Ordine della Rosa Purpurea

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Ignis Aurum Probat, Miseria Fortes Viros
- La rovina tempra il nostro valore -

Non chiedere chi grida nella notte. Non chiederti cosa giace nelle lande oscure che si estendono come un drappo maligno aldilà del nostro fuoco. Resta vigile, resta attento. Ascolta. Sentirai anche tu, sospinti dal vento, i lamenti di morte di un mondo lontano nel tempo, un mondo che ha gridato al cielo la propria agonia prima d'incendiarsi come il crogiolo di una forgia, per poi spegnersi e avvizzire. Un ceppo nero e lebbroso s'erge oltre il bagliore delle nostre lanterne, un miasma di fronde lugubri, un camposanto di spade a memoria di chi ha combattuto nella follia dei Giorni della Fine. Ascolta, anziché lasciare che la tua mente veda nelle ombre al limitare dello sguardo demoni e mostri d'indicibile orrore, la storia di chi è venuto prima e ha lasciato su questa terra martoriata il segno. Ascolta chi ancora s'erge sulle gambe ferreo come una statua inamovibile, chi ha trionfato contro il destino ineluttabile che altri hanno scelto per noi. Forse allora riuscirai ad abbandonare le angosce, i tormenti e la pavide pulsioni che ti spingono all'inquietudine prima del sonno, aprendo gli occhi ad un futuro migliore, svuotato da quegl'incubi che raschiano ai nostri usci bramando d'entrare. Ti narrerò di tempi andati, di giorni in cui il sole splendeva più luminoso, in cui la luna ispirava poeti e musici, anziché rivelare mostruose sagome nelle antiche rovine. Ti dirò di quei giorni in cui l'erba cresceva rigogliosa, il mare sciabordava lento ed il vento spirava aria pulita dalle montagne immacolate. Ma soprattutto ti spiegherò perché abbiamo combattuto, perché contro ogni avversità siamo rimasti, contro ogni aspettativa, contro ogni più infausta speranza.
Dalla Nera Torre di Galvorn, che penetra giù negli abissi della terra come una colonna atta a sorreggere il cielo, abbiamo osservato, abbiamo studiato, abbiamo pregato. Abbiamo atteso che le nostre ferite fossero sanate, che i nostri cuori ed i nostri spiriti fossero abbastanza forti, e poi siamo usciti a fronteggiare l'innominabile che ci attendeva famelico, pronto a banchettare con tutto ciò che c'era nel nostro essere. Non eravamo degni di reclamare il mondo come nostro dopo averlo distrutto, non eravamo destinati a tornare i padroni delle valli e dei monti, delle coste e dei fiumi, dacché non avevamo compreso i nostri errori, la nostra Follia. A migliaia, di quelli più forti e vigorosi, impavidi dinnanzi all'orrore, sono morti lanciandosi come pazzi alla disperata ricerca di vendetta contro i mostri, senza capire che non avevano speranze contro il demone dell'odio che aveva germinato nei loro cuori. E poi, quando la luce s'era fatta più pallida e l'aria più fredda, che nemmeno sembrava più possibile vedere il domani, la Rosa ci ha guidati alla salvezza. Eravamo stati mal guidati da re e regine, invischiati in logoranti conflitti scevri d'ogni ragione, ma ora non più. Come l'acciaio battuto da un esperto fabbro siamo stati forgiati a nuova vita, plasmati dal desiderio ardente di una Nuova Alba per tutta Ea, la terra che era e che sarà ancora, un giorno.
No, non chiedere chi grida nella notte. Non chiederti cosa giace nelle lande oscure aldilà dei nostri fuochi. Quello è un orrore che dobbiamo combattere, non comprendere, poiché lui non ascolterà, non si fermerà mai. Prendi la spada, giovane paladino, prendi il cimiero, il mantello e sella il tuo cavallo. Al sorgere dell'alba giungerà il nostro tempo.


- Cavalier Comandante Primrose Sur-Sael, prima della Battaglia dell'Eredvyrn.
 
