Pellegrinaggio nelle terre sacre

Mersault l'Apostata

Chosen one
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PELLEGRINAGGIO NELLE TERRE SACRE

Di Al-Mustanjid

Diario di viaggio dell’erede al Califfato Abbaside, in pellegrinaggio verso la Città Santa di Makkah per il compimento dello Hajj.



1 – La partenza

Era l’alba, oggi, mentre le dita di Samira passavano tra i miei capelli e lei mi sussurrava

“Svegliati, mio principe. Questo è il giorno in cui inizia il tuo viaggio.”

Ho aperto gli occhi più lentamente possibile, come per tenere stretti gli ultimi istanti di accidia della mia vita. Ho visto gli occhi verdi di mia moglie, i suoi capelli che si confondevano coi miei. L’ho guardata, svegliandomi al fresco della mattina. L’ho posseduta, nonostante il suo formale divieto, perché ho pensato che sarebbero passati mesi prima di poter giacere ancora con lei, e perché non mi sarà assolutamente possibile prendere una donna durante questo viaggio; ne va del mio destino, come ripete sempre il vecchio. [il venerabile Califfo Al-Muqtafi, ndr.]
Ho dato un’occhiata alla città, dalla finestra, e ho pensato: “Baghdad. Diamine! Spero di rivederti presto, o Splendente, e spero che un giorno la tua Luce possa essere io stesso, se così sarà gradito ad Allah Al-Mâlik!” Poi, quasi sorpreso da questo pensiero, ho avuto un innato desiderio di scriverlo, di appuntarlo per non dimenticarlo mai. Questo è stato il primo impulso a scrivere i miei pensieri intorno a questo viaggio, che tutti dicono influenzerà tanto il mio destino. Io ne sono persuaso, ma non ancora sicuro.
“Al-Mustanjid, ragazzo mio! Hai quasi 30 anni, necessiti ancora che qualcuno ti mostri come vestirti?”
La voce di mia madre, la nobilissima Hanifa, mi ha scosso da quei pensieri gloriosi, mostrandomi quelli che, da oggi a parecchi mesi, saranno i miei abiti: l’izar e il rida, i due tranci di stoffa grezza, bianca e pura, che come è scritto non potranno essere sostituiti, mai, da più comode vesti, di seta, magari fatte ad Hahmar, o in Media. Niente di tutto questo. Solo rigore spirituale, e ricerca di purificazione e catarsi totale di fronte a Dio. A dire il vero, mentre la giovane serva mi cingeva i fianchi con l’izar, un ultimo tumulto ha scosso i miei lombi, così desiderosi, sempre, di una lauta soddisfazione. Così la piccola ha baciato a lungo il mio venerabile usignolo, mentre mia moglie, la fedele Samira, scuoteva il capo attraverso lo specchio della sala da bagno. Una scena poco edificante, in effetti, che riporto su questa pagina solo per un bonario sentimento di nostalgia, adesso che sono alla penombra del mio alloggio, nel silenzio della contemplazione, mentre i soldati della mia scorta, qua fuori, latrano a bassa voce, ignari di recarmi comunque disturbo, inconsapevoli del mio udito eccezionale. Ma non è questa una sorpresa, per me: nessuno, forse, è a conoscenza della mia speciale facoltà. E’ che tutti mi sottovalutano, generalmente, nessuno ha ancora scorto in me le reali qualità del mio sangue. Ma io so che esse devono solo essere svegliate, e sono sicuro che questo viaggio mi sarà di aiuto.
Ciò che effettivamente temo di più, per la salvezza della mia anima destinata a un sì arduo compito, è la nefasta, peccaminosa, tremenda piaga della zinā [lussuria] che stasera, come stamattina mentre indossavo le sacre vesti del pellegrino, mi ha avvampato ancora una volta, fino a farmi manipolare, nel pensiero di Halima, il mio usignolo imperatore, appena prima di mettermi a scrivere il resoconto di questa prima giornata.
Sono, per questo motivo, piuttosto preoccupato: non posso avvicinarmi alla sacra città di Makkah al-Mukarrama, e intonare il niyya, se non ho prima annullato queste mie oziose pulsioni da adolescente. Ho chiesto aiuto a mio padre: dall’alto della sua saggezza, Al-Muqtafi mi ha consegnato un libro, che mi sarà utile conforto e insegnamento durante questi tribolati mesi di pellegrinaggio. Accanto a me, sul mio scrittoio, sta l’opera al-Qawl fī shawkat al-farj (Esposizione sul desiderio dell'atto sessuale) del saggio Al-Ghazālī. Consegnandomelo, il Califfo mi ha detto:
“Questo libro contiene molti utili ragionamenti e insegnamenti, seppure l’uomo che l’ha scritto non ha sempre dimostrato la sua Fede nel modo corretto. Così tu dovrai leggerlo, imparare da lui, e poi dovrai tuttavia essere capace di discernere i suoi errori, i suoi passaggi a vuoto. Nello stesso modo, un giorno, sarai chiamato a completare, migliorare e personalizzare la mia opera, rendendola tua, per poter essere il Giusto Khalifa di Baghdad la Splendente.”

