GDR Polvere nera e rombo di cannone

Last Century

Ninja Skilled!
Jadwiga Fumonero non aveva mai alzato la testa da quando, quasi dieci anni prima, si era trasferita nel Minnonar. Questo non perché non amasse parlare o chissà quale altro, strano, motivo d'introversione ma perché non s'era mai data davvero pace per quello che era successo alla sua patria. Alle sue due patrie, a onore del vero. Perché Jadwiga non era un'elfa, né un'umana, ma una di quei nani che avevano trovato di che vivere nel principato eldar, ove avevano costruito una casa lontana da casa, ed il suo cuore era sempre rimasto a Karak Lotir, anche se il tempo aveva sbiadito i ricordi delle montagne adombrandoli nella nebbia della memoria.
Coi quei suoi capelli rossi, il cipiglio tipico della sua stirpe e il viso giovanile sfregiata dalla guerra aveva dismesso le armi per passare il resto della sua esistenza a gestire una piccola taverna. Eppure tutti sapevano chi era, tra i suoi simili nel Minnonar, tanto che quegli sparuti eldar che s'azzardavano a chiedere come si fosse procurata le ferite venivano prontamente azzittiti e presi da parte da questo o quel nano che, con solerzia, raccontava la storia di Jadwiga "Fumonero" Thorodandottir, figlia di Thorodan a sua volta trisnipote di Bali II del Pugno di Ferro.

Ben poco di lei si sapeva, invero, prima dell'inizio della fine. E la fine di tutto non fu la morte della Fratellanza di Wotan ma molto, molto prima, quando nel 3928 vili mani portarono alla morte il Re di Clan del Corvo. Quello fu ciò che per sempre segnò il cuore di ogni nano, l'ultimo giorno di vera libertà che mai ebbero. Si arruolò volontaria, contro la volontà del padre - ricco mercante - e preso il fucile discese le montagne per aiutare i fratelli che tanto pativano sotto la spinta triplice di iene, umani e goblin in egual misura. Al tempo aveva appena trent'anni, in un limbo che portava la giovinezza all'età adulta, e la voglia di battersi per una causa giusta le bruciava dentro come un fuoco inesauribile. Ma quello stesso fuoco presto ebbe da spegnersi quando la guerra volse a sfavore dei figli di Wotan, con la progressiva perdita di ogni battaglia salvo poche, sparute, scaramucce. Appena due anni dopo l'inizio del conflitto i Formian, noti traditori, approfittarono della confusione per colpire a tradimento il cuore del Pugno di Ferro, minacciando di schiacciare i due clan nanici in una guerra senza esclusione di colpi. Ma fu nel 3931, quando il Sylvania mosse contro di loro a ovest, che la sua vita cambiò davvero. Lì, in una delle prime battaglie tra uomini e nani, Thorodan ebbe a cadere per mano ducale, lasciandola sola al mondo. Qualcuno che sopravvisse a quei nefasti giorni ricorda di quella giovane nana che, visto il padre morire, decise che ne aveva abbastanza pur lei di calcare quelle terre e afferrato un barilotto di polvere si lanciò verso il corpo dell'amato genitore perché non venisse profanato da mani straniere. Lì combatté alla baionetta difendendo il cadavere del padre col fucile finché i nemici divennero troppi. E con un'ultimo gridò incendiò con una scintilla prodotta dall'archibugio il barilotto volendosi toglier dal mondo e portando con sé quanti più poteva. Che Wotan l'abbia presa in grazia o che il fato abbia deciso diversamente, lo scoppio non la uccise ma le sfregiò il volto e la tramortì. Ebbe a riprendersi, settimane dopo, che oramai l'intera guerra era finita e le due nazioni naniche, ridotte all'ombra di loro stesse, si erano viste costrette all'unione sotto la Fratellanza di Wotan.