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Arilma, la Rosa Purpurea
- Il culto dell'Ordine, la dama dell'alba e del crepuscolo -

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Discutere dell'Ordine e delle sue peculiarità sarebbe assai complesso senza esternare, almeno nella sua essenzialità, colei che è perno e fulcro dell'Ordine stesso, Arilma, la Rosa Purpurea. Essa non compare nei vecchi libri e negli antichi tomi appartenuti alle nazioni che furono di Ea, né veniva venerata prima della Fine dei Tempi; è invece una divinità nuova, creata mutuando credenze e religioni di tre grandi ceppi del Nord: il culto di Solonielle, la dea del Mare, il culto di Gallean, padre degli elfi, e di Llorath, la dea ragno malevola e meschina pregata dagli elfi oscuri nelle loro tetre metropoli. Gallean e Llorath, per loro natura, erano eterni rivali e inconciliabili nelle loro divergenze: il primo dedito all'Ordine, alla Luce e alla Giustizia, la seconda alla Menzogna, al Segreto e all'edonismo, eppure entrambi, nel momento del bisogno, non seppero aiutare i propri figli, abbandonandoli come il resto delle razze di Ea alla mercé di tre secoli oscuri, scevri di speranza. Solonielle, che invece aveva a sua volta operato il silenzio a discapito dei suoi fedeli, non fece che osservare da lontano quei giorni bui. Si narra, infatti, che Alrima altro non sia che l'incarnazione di tre diversi segmenti di questi credi, prestati e importati dai tre popoli che maggiormente formarono e costituirono l'Ordine della Rosa Purpurea.

Mentre la guerra imperversava nel Nord, con l'Ultima Crociata, legioni di uomini ed elfi, assieme a qualche altra truppa arrivata dai Reami Gelidi e dai grandi regni centrali, si ritrovarono isolati e abbandonati, tagliati fuori da ogni via di comunicazione e rifornimento con le loro terre natie. Lo scoppio dei conflitti e l'abuso degli incantesimi scriteriati aveva infatti ridotto in macerie il mondo alle loro spalle, evocando orrori ancora peggiori di quelli che andavano affrontando contro i terribili Caduti. Ignorati dai loro patroni divini e certi che la morte li attendesse in quelle lande fredde e sterili, ecco che si aprì loro una speranza. Chi c'era, e sono rimasti in pochi, molti dei quali privi di una mente forte abbastanza da raccontare con dovizia di particolari quegli eventi, raccontano che apparve loro una figura ammantata di bianco, dal volto velato, col capo adorno da un rigoglioso viticcio da cui fiorivano splendide rose d'oro. Non parlò, ma la sola vista fu abbastanza da spingere chiunque a seguirla per i crinali e le montagne, oltre corsi d'acqua neri come la pece e foreste abbruttite da alberi smunti e spogli. Li guidò, coloro che ebbero la forza di finire la marcia, sino all'ultima rocca degli elfi oscuri ancora intonsa nel settentrione, e qui si palesò anche a loro, invitandoli ad accogliere le legioni fuggiasche. Coloro che c'erano dicono di averne saggiato non il potere, quanto la schiacciante presenza, gli occhi che invisibili scrutavano oltre quel velo candido che pareva metter tra lei e loro tutta l'eternità. Sebbene si possa facilmente speculare che si trattasse di qualcuno, e non di una entità superiore o magnanima, nessuno seppe che fine fece dopo quell'evento. Scomparse, proprio come era arrivata, lasciando nell'ultimo punto del suo avvistamento un roseto i cui fiori sbocciavano in un porpora brillante, sfidando il freddo e le asperità della dura terra.

Ovviamente non tutti accettarono di abbandonare i propri credi e convertirsi, non subito almeno. E sarebbero occorsi diversi anni prima che i seguaci della Rosa dell'Alba, uno dei tanti nomi con cui è conosciuta Arilma, iniziassero a prendere corpo e convertire, raccontando leggende e mezze verità, tutti gli altri superstiti racchiusi nella lontana Calas. Ma del sangue e dei coltelli si occupano le cronache, non gli umili decani, e per sapere quel che è stato - e che mai dovrà ripetersi - andranno lette le cronache. Non v'è spazio per le quisquilie di ciechi mortali nella storia della Rosa.