Così adesso è notte. La mia città è già lontana, e io mi trovo in un villaggio ai confini della Mesopotamia. Nella notte, davanti a me, già sento gli aromi delle spezie, e i profumi delle strade della Selucia, mia prossima terra di passaggio. Sarò pellegrino nel mio grande Paese, visiterò in meditazione i villaggi e le moschee, mi purificherò giornalmente ai lavacri. Non giacerò con nessuna donna, e neppure con alcuno schiavo o schiava, e rinnegherò la masturbazione come atto indegno di un futuro Califfo. E studierò, pregherò e mi purificherò. Attraverso la concentrazione, la sottomissione ad Allah ar-Rahman e la totale abnegazione alla sua Volontà.
Adesso mi do alla lettura di Al-Ghazālī, nella speranza che mi consegni ad un dolce sonno, da cui possibilmente far nascere un sogno di gloria. Domani il sole mi mostrerà la Selucia, e poi ancora più a sud, fino alle radici della Fede islamica.
Fino a incontrare il mio destino.
 

Mersault l'Apostata

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2 – Selucia

La vita è solo l’occasione per essere perfetti. Non c’è altro scopo, non c’è altro fine. Nelle mie vene, sta il significato di quest’esistenza, e di queste parole scritte di notte. Non può che essere così.
Sono in Selucia, da ormai cinque giorni ho lasciato la bambagia a Baghdad, e da cinque giorni ho smesso di radermi.
La Selucia è indubbiamente la regione più bella che abbia mai visto. Gli uomini, i mercati, le madāris e le donne sono l’espressione della migliore umanità esistente: il popolo abbaside.
Ho visto una donna, ieri, incantevole come la vista su Baghdad dal terrazzo del Califfo, fresca come l’acqua del fiume Al-Furāt, leggera come lo shuluq, il vento di mezzogiorno. Ella passava, splendida, menando la sua figura nel mercato del villaggio di Al-Ghadiriya con una semplicità raggiante, come la promessa di un futuro di speranza. Io stavo seduto, nei miei abiti di pellegrino, sotto l’ombra di una tettoia, e l’ho vista sfilare, perfetta, senza avere alcun desiderio di possederla, nonostante il mio corpo avesse indubbiamente mutato il suo umore, alla vista di una così giovane, bella e formosa fanciulla. Il mio pensiero è stato insolitamente lucido, e volto al Bene.
In quel momento, ho capito il senso dell’Editto di proliferazione che il Khalifa ha esposto a tutto il Paese due anni fa, e ho capito che il compito essenziale del Califfo è assicurare la prosperità e la felicità del Suo popolo, sia esso abbaside o comunque sunnita, attraverso un’opera di continuo miglioramento e perfezionamento di sé e delle proprie azioni.
Non so se sono pronto a questo, ma sento di iniziare a comprendere i richiami del mio sangue.
Adesso, porto il viso e le forme di quella fiera donna abbaside nella mia mente, per affidarla all’accecante benevolenza di Allah- An-Nûr allorché mi troverò a Makkah al-Mukarrama per celebrare l’ayyām al-tashrīq.
Poiché non so il suo nome, giacché non ho avuto l’ardire di chiederglielo, forse per paura di finire col sedurla, mi permetterò la licenza di chiamarla con il nome della splendida regione, ricca di spezie e buoni fedeli, in cui l’ho incontrata. Ella sarà così Selucia, la splendida immagine della donna abbaside, madre del futuro. In me, il pensiero della sua perfezione sarà la molla a rispettare il mio compito dinanzi a Dio, per sposare l’avvenire e garantirlo, fiero e libero, a tutto il popolo.

