Rakharro fuggì in fretta e con piacere dallo spiazzo antistante le arene, mentre ancora qualche nobilotto sauriano crcava guai a litigare con gli Ogri.
Lo avevano chiamato sul terreno di gara, facendogli la grazia di accorciare il più possibile quella farsa, e di dirigerlo in un luogo dove avrebbe trovato solo altri arcieri, gente metidabonda, silenziosa, forse strana nell'aspetto, ma familiare nel carattere. Speranzoso nella tranquillità, se non sereno, il cacciatore fece il suo ingresso nel campo di tiro.
Alberi. Alberi ovunque. Budella di Sarvan sparpagliate dal fulmine, doveva essere uno scherzo.
Di tutte le stranezze degli occidentali questa non poteva, non doveva essere altro che una beffa di cattivo gusto, perpetrata ai danni dello straniero.
Qualcuno aveva riempito le gradinate del pubblico di alberi, rami e foglie spuntavano dalla guardiola della scorta e dall'ombra della tenda del campione.
Un buontempone aveva persino piantato uno spaventapasseri a forma di arciere in mezzo al campo.
Poi l'albero incoccò una freccia, tese l'arco, e colpì il bersaglio.
Guano di Roc. Merda acida di Titano Imperiale. Così imparava ad insultare i paggi che andavano in giro a dire che avrebbe sfidato uno spirito dei boschi.
A quanto pare non era ancora abbastanza vecchio da aver visto tutto.
"Hey, albero! Io sono qui se vogliamo cominciare!"
Rakharro non si era mai fidato dei falegnami, i suoi archi erano sempre fatti d'osso e tendine, robusti, flessibili, fidati. Carne della sua carne.
Il legno è peggio dell'osso per fare un'arco, vediamo se è peggio dell'osso anche per fare un arciere.