Iconografia, Credo e Dogma

A causa della sua creazione a tratti fiabesca, Arilma ha assunto in sé, col tempo, le caratteristiche di tutte le divinità precedentemente citate, escludendo i tratti ritenuti "colpevoli" di aver abbandonato i propri devoti. Non a caso essa è creduta patrona dei momenti di passaggio: Alba e Crepuscolo, ma anche dell'Ordine e del Segreto. Arilma è infatti creduta una divinità allineata fortemente all'ordine che tuttavia concepisce come necessario l'uso di qualsiasi mezzo per giungere al Fine Ultimo, ossia la distruzione di Demoni, Non Morti e loro adoratori in ogni angolo di Ea. Pur derivando da due divinità femminili ed una maschile, il suo aspetto è sempre stato equiparato a quello di una donna dal volto inconoscibile, forse anche per l'ingerenza della società drow dominante nella regione, perennemente velato. Sovente è anche raffigurata con due spiriti guardiani, l'Alba ed il Crepuscolo, portatori di spada e a lei sono dedicati i simboli del sole e della luna crescente; spesso la luna è inscritta all'interno della stella, formando un unico simbolo chiamato "Rosa d'Oro". Nel corso dei secoli il credo di Arilma si è strutturato e affinato, limando via quelle sbavature che hanno contraddistinto la sua travagliata nascita, divenendo un dogmatismo ferreo e rigoroso rispettato quasi letteralmente da ogni adepto.
I punti principali dei suo testo sacro, l'Arimalindé, ossia la Canzone di Arilma, scritto da Jherra Sur-Sael sono i seguenti: la caccia proattiva a tutto ciò che ha scatenato la Fine dei Tempi, Caduti e demoni dell'Altrove in primo luogo, ma anche la persecuzione di quei maghi, quelle streghe che usano la magia per evocare simili nefandezze sul mondo. C'è inoltre una feroce pratica, specialmente da parte degli elfi oscuri, di soppressione dei culti considerati "sconvenienti" o di mal costume, ossia quelli fortemente improntati al perorare il caos e affiliarsi con entità non meglio precisate. Il panteismo ed i culti tribali o non sviluppati sono perlopiù tollerati, mentre l'Ateismo è trattato alla stregua di una devianza mentale al pari della follia o della stupidità. L'abiura e l'apostasia, pur non essendo vietate, portano quasi sempre alla perdita di qualsiasi diritto sociale che non sia la facoltà di vivere come semplice suddito, esiliato per sempre da qualsiasi ordinamento religioso o laico dell'Ordine. Particolare menzione va al fatto che l'Arimalindé non specifica fin dove sia possibile calcare la mano per distruggere il Male, dacché si da per assunto che il potere in sé non sia malvagio, ma solo la sua applicazione e che essa, vagliata dalla Fede, sia sempre rapportata alla necessità.

Nel testo sacro, inoltre, si fa riferimento anche alla Nuova Alba, ossia al futuro di Ea come terra libera dal Male e dalle nefandezze del passato, dove ogni razza e ogni terra possa godere della grandezza ancora una volta. Il fine ultimo di ogni buon credente è, infatti, vivere una vita atta a migliorare il tempo speso su Ea della collettività, mendiate sacrificio, lavoro e preghiera. I suoi templi sono sempre fortificati e posseggono fioriti giardini di rose nei loro pressi; statue, quadri e ogni altro genere di raffigurazione non solo è ben accetta ma anche calorosamente accolta da tutti i fedeli, tanto che c'è almeno una - se non più - icone in ogni abitazione o luogo pubblico, per non parlare di piazze o palazzi. La statua più grande di Arilma, realizzata in marmo bianco, è sita in cima alla Torre Nera di Galvorn, la capitale, e svetta a quasi cento metri da terra, rivolta verso settentrione.

Tutti, indiscriminatamente e senza riserva alcuna, devono sottostare ai Comandamenti della Rosa, una serie di norme imprescindibili a cui ogni fedele deve cercare di attenersi quanto più possibile per potersi definire un "Degno" agli occhi di Arilma.


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• Morirai prima di tradire la Rosa e l'Ordine.
• Sacrificherai ogni cosa per la Nuova Alba.
• Non ignorerai il tuo Giusto Dovere contro il Male.
• Né paura né dubbio attanaglieranno la tua mente.
• Sarai il campione dei Giusti ed il più Giusto tra i campioni.
• Vivrai per la tua spada e morirai con essa.
• Difenderai i deboli e guiderai coloro che sono perduti.
• Manterrai la parola data, se non intralcerà la Nuova Alba.
• Rispetterai i devoti a prescindere da ogni loro aspetto.
• Proteggerai la vita quando possibile e la toglierai quando necessario.