Nei prossimi giorni conto di raggiungere la regione di As-Summan, da poco entrata a far parte del Califfato. Poiché il mio è un pellegrinaggio sacro, non dovrò intrattenere rapporti diplomatici con i funzionari, e avrò l’occasione di conoscere un popolo che, fino a poco tempo fa, era costretto a vivere sotto la difficile gestione di Abu Shoja, che non è mai riuscito a debellare il germe kharigita. As-Summan è una regione da scoprire, così come la sua gente, fedele al culto di Alì, che ha accettato coscienziosamente di ridursi al potere di Baghdad, affinché sia fatto, per essi, il massimo Bene.
Vedrò una regione nuova, vedrò ancora una terra proiettata verso il futuro. Così anche io mi sento spinto, attirato, verso sud e verso il mio destino, ancora più avanti, per conoscere la luce del divino.
 

Mersault l'Apostata

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3 – La guerra di Al-Fayyad

Ho visto mio fratello, alla testa di un esercito, salutarmi con gli occhi sicuri di un uomo. Una stretta mi ha premuto il cuore, un lampo d’orgoglio ha scosso le mie membra di fronte al Comandante dell’Armata Abbaside, il mio fratellino Al-Fayyad.
E’ stato curioso e beneaugurante incontrarsi, entrambi a metà strada lungo i nostri diversi percorsi. Lui, diciassettenne pronto a distruggere gli empi kharigiti alla testa del nostro formidabile esercito; io, ventinovenne alla ricerca della purezza in seno a Makkah Al-Mukarrama, alla ricerca di quella sapienza e di quell’ispirazione luminosa che, sole, possono guidare il mio destino.
E’stato curioso e, forse, significativo il nostro incontro: in un piccolo villaggio della provincia di Al-Jawf, che gli abitanti chiamano Sakakah, io ero seduto all’ombra di una palma, mangiando il desco che dei buoni cittadini mi avevano preparato, pur senza sapere che io sono il futuro Signore della loro terra. Aspettavo l’arrivo dell’esercito, che come notificatomi da un messo sarebbe passato da Sakakah lungo la strada per l’Ad’Dahna.
Quando l’armata è apparsa, in lontananza, tremolante nel caldo della mattina, i miei occhi si sono inumiditi, il mio sangue ha sussultato nelle vene, e un impeto di patriottico orgoglio mi ha fatto vibrare. Nelle mie vesti di pellegrino, avevo quasi scordato il fasto e la potenza del Califfo di Baghdad, ma l’immagine del mio fratello minore al comando dei nostri soldati mi ha riportato alla mente l’onore di essere un Abbaside.
E’ sceso dal cavallo e mi è venuto incontro, con il passo deciso e il volto scuro del guerriero. Eppure, mentre si avvicinava, vedevo il suo sorriso allargarsi sempre di più, finché, al mio cospetto, non ho rivisto il mio discolo fratellino di diciassette anni. Ci siamo abbracciati, e tutto l’esercito ha urlato la nostra gloria all’unisono.
Nei miei stracci, poco si sarebbe potuto dire riguardo la mia regalità, e in questo Al-Fayyad ha mostrato di non essere ancora giunto ad un livello di saggezza tale da comprendere la profondità della mia missione, ma non gliene faccio una colpa: mi ha promesso che dopo la guerra anche lui intraprenderà il suo Hajj, e questo mi basta per affermare la sua bontà e la sua disponibilità alla vita nella Fede.
Così abbiamo pregato insieme.
Prima di partire, infine, Al-Fayyad mi ha chiesto di ripassare le truppe, per mostrarmi a essi e indicargli il volto del futuro. Così mi sono presentato, con indosso l’izar e il rida, al cospetto del mio esercito. Grande era l’orgoglio negli occhi dei soldati, allorché ho spiegato loro quale fosse il mio compito, quale l’opera del prossimo Califfo. Così essi hanno compreso, una volta di più, l’importanza della campagna militare che si accingono a intraprendere: la Fede è il bene più prezioso nella vita di ogni uomo, e questo è il pensiero del Khalifa, che è il Pastore delle anime su questa Terra.
Giacché non esiste compito più pio di questo.
Noi non lottiamo per assoggettare altri popoli, non combattiamo per seminare morte e distruzione. Il nostro obiettivo è la pace per il popolo abbaside e per tutti i fedeli musulmani, sia sunniti che sciiti. La nostra missione è la più giusta che esista, e la nostra responsabilità è suprema al cospetto di Allah Al-Mâlik.
Così ho salutato l’esercito, e infine ho abbracciato e baciato, un’ultima volta, il mio caro fratello Al-Fayyad, il condottiero dell’Armata Abbaside. Con un ultimo sguardo, che ho cercato di caricare il più possibile, mi sono raccomandato con lui di essere attento, formidabile e invincibile come sa di essere; mentre già si allontanava, sul suo cavallo, i suoi occhi mi hanno rassicurato, e insieme mi hanno detto di andare avanti, e di guadagnare la saggezza.
E sempre più sento dentro me la calma e la gravità della sapienza, ogni giorno e ogni cosa che vedo mi fanno pensare che c’è sempre qualcosa da fare, e che sarò io a dover compiere la realtà nei prossimi anni.