Tanto gravi erano le sue ferite che non ebbe nemmeno modo d'onorare il defunto padre, sepolto come uno tra tanti nella miriade di caduti di quell'inutile e sanguinosa guerra. Da quel momento nessuno seppe più niente finché un giorno una voce, proveniente da oltre confine, non raccontò di qualcuno che si aggirava per le foreste a nord della catena montuosa, proprio al confine ducale, ammazzando indiscriminatamente chiunque fosse abbastanza sciocco da avventurarsi in quei luoghi vestendo i colori Sylvani. Nessuno ebbe mai prove che fosse stata proprio lei a compiere quei delitti e lei mai lo ammise, ma quando tornò - giusto in tempo per assistere alla disfatta della Fratellanza - non fece che riservar lo stesso trattamento agli gnoll. In una delle ultime battaglie prima della disfatta, nemmeno quindi anni fa, qualcuno giurò d'averla vista correre in piena battaglia mulinando colpi di lama e accoltellando senza pietà chiunque somigliasse ad un rozzo canide. Ma anche quella era una guerra destinata a venir persa e, pur a malincuore, scomparve di nuovo mescolandosi in quel grande stato gnoll che in seguito all'invasione ebbe da ritenersi abbastanza saggio da entrare in comunione coi figli di Wotan. Eppure, nonostante i buoni propositi, non riusciva a viver sotto l'egida di chi aveva ucciso, tradito, conquistato e deriso la sua gente per tanto tempo. Per questo aveva preso la decisione di stabilirsi nel Minnonar, dove nessuno le avrebbe mai potuto rinfacciar nulla del passato. Dove le sale sotto la montagna, che un tempo considerava della sua gente, erano ritenute nient'altro che una miserabile provincia.

Per questo quando entrò nella sua taverna nientemeno che Calarel Scudo di Foglia, la Foglia Nera del nord, non si aspettava d'essere chiamata di nuovo a servire sotto una bandiera. I suoi unici oneri erano stati il tabacco, il vino e il cibo fino a quel momento, da offrire a chi andava e veniva nel suo locale, eppure l'eldar aveva in serbo qualcosa di più importante per una persona come quella.
«Mastra Fumonero, è giunto il momento.» le disse soltanto.
«Momento per cosa, generale?» rispose lei guardandola di traverso, da dietro al bancone, con l'occhio buono.
«Di riprendere le armi. So chi siete, tutti lo sanno, e una taverna non è posto per qualcuno come voi. Non lo è mai stato.» incalzò l'eldar.
«Così come le fortezze naniche non son posto di duchi pazzi e uomini iena. Eppure così è la vita.» continuò sprezzante, dando le spalle alla soldatessa.
«Non posso ridarvi il regno di Ragnar né quello dei vostri fratelli. Nessuno può. Ma posso darvi un nuovo scopo per cui combattere. Gente da rappresentare.» proseguì la generalessa. «Il Principato è al culmine del suo splendore, mai prima d'ora siamo arrivati a questo punto e la vostra gente ne è una parte integrante e indissolubile. Voi ne siate una parte.» a quel punto la nana si girò. «Sarete la prima di tanti ad ascrivere il vostro nome tra quelli dei più illustri ed estrosi animi che abbiano calcato queste terre.»
«E in cambio cosa dovrei ricevere?» chiese.
«Una nuova causa per cui lottare non vi basta? Al posto d'annegare ciò che vi tormenta pulendo boccali e cucinando bolliti.» le disse schietta l'eldar.

«Non combatto da molto tempo.» la rossa si morse il labbro inferiore.
«Combattere è come andare a cavallo: una volta che si è imparato non si dimentica mai, mastra Fumonero.»
«I nani non cavalcano, dama Calarel.»
«Allora spero che sappiate correre sorprendentemente in fretta.» l'eldar sorrise e poggiò sul bancone un cammeo recante le insegne dell'esercito. «Almarillan è lontana, non vorrei tardaste al vostro primo compito.»

«Ma non ho accettato!» indispettita poggiò le mani sul bancone. «Non ho accettato proprio niente!»
«L'alternativa è riempire i boccali per i prossimi... quanti? Cinquecento anni?» Calarel si strinse nelle spalle. «Non v'è altro da dire, suppongo. A presto.» e detto quello uscì senza dir altro.
Se non fosse partita avrebbe mancato di rispetto a suo padre, alla sua famiglia, ai suoi ideali. Se fosse partita avrebbe perso quella pace che aveva tanto guadagnato nel corso di lunghi anni. Ma alla fine, rimasta a guardare il cammeo principesco, si disse che non era cosa da nani morir nel proprio letto e preso il vecchio archibugio uscì per l'ultima volta dalla propria locanda diretta ad Almarillan. E poi magari, chissà, avrebbe potuto rivedere Karac Lotir prima di andarsene nelle Sale Eterne di Wotan.

@Silen GdR per la nuova recluta, la nana Jadwiga Fumonero.
Sono andato a spulciarmi la cronistoria di alcuni eventi per rendere il tutto un pochino più coerente con la storia passata, spero piaccia. ::3:
 
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