Anche coloro che non sono combattenti per professione, ossia quelli che nelle altre società prendono il nome di semplici sudditi, o cittadini, nell'Ordine sono tenuti ad alcuni piccoli formalismi che li accomunano più ad una grande armata che non ad una società presto detta. Nel corso del tempo, tuttavia, le varie riforme sociali e l'ingrandirsi del territorio dell'Ordine, hanno ridotto grandemente l'importanza di quello che un tempo era il bisogno spasmodico di rimpolpare le truppe logorate dalla difesa dei confini. Ad oggi, infatti, è fatto obbligo solo formalmente a tutti gli uomini e le donne, in età adulta, di allenarsi e mantenersi abili al combattimento in caso di chiamata alle armi. La devozione alla Rosa non è argomento di discussione, in ogni caso, ed è tanto più forte tanto più semplice è la vita del fedele: vivere un'esistenza retta è tutto ciò a cui si può anelare, nel bene o nel male, e tale proposito a volte arriva al prezzo di una certa ritrosia ai cambiamenti e alle novità culturalmente rilevanti.
 
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La Storia dell'Ordine
- Cronache, Storie e Racconti -

Come precedentemente accennato la nascita dell'Ordine della Rosa Purpurea ha avuto inizi travagliati e tutt'altro che spinti da lieta novella. Con la fine del mondo imminente, e l'idea che nessuno sarebbe riuscito a salvarsi, la maggior parte dei dissidi e degli attriti anteriori all'Ultima Guerra venne sostanzialmente meno tra coloro che, intenti a battersi coi Caduti, si erano lasciati alle spalle la devastazione di un mondo sconfitto dai suoi stessi abitanti. Sebbene le carte siano poche, e quelle poche confuse o comunque di dubbia attendibilità, anche perché la maggior parte dei cronisti riporta notizie posteriori alla fondazione effettiva, qualcosa è giunto per ricostruire, almeno a grandi linee, quello che è accaduto in quei nefasti mesi di tre secoli fa.
Grandi eserciti a quel tempo erano giunti da ogni dove per combattere i Caduti ed i Non Morti, guidati da figure eroiche le cui gesta ed i cui nomi sono andati quasi interamente perduti. Si ricordano ancora, però, Rayla la Magnifica, caduta in battaglia proteggendo la ritirata dei suoi uomini contro un possente dragolich, oppure ancora Konrad il Grande, condottiero dalla fama incredibile che si dice non potesse perdere nessuna battaglia. Eppure nessuno di loro vide il giorno dopo l'inizio della fine, lasciando ai posteri il dovere di salvare quello che restava dei loro uomini e dei loro reami. Due figure si fecero allora avanti, prendendo il posto degli innumerevoli comandati che avevano finito per lasciare per sempre Ea: Isilwen di Casaldur e Bertram d'Ishitara. La prima un'elfa, il secondo un uomo, entrambi provenienti dalle coste occidentali che, secondo la storia, ebbero la visione di Arilma e guidarono i loro soldati alla salvezza verso est, abbandonando le terre bruciate dalla morte e dal gelo, fino a raggiungere i terreni ancora difesi dall'ultima rocca degli elfi oscuri. In quelle terre, prima dell'arrivo dei devoti di Llorath, viveva una sapiente e austera razza di uomini dalle fattezze serpentine, scacciati e devastanti - dice la leggenda - da qualcosa che li distrusse dall'interno. A comandare quell'ultimo baluardo di vita in mezzo al mare di morti c'era una matrona, Yvonne dalla Nera Tela, che da principio non volle affatto interfacciarsi con coloro appena giunti, ma che dopo qualche giorno di trattative desistette e acconsentì ad accogliere entrambi gli eserciti nei suoi domini. Qualcuno disse che quel cambio di idea le arrivò come visione da parte della Dea Ragno, i più pragmatici invece ritengono che avere più soldati le avrebbe garantito maggiori difese, ma qual che fosse la verità da quel momento in avanti cominciò una tremenda lotta per la sopravvivenza che sarebbe terminata nel sangue. Ed i colpevoli non sarebbero stati solamente i sinistri mostri che si aggiravano nelle zone dimenticate.