Ho salutato Al-Fayyad, e ho ripreso il cammino verso il confine.
Domani entrerò nello sconfinato Sultanato Selgiuchide, lo Scudo di Baghdad, e finalmente potrò vedere con i miei occhi la potenza e la perizia dell’amministrazione del savio Ahmed Sanjar. Sento sempre più di avvicinarmi alla meta, a Makkah al-Mukarrama, la Santa. Si, lo sento.
 

Mersault l'Apostata

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4 – صفر Sifr

[Sifr in arabo significa letteralmente “vuoto” ed è il termine matematico che venne tradotto dai primi studiosi europei con il termine latino Zephirus, da cui si è giunti al moderno “zero”]


Essere è sifr. Così semplice che ho rischiato di morire.
Avevo cambiato il mio cavallo con un cammello, e mi addentravo oltre i confini del Califfato, laddove si sapeva ben poco di me, e nulla del mio destino.
Ero nella polverosa e sciancata regione di Jabal Shammar, terra di pastori e di donne dallo sguardo insabbiato, frontiera dell’immenso Seljuk.
Ero entrato, non so più quanti giorni fa, nell’oasi di Hā’il seguendo una carovana di spezie abbasidi proveniente da As-Summan, inebriandomi dei profumi miei familiari, stringendomi ad essi proprio nel momento in cui sentivo una suprema nostalgia di casa. Arrivando presso le prime capanne, infatti, visi sconosciuti e aspri sembravano essermi naturalmente ostili, e il silenzio dei miei compagni pareva confermare le mie preoccupate congetture. Arrivato ad abbeverarmi alla fonte, mi ero sentito come d’improvviso attaccato alle spalle, e in un istante avevo maledetto Ahmed Sanjar e persino mio padre, tutti colpevoli di volermi togliere di mezzo. Voltatomi come un tarantolato, ho piuttosto visto tre ragazzini che mi prendevano in giro: evidentemente, la loro dispettosa sensibilità aveva riconosciuto l’odore della mia paura.
Sono scoppiato a ridere in modo convulso, destando una curiosità sempre meno divertita nei bambini, che vedendomi accasciato a terra emettendo un sinistro singulto di furore panico, hanno finito con lo spaventarsi sul serio, per correre via urlandomi dietro maledizioni feroci.
Ho continuato così per non so quanto tempo, e mentre ridevo pensavo che non sarei mai uscito vivo da questo viaggio, e che non sarei mai stato capace di fare niente di buono nella mia vita, perché troppo alto è il compito che mi è stato imposto e troppo debole il mio cuore. Ho continuato, e mentre ridevo le lacrime mi lavavano il viso incrostato di polvere e terra. Ridendo, i palmi delle mani con cui mi coprivo si facevano anch’essi più chiari, finché le mani e il viso non sono stati mondati dallo sporco che avevo accumulato.
Quando ho visto ciò, ho smesso di ridere, ma le lacrime continuavano a scorrere spontanee, senza fermarsi. Ho alzato la testa, chiudendo gli occhi, cercando di cogliere nel respiro e nel silenzio, così come mi ha insegnato Al-Gilani, un istante di pace, ma il mio cuore batteva davvero troppo forte, e nella mia testa così tante immagini si affastellavano, che non c’era nessuna pace in me, senza che io potessi fare nulla per capirne il motivo.
