe più ricordato chiaramente quanto successo, quel mondo appannato fatto di macchie e nebbia si sarebbe mescolato in ricordi caotici e confusi fino a diventare poco più di una sensazione, un evento considerabile reale solo perché provato da decine di profonde cicatrici.
Giorgi non ebbe modo di vedere le lacrime di sua madre e di suo padre, non riuscì a ricambiare l’abbraccio di Jadaron ma, soprattutto, non seppe che tra le persone che attendevano il suo ritorno era presente anche Mthvalisa, la giovane Donauri di Santatoga, la cui preoccupazione lasciava trasparire ben più di quanto lei volesse.
Passarono 4 settimane di dolore prima che Giorgi riuscisse a lasciare le sue camere, settimane lunghissime in cui fu concesso di incontrarlo solo al marchiatore reale e a Ibn-Al Azraq, il Consigliere e medico di Corte. Questa era la tradizione, il marchio doveva esser presentato alla Famiglia Reale durante la cerimonia di investitura, fino ad allora il Sommo Generale avrebbe dovuto rimanere confinato nelle proprie camere senza poter incontrare parenti ed amici.
Anche Jadaron soffriva di questa imposizione e non passava giorno senza che attendesse per ore dinnanzi alla porta di Giorgi, ogni sera passava le dita sul proprio petto a delineare il marchio ricevuto molti anni prima, una lancia insanguinata lunga una spanna incisa tra il cuore e lo sterno, il simbolo della passione per la battaglia e del coraggio dimostrato durante la prova. Era questo il compito del marchiatore, osservare e incidere un resoconto di ciò che aveva visto, lasciare una traccia di qualcosa che non poteva essere ricordato.
Tutta la nobiltà Georgiana era raccolta nella Sala Magna dell’Accademia Demetrina quando Giorgi giunse con passo lento ma fermo al pulpito dove sarebbe stato investito del titolo, Il suo viso scavato e pallido era illuminato da un sorriso dolce e stanco, come a voler spazzar via l’apprensione presente nella stanza.
Il suo corpo era coperto da una lunga tunica bianca ma, nonostante questo, parte del marchio era visibile, una piccola punta nera era incisa sul collo di Giorgi, come se stesse strisciando dal petto e salendo verso il viso. Era raro vedere un marchio così piccolo ed esposto ma queste erano scelte che il marchiatore prendeva in maniera totalmente indipendente e nessuno si sarebbe mai permesso di giudicare il suo lavoro per quanto esso potesse essere atipico così come nessuno si sarebbe mai permesso di pronunciar parola quando Giorgi si tolse la tunica.
La macchia nera sul collo del Principe era solo parte del marchio, la punta della coda di un drago per la precisione. Tutto il corpo di Giorgi, dal collo alle ginocchia, era inciso e marchiato con inchiostro nero e porpora, ogni parte della raffigurazione si armonizzava perfettamente con le cicatrici che riempivano il corpo del giovane rendendole sfumature e ombre di un’opera monumentale.
Il corpo del Sommo Generale rappresentava un Drago con il cranio trafitto da una lancia, sulla punta dell’arma era possibile scorgere la Croce Cristiana identificandone così il possessore.
Un’immagine sacra del Santo patrono Georgiano, una benedizione per un futuro di gloria.


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