Il Tradimento di Yvonne dalla Nera Tela - (c.a. 3980 - 3982)
Nei primi due anni di convivenza le cose iniziarono a peggiorare rapidamente: la pressione e la perdita, in termini umani e di morale, tra coloro che si erano rifugiati a Galvorn era a livelli indicibili, i morti si contavano a migliaia e più i tempi andavano adombrandosi, più cresceva la rabbia ed il desiderio di far qualcosa di taluni. In particolare a suscitare le ire della matrona fu il lento, ma inesorabile, convertirsi di molti dei suoi sudditi al culto della Rosa, perpetrato da elfi e uomini che raccontavano senza requie di colei che li aveva salvati da morte certa. Gran parte del lavoro di conversione, comunque, più che la voce di semplici mortali lo aveva fatto la paura della fine di tutto ed il silenzio assordante di Llorath e delle altre divinità. In un aggetto di follia, o forse di disperazione, la matrona ed alcune sue fedelissime sacerdotesse una notte rapirono Isilwen e Bertram dalle loro case, trascinandoli di forza dinnanzi all'altare della Dea Ragno e qui sacrificandoli entrambi nel disperato tentativo di ingraziarsi ancora una volta la patrona della notte. Sfortunatamente ciò non accadde e anzi, una volta scoperto quanto successo anziché rassegnarsi all'inevitabile perdita dei due comandanti il grosso dei fedeli della Rosa si radunò, aiutato dai simpatizzanti drow, scatenando una vera e propria guerra civile a Calas. Per quattro mesi una tragedia fratricida si consumò per le strade, nelle fortezze, in ogni anfratto di rocce e cespugli. Nessun luogo era al sicuro, né fuori né dentro le mura cittadine. Quando alla fine la polvere si placò, con la morte di Yvonne, le perdite si contavano a migliaia da ambo le parti. Con la fine della purga dei traditori quel che restava dei vivi a Calas si strinse attorno all'unico barlume di speranza che era rimasto, l'unione e la fede in Arilma, decidendo di fondare l'Ordine della Rosa Purpurea dalle ceneri del Matriarcato della Nera Tela. La prima Gran Maestra fu Meliek La Giusta, sacerdotessa di Llorath che per prima iniziò il processo di sincretismo che avrebbe portato, nei cent'anni successivi, a fondere completamente i tre culti in un solo. Ella sposò il figlio primogenito di Isilwen di Casaldur, unendo materialmente due razze divise da millenni di odio e rancore una volta per tutte. Dinnanzi alla morte, alla distruzione e a tutto quello che avevano portato i Giorni della Fine, nulla ai loro occhi aveva più senso se non sopravvivere. Sopravvivere e sperare.

Il Silenzio del Mondo - (3982 - 4176)
Una dopo l'altra, nel corso degli anni, tutte le roccaforti dei viventi di cui si avesse ancora traccia smisero di rispondere. I fuochi non brillavano più in lontananza, i messaggeri non tornavano dai loro perigliosi viaggi, né i piccioni riuscivano a volare in quei cieli neri e irti di malignità innominabili. Fu allora che la Gran Maestra spinse tutti sottoterra, nelle antiche sale erette dai nani che un tempo avevano scavato in quelle lande, chiudendosi alle spalle le porte di un mondo che pareva non potersi più riprendere. E lentamente, seppure con difficoltà, la vita riprese. Dapprima lenta, sofferente, claudicante come una vegliardo aggrappato al bastone, poi sempre più rigogliosa e forte, radicandosi nei cuori di coloro che altro non attendevano se non il momento di per tornare a vedere la luce del sole. In questo periodo non solo ci fu un massiccio incremento di meticci tra le razze, situazione dovuta anche alla mancanza fisica di varietà tra i membri della medesima stirpe, ma anche un vero e proprio rinascimento culturale con l'unificazione di credenze, costumi e società di tutti coloro che erano sopravvissuti. Chiusi al riparo dal mondo, alimentando con la magia quel che serviva per sopravvivere, attesero e crebbero, rafforzandosi e prosperando, nella speranza che quando le porte si sarebbero riaperte il mondo li avrebbe accolti e non combattuti. Quasi due secoli dopo la discesa nelle tenebre, infine, l'Ordine riemerse alla luce di un nuovo mondo. Gli uomini, che meno di tutti avevano tollerato la vita nelle buie sale, erano quelli cambiati maggiormente: le pelli sbiancate, gli occhi schiariti e l'aspetto mutato - chi dagli incroci con gli elfi e chi dall'essere cresciuto per tre generazioni al buio - parevano irriconoscibili agli occhi dei loro progenitori. Se li avessero potuti vedere in quei giorni gloriosi, infatti, avrebbero senz'altro detto che si trattava di una qualche bizzarria, o del frutto di un incrocio peculiare coi figli di Gallean. Ma questo non li fermò, né rese meno ferreo il desiderio di riprendersi il mondo da quegli esseri maligni che lo avevano distrutto.