Ho aperto gli occhi, ma le lacrime mi colmavano la vista e non vedevo niente, fin quando ho sentito che qualcuno aveva preso le mie mani, e le teneva lievemente. Nel tremolio del pianto ho distinto una folta chioma di capelli neri, che incorniciavano il viso sereno di una giovane ragazza, che mi ha sussurrato le parole più dolci che avessi mai sentito:
“Sii sereno, placido, calmo, pellegrino, perché presto le tue pene avranno fine.”
Ho visto i suoi occhi, mentre pronunciava quelle parole, e quello sguardo non sembrava essere di donna mortale, ma un angelo pareva palesarsi sotto le sue graziose spoglie. Mi ha detto
“avvicinati, pellegrino, vieni alla fonte, lascia che l’acqua ti disseti. Poi, vieni con me. A casa mia potrai riposare, prima di rimetterti in cammino verso la Santa”.
Il suo nome è Hanifa, come mia madre, e mentre bevevo ho pensato “non devo assolutamente farci niente, sarebbe troppo sconcio persino per me!” Quel pensiero, d’improvviso, mi ha magicamente riportato a terra, in quel luogo, presso la fonte nell’oasi di Hā’il, nel vasto Sultanato Selgiuchide. Lì sono stato nuovamente Al-Mustanjid, lì mi sono riconosciuto.
Hanifa sembrava conoscermi, e la sua casa era piena d’ombra, e le sue parole penetranti. Ha intuito la mia confusione, la mia paura, non appena ho cercato di sostenere una conversazione al di fuori del mio reale stato d’animo.
“Non aver paura di avere paura, pellegrino. Non ci sono catene al tuo collo, puoi spostarti in avanti quanto vuoi. Se tu pensi di essere il sifr del mondo, allora non hai più paura di niente”.
Le sue parole mi hanno come ipnotizzato, addormentato sebbene sveglio. Ci siamo distesi, insieme, e siamo stati insieme, dentro, per molte ore, mentre le mie membra si scioglievano e la mia testa vagava alla ricerca della mente della mia amante, per fondere le due anime e i due corpi, fosse pure solo per un istante. Anche per un istante, ne sarebbe valsa la pena.
E quell’istante è giunto, chiarissimo tanto da accecarci entrambi, per pochi secondi in cui la Terra è stata una cosa sola con il cielo.
Accecata, la donna è crollata sui cuscini, ardente senza più parole né saliva in bocca, e l’ho vista addormentarsi davanti a me, che riprendevo fiato e lasciavo che il residuo di quell’esperienza non morisse nel mio spirito. Volevo tenerlo, e restare così sveglio il più a lungo possibile.
Mi sono alzato, e la mia testa era leggera come mai. Nudo, sono uscito dalla tenda di Hanifa, al fresco della notte. Nel buio e nel silenzio, solo gli assonnati bramiti dei cammelli, ogni tanto, si pronunciavano nel vuoto. Ho iniziato a camminare, scalzo, allontanandomi dal letto della donna che mi aveva salvato la vita. Ho attraversato il ruscello, le ultime palme, perché volevo uscire dall’oasi, volevo essere completamente solo.
Trascinando i piedi nella sabbia, ripensavo alle parole di Hanifa, e cercavo di argomentare il mio accesso di panico per spiegarmelo, per capire dove fosse avvenuta la rottura nel mio spirito.
Camminavo sulle dune, facendomi sempre più lontano da Hā’il. Mi sono voltato, e non la vedevo più.
Allora mi sono seduto, nella posizione della Muraqaba, e ho cercato di vedere attraverso quel buio, per riconoscere qualcosa del mondo che in quegli istanti mi pareva alieno. Nel buio, ho visto un punto di luce, e l’ho tenuto fermo. Lo guardavo, lo contemplavo, lo sentivo. Non so quante ore siano passate, né quando sia giunta precisamente l’alba. So solo che, durante quella veglia, ho capito cosa intendesse Hanifa, quando ha parlato di essere lo zero del mondo. Zero è l’uomo, il vuoto; è questa la condizione in cui l’essere umano si trova nella vita. Il sifr è il punto in cui si raccoglie l’entità divina nella mente del pellegrino, il sifr è la testimonianza della sua esistenza sulla Terra. Solo nello zero è possibile scorgersi come uomo. Solo nello zero, posso concepire la mia missione in questa vita.
Perché se nel sifr si trova lo scarto che ci permette di essere uomini, ciò significa che nel sifr è Allah Ar-Rakhman.
Questi pensieri, che non è possibile forse trasferire in parole intellegibili, mi riempivano la mente e il cuore, portando una suprema calma nel mio essere, tanto che il mio corpo non soffriva la permanenza prolungata sotto il sole nel deserto.
Sono rimasto così fermo, seduto a fissare quel punto di luce, fin quando una voce, dal tono preoccupato, mi ha riportato nei pressi del consorzio umano. Era il mio servitore, Nuri, che quasi piangente si è inginocchiato a baciarmi le mani, evidentemente sollevato più di quanto potessi mai immaginare. Credo che, se fossi morto di stenti nel deserto, il Califfo lo avrebbe fatto scuoiare vivo, e per questo ho sorriso della sua paura.
“Non aver paura, Nuri, io sto benissimo. Adesso sto bene”.
Siamo tornati insieme, in silenzio, verso l’oasi, che distava ormai due ore di cammino. Mentre trascinavo, ancora, i piedi nudi nella sabbia, coperto nuovamente dei miei stracci di pellegrino, rivivevo la fuga della notte, in cui la sabbia fresca sui piedi mi aveva incoscientemente ispirato un’ondata di sapienza difficilmente governabile, e che ancora adesso faccio fatica a comprendere del tutto.
Sono rientrato a Hā’il, per il sollievo di tutti. Le autorità dell’oasi erano state informate della mia presenza/assenza, e le guardie e i funzionari si erano dannati l’anima al pensiero di non aver accolto né curato l’erede al trono abbaside. Ho rassicurato e placato i miei amici: stavo davvero bene.
Ancora non riesco a scrivere con parole umane quel che ho compreso nel deserto, forse un giorno ne sarò capace. Intanto, serberò il ricordo nell’anima, e ogni momento cercherò di avvicinare la mia mente a quell’emozione, per arrivare ad essere razionalmente illuminato, così come il mio spirito lo è stato nel deserto.
Così ho ripreso il dominio di me e della mia missione, non ho più avuto il panico di essere lontano da casa, non ho più avuto paura di non essere io quell’uomo che mi si richiede di essere. Io sono il sifr del mondo, e devo ringraziare una terribile angoscia e una grande coscienza, per arrivare a concepire questo esserci come nulla.
Mentre lasciavo l’oasi, ho cercato con gli occhi la mia Hanifa, il mio angelo, la donna che mi ha preso le mani e concesso il suo corpo, perché la mia anima potesse sentire di nuovo la dolcezza dell’esistenza. Lei mi ha salvato, e le sarò sempre grato, e pregherò per lei. A Makkah al-Mukarrama, monderò i nostri peccati e le nostre virtù, e attraverso lei, come attraverso Selucia, si saprà dipanare il filo che porta direttamente al futuro, in cui ci incontreremo di nuovo.