La Prima Crociata - (4176 - 4238)
Con la regione di Calas e la sua nera torre, Galvorn, rimaste intatte, l'Ordine dovette fronteggiare il primo problema: espandersi e riconquistare spazio vitale. Quella che passò alla storia come la Prima Crociata vide la riconquista delle regioni di Morgai ed Eol, limitrofe a Calas, con la successiva integrazione dei sopravvissuti locali e la loro conversione al culto della Rosa. Gli anni passati ad addestrarsi per quel momento, tra l'altro, fecero buona scuola ai cavalieri dell'Ordine che, con poche perdite, recuperarono e fortificarono un confine ampio e capace di rifornire il piccolo regno per i tempi a venire. Maliek La Giusta, morta in seguito ad un'imboscata di alcuni demoni superstiti, fu martirizzata e sepolta nella cattedrale delle Rose, a Calas, edificio giustappunto costruito per celebrare la vittoria della Prima Crociata. Le succedette la figlia primogenita, A'darra. Con lei ebbe inizio l'epoca di maggiore innovazione e riforma dell'Ordine, con la stratificazione sociale, la creazione di strutture e burocrazie, senza tralasciare una forte impronta secolare che convertì definitivamente in carica ereditaria il titolo di Gran Maestro. A lei è anche da imputare, tuttavia, una sensibile riottosità all'esplorare il mondo, accontentandosi di vivere nei propri domini e governare con giustizia e saggezza come era stata cresciuta per fare. Per sua volontà vennero a formarsi anche i Capitoli dell'Ordine, ossia una divisione amministrativa per rendere sempre più efficiente e rapido l'occuparsi delle minacce al reame. Negli annali della storia questo è forse il periodo più quieto e calmo mai affrontato dai devoti della Rosa in tutto l'arco della loro esistenza, con un progressivo arricchimento culturale dovuto al ritrovamento di reperti, documenti e mappe del mondo che fu Ea. In particolare ebbero modo di apprezzare le squisite costruzioni, seppur oramai rudere, di quello che un tempo era stato il grande impero della razza dei sauri, o uomini lucertola, come avevano preso a chiamarli in mancanza di altra nomenclatura certa. Reperti di giada, armi e corazze vennero rinvenuti e studiati, dando impulso non solo alla scienza bellica, ma anche ad un timido accenno di arte fine a se stessa, che sarebbe poi sfociato in una vera passione culturale negli anni a venire.

La Seconda Crociata e la Rinascita di Ea - (4238 - 4300)
Il periodo di pace fu interrotto solo dopo quasi un secolo, quando vennero scoperte delle reminiscenze di demoni nelle steppe a nord dei territori dell'Ordine. A'darra proclamò immediatamente una seconda crociata, desiderosa di dimostrarsi degna dei successi ottenuti dalla madre, ma seppur con esito positivo il conflitto ebbe un caro prezzo: la stessa A'darra perì in battaglia assieme alla sua guardia d'onore e anche se la nidiata di demoni venne eradicata il costo in termini umani fu tale e tanto che l'alto comando dell'esercito decise di rientrare nei confini accontentandosi di aver definitivamente ripulito il limes. Al seggio di Gran Maestra salì quindi Isilwen Remelien, il cui nome altro non era che un omaggio alla condottiera vissuta oltre tre secoli prima. Con il periodo di pace alle porte ed il bisogno di recuperare dall'ultimo conflitto, tutto parve cristallizzarsi sino alla progressiva, e auspicata, scoperta di altri superstiti nel continente. La notizia, da una parte, aveva gettato gioia e giubilo tra la gente, mentre dall'altra aveva non poco impensierito i vertici dell'Ordine, dubbiosi su come agire in vista di questa rinnovata apertura. A togliere ogni dubbio ci pensò la stessa Gran Maestra che, con un discorso pubblico tenuto a Galvorn, decretò l'apertura dei confini e dette impulso ad una nuova era di rinascita per Ea.

Noi viviamo per servire la Rosa e per rendere giustizia al Suo nome, ma non possiamo farlo abbarbicati a vecchi ricordi e rovistando tra le carte viziate dalla muffa stipate nelle nostre biblioteche. Il mondo ci attende, nella sua luce più tersa e nel suo abisso più nero, e spetta a noi rispondere a quella chiamata, spetta a noi farci carico di quello che abbiamo giurato e pregato di poter proteggere. Se da mano mortale la terra su cui camminiamo ha sanguinato, allora per mano mortale essa ritornerà a vivere.
Saremo fautori della Giustizia, persecutori del Male e pastori di coloro che sono perduti.
E arriverà il giorno in cui tutti potranno dire "Ea, la terra che è tornata ad essere".

- Gran Maestra Isilwen Remelien, discorso di insediamento.
 
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Costume, Stato e Società
- La gente, la vita e la burocrazia dell'Ordine -

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Popolazione e Costume
A costituire l'Ordine sono principalmente tre razze: elfi oscuri, la maggioranza, elfi e umani. A differenza però di coloro rimasti per molto tempo in superficie, trovando angoli di mondo ospitali, la gente della Rosa è stata obbligata a mischiarsi per evitare l'annientamento dovuto alle condizioni estreme della posizione geografica. Gli individui di sangue puro sono oramai pochissimi e la maggioranza dei cittadini presenta caratteristiche ibride ben riconoscibili. Tale situazione è ben presente soprattutto negli esseri umani la cui breve vita ha permesso loro di riprodursi e accoppiarsi con i figli di Gallean e quelli di Llorath, dando vita ad una stirpe di mezzosangue che oramai è predominante tra la popolazione "umana". La lingua ufficiale dell'Ordine è il Comune, pur essendo la maggior parte dei membri di stirpe elfica, e talvolta viene usata addirittura la lingua comune antica per documenti e titolature. Tale retaggio è stato assorbito ai tempi della secolarizzazione, prendendo a piene mani dagli uomini e dalle donne che avevano servito sotto Bertram, con il risultato di vedere l'elfico come una lingua più artistica: ad oggi poemi, poesia e arte sono appannaggio quasi esclusivo della melodiosa lingua dei primi nati. A causa di questa loro peculiare storia, inoltre, gli elfi oscuri dell'Ordine sono esteticamente diversi dagli altri della loro stirpe: hanno un incarnato tendente al celeste o al ceruleo, anziché avere le colorazioni più scure, e alcuni di loro hanno iniziato a mostrare capigliature dai colori biondi o ramati, praticamente inesistenti a memoria di annale. La vita media di un elfo oscuro è indefinita, anche se originariamente qualcuno aveva addirittura postulato che potesse trattarsi di esseri immortali, nel vero senso dalla parola, a conti fatti è probabile che salvo morte violenta uno di loro possa vivere anche oltre i mille anni. Sebbene la loro altezza media fosse relativamente bassa, circa un metro e settantacinque per gli uomini e uno e settanta per le donne, l'incrocio con i cugini e con gli uomini ha permesso alle loro caratteristiche fisiche di mutare, diventando lievemente più alti e con corporature meno longilinee del normale. Generalmente di bell'aspetto, sia maschi che femmine, è praticamente impossibile dedurre l'età di una persona adulta solo guardandola a colpo d'occhio, dacché sembrano fermarsi ad una sempiterna giovinezza.