Adesso sono ancora più a sud, nella regione di Safajah, sempre più vicino alla meta. Non so quanti giorni abbia passato rinchiuso a lottare contro i miei fantasmi nell’oasi e nel deserto, ma so solo che la mia barba è sempre più lunga, il mio cuore sempre più grande e la mia mente sempre più libera.
Ho sconfitto i demoni della paura, adesso non ho più catene.
E quando domani entrerò nella regione di Medina, a pochi giorni di cammino da Makkah, il mio spirito sarà ancora più in alto, perché mi sto avvicinando al luogo della purezza, al santuario della Fede.
E già adesso, mi addormento dolcemente, al sentimento della Pace che riconoscerò nella Santa.
 

Mersault l'Apostata

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5 – Ayyām al-tashrīq, i giorni della gioia

O Anime Salve!
Sono nel cuore del mondo. Sono nel centro della vita. Respiro come non avevo mai respirato, guardo con occhi che non avevo mai usato. Tutto è nella preghiera. Centinaia di migliaia. Sono nella sublime fratellanza, sono nel consorzio degli uomini. Effettuando ciascuno degli atti necessari per un perfetto hajj, e guardandolo fare alle moltitudini insieme a me, ho compreso infine il significato della mia missione su questa Terra. La perfezione dell’unione dei viventi, che con una sola preghiera e un unico movimento vive rendendo grazie ad Allah Al-'Adhîm, è la suprema spiegazione dell’esistenza. Io sto sentendo questo, in questi giorni in cui mi trovo nel luogo più Santo del mondo, e sento che non mi abbandonerà mai. E quanto grande sarà il Potere che Allah Al-Mu'izz deciderà di assegnarmi, tanto grande in me sarà la volontà di assolvere al mio obbligo verso il Creatore di tutte le cose e verso il Suo Profeta, che Allah gli doni eterna salute, Colui il cui sangue ha generato l’imperio di Dio sugli uomini.
Ho conquistato il tahāra insieme ai miei fratelli, ho scacciato Shayṭān, l’ho rinnegato per sempre dentro e fuori di me. Ho compiuto il khalkh, così adesso la mia testa è completamente rasata e il mio iḥrām terminato. Sono stati i giorni più felici della mia vita, insieme a quei giorni del mese di rajab, quando il grano in Mesopotamia faceva apparire tutto così giallo e splendente, e il cielo azzurro cullava i miei sogni di bambino e il buon Husam [visir del Califfo, morto nel 1148, ndr] mi raccontava le gesta dei grandi Califfi Abbasidi del passato, e io guardavo mio padre Al-Muqtafi, seduto con il suo sempiterno sguardo, dolce e sicuro. Ma l’emozione più grande, forse la più grande della mia vita dopo la nascita, l’ho avuta proprio ieri, nel sublime ṭawāf al-ifāda, quando ho visto per l’ultima volta la Ka’ba, e l’ho circumnavigata sussurrando il Ṣalāt, e il mio sangue si è fatto lacrime, la mia anima ha gioito di esserci, in me. Mai più potrò scordare chi siamo e da dove veniamo, giacché ho percorso una lunga strada per arrivare qui, e lunga ancora sarà la strada che dovrò percorrere per tornare, un giorno, presso la sacra dimora di Allah Al-Muhaymîn. Nel mezzo, il mio compito sarà quello di battere la strada per il mio popolo, affinché anch’esso possa, giustamente, giungere al riposo in Allah.
Adesso è la notte ancora, e il silenzio dei miei fratelli dormienti. C’è un bulgaro, qui vicino, che prega nel sonno (lo sento sibilare parti della rak’a) mentre poco lontano dal mio lumicino, scorgo nella penombra due pellegrini che discutono sommessamente. Uno è biondo e parla con forte accento latino, l’altro ha gli occhi come due fessure, giurerei che è khorasmio.

Sono questi i nostri ayyām al-tashrīq, sono i giorni della gioia. Cibo, acqua, l’amicizia dei fedeli in festa, gli ultimi fuochi del pellegrinaggio, l’ultimo rito benefico che è prescritto ad ogni musulmano.
O Anime Salve!
Al-Salàm ‘alaykum wa rahmatu 'llahi wa barakàtuh!
 

Mersault l'Apostata

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6 – Ḥājjī

La città ancora.
Adesso che sono a Baghdad, nel Palazzo del Califfo, nel mio studiolo vicino al giardino, non posso immaginare la mia vita prima di aver compiuto lo Ḥājj, uno dei cinque arkān al-Islām.
Ripercorro le pagine scritte, e le tappe del mio viaggio, e soprattutto ricordo tutto ciò che qui non è riportato, perché non traducibile in parole. Solo l’esperienza del viaggio nelle terre sacre, l’attraversamento del deserto per giungere presso la fonte del ghuṣl possono rendere la grande purezza che si percepisce di poter raggiungere laggiù.
E io adesso sono un Ḥājjī, e lo sarò per sempre, e questo sarà per me il massimo degli onori e il più grande dei doveri presso Allah Al-Mujîb e presso il mio popolo, che dovrò un giorno condurre alla purezza e alla Pace nella Fede.
Quel che ero è un giovane buontempone e inesperto, forse intelligente ma sicuramente stupido, per nulla avvezzo alla considerazione reale del mio compito, del perché della mia nascita. Ciondolavo, spesso possedendo tutte le donne che mi si paravano davanti, sempre sodomizzando le mie piccole serve e i loro fratellini, niente affatto interessato alla crescita del mio erede, il bellissimo e già scaltro Al-Mahdi, colui che avrà bisogno di tutta la saggezza che il nostro sangue richiede.
Adesso, l’uomo tornato sulla soglia, che il piccolo ha salutato un po’ intimorito (forse dalla lunghezza della barba) sarà il suo faro, la sua luce, seconda solo alla grande sapienza che ha saputo e saprà insegnargli, finché Allah lo vorrà, il suo prediletto nonno, il Khalifa Al-Muqtafi. Io, nel mio canto ascoso, ho finora soltanto atteso stolidamente il giorno in cui mi sarebbe piombato il mondo addosso, e tutta la responsabilità del mandato divino sulle spalle. Ora, galvanizzato dal mio viaggio sacro, vinte le mie paure e scacciato per sempre dall’albergo della mia anima il vile Shayṭān, non posso che risalire, ed essere più perfetto possibile, per la mia famiglia e per il mio popolo. Lunga è la mia barba, lunghi sono stati i miei giorni nel deserto. I miei familiari stentavano a riconoscermi: ormai è parte di me, non la taglierò più. Mio padre forse ha capito, mia madre mi ha preso in giro, mia moglie mi ha detto che sembro più vecchio, mentre il bell’Al-Mahdi, una volta tranquillizzato e a suo agio, ha continuato tutta la sera a tirarmela, ad affondare le sue piccole dita nella mia folta barba nera. Tutti mi scrutavano, cercavano le mie parole. A loro, in effetti, cosa avevo raccontato durante tutti questi mesi? Lungo e malinconico è stato il viaggio del ritorno, il silenzio dei miei compagni era pio come il sentimento che mi impediva di parlare a sproposito: così anche oggi, nella calma del fuoco domestico, tutti si stupivano della mia scarsa loquacità, fin quando il Califfo, senza neppure alzare gli occhi, non ha potuto che commentare così:
“Mi congratulo con te, figlio mio, perché il tuo silenzio di oggi vale quanto tutte le cose che hai detto in questi trenta anni, da che sei venuto al mondo dal ventre di tua madre Hanifa. Grazie, grazie, grazie e lode a te, Al-Jabbâr, Allah Al-'Azîz”.
Ho capito e ho dato il mio più convinto assenso, nonostante la mia buona madre si fosse erta a mia difesa. Siamo scoppiati a ridere, allora, e poi abbiamo avuto nostalgia di Al-Fayyad, il Glorioso, il fustigatore degli eretici: che Allah vegli su di lui, e lo protegga fino alla vittoria finale, fino al compimento del Suo altissimo disegno.

Non dev’essere stato facile in effetti, per mia madre, quest’ultimo anno: entrambi i suoi figli lontani, ognuno chiamato da un decreto divino, esposti alle intemperie come sassi. Ma io ho compreso di essere un sifr, e mio fratello sta servendo il Khalifa e il suo popolo, quindi la vecchia e buona Hanifa non può che rallegrarsi ed essere raggiante, di fronte alla forza della sua progenie.
Adesso che sono un Ḥājjī, e il mio dovere di uomo è compiuto, non posso far altro che diventare qualcosa di più, ciò che è richiesto dal mio sangue pulsante: diventare ancora più saggio, acquisire ancor più esperienza del mondo e delle cose, e della teologia e del diritto divino, per essere sempre più perfetto. La mia barba e la terra mi sono testimoni, e mio figlio Al-Mahdi sarà il prodotto della mia ricerca.
Giacché ho compiuto la ricerca della Vera Fede, avvicinandomi agli arkān al-Islām così come è stato prescritto dal più saggio degli uomini, il Profeta Muhammad, che Allah gli doni eterna salute, devo propormi una nuova ricerca, la cui necessità e importanza saranno misurate dal tempo voluto da Allah Al-Qahhâr. Questa è la ricerca della saggezza, che mai smetterò di praticare, fin quando il respiro sarà dentro di me, fin quando, a questi occhi, sarà concesso guardare.
La terra mi è testimone.



PELLEGRINAGGIO NELLE TERRE SACRE

di Ḥājjī Al-Mustanjid

Si conclude qui il diario di viaggio dell’erede al Califfato Abbaside, di ritorno dalla città santa di Makkah nella Splendente Baghdad, Dār al-Salām.
 
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