Socialmente ci sono poche cose davvero non tollerate e, pertanto, punite severamente. Il tradimento è forse quella più importante, sia dal punto di vista del regno che da quello famigliare. Una persona sposata che giace con qualcuno diverso dal coniuge è vista con disprezzo dalla comunità, seppure questa idea si sia affievolita una volta usciti dal sottosuolo. In secondo luogo il rispetto dell'ambiente e la pulizia sono capisaldi inviolabili: rovinare opere, sporcare deliberatamente i parchi e le piazze, sono tutte attività malviste, così come la mancanza di pulizia personale e la noncuranza dell'educazione. La compostezza è forse la caratteristica predominante della maggior parte degli individui, al punto da considerare sgradevole la vicinanza di chi, per indole o natura, non riesce a controllarsi. Al di fuori del matrimonio, comunque, le relazioni non sono affatto vietate né il concepire figli senza essere vincolati dallo sposalizio visto in malo modo: questa può sembrare una ipocrisia ma deve essere vista nell'ottica di un popolo che, quasi spazzato via, aveva fisicamente bisogno di crescere. Per tale motivo non viene nemmeno concepito il concetto di "figlio illegittimo" all'interno dell'ordinamento reale e tutti sono considerati figli dei rispettivi genitori, quando noti.

Non esiste alcuna differenziazione in base alla razza, a patto di praticare il credo e comportarsi al meglio delle proprie possibilità in accordo ai Comandamenti. La schiavitù, prima praticata dagli elfi oscuri, non solo è stata bandita ma è anche divenuta motivo di aspra critica nei riguardi di chi ancora ne fa uso. L'uso indiscriminato della magia ed il suo abuso sono invece veri e propri crimini, puniti con la morte quando possibile.

Fortemente sentito è anche il culto dei Santi, ossia campioni e cavalieri morti valorosamente in battaglia le cui anime, al fianco della Rosa, si dice possano proteggere e guidare gli eserciti alla vittoria. In quasi ogni centro abitato c'è almeno un piccolo cimitero monumentale, luogo di culto e preghiera fondamentale per le genti dell'Ordine.


La Forma di Governo
L'Ordine della Rosa Purpurea ha una forma di governo ibrida che deve le sue radici ad una miscellanea di idee e concetti fusisi assieme dando origine a un qualcosa di particolarmente stano, visto con gli occhi di qualcuno ignaro dei precedenti dell'Ordine. Volendo usare termini più semplicistici la si potrebbe definire una Teocrazia Assoluta Monarchica Ereditaria con al vertice non una sovrana ma una Gran Maestra, la cui carica si tramanda alla figlia primogenita. La scelta di rispettare un ordinamento di stampo matriarcale, ossia con la preferenza delle donne sugli uomini per quanto riguarda l'eredità del titolo, non è altro che un lascito sentito e rispettato dalla popolazione di elfi oscuri, da millenni abituati ad una stratificazione sociale a matrice femminile. Tuttavia, pur avendo il diritto di imporre la propria volontà su ognuna delle tre appendici del governo (leggi, giustizia ed esecutivo) la Gran Maestra si avvale sovente del suo consiglio ristretto, formato dai capi dei Capitoli dell'Ordine; essi si occupano dell'amministrazione, della burocrazia e persino degli Arcana Imperii offrendo consigli ed esperienza in caso di bisogno. La rigidità della società dell'Ordine è comunque relativa, dacché non esiste altra carica ereditaria diretta che non sia quella di Gran Maestra. La mobilità tra le classi sociali è dovuta principalmente a tre fattori fondamentali: devozione, competenza e fedeltà. Anche il più umile degli scudieri può arrivare ad essere un Cavalier Comandante, secondo solo alla Gran Maestra, se dimostra attitudine al comando e capacità degne del suddetto rango. Nel caso in cui il seggio di Gran Maestra fosse vacante verrà indetta una singola elezione tra tutti coloro abbiano un rango da Paladino a salire per stabilire un'altra famiglia regnante.

I Capitoli dell'Ordine
I Capitoli non sono altro che unità amministrative che sovrintendono uno specifico - o più - compiti all'interno dello stato. Sono tutti comandati da un Gran Paladino e portano insegne identificative specifiche sulle armature, tuttavia non c'è alcuna differenza per l'impiego sul campo, per il rispetto della legge o per la subordinazione di rango di alcuna entità tra i vari Capitoli. Un Paladino di un Capitolo varrà sempre - e sarà sempre il superiore - di un Cavaliere di un diverso Capitolo. Sono quattro in totale e si distinguono nel seguente ordine:

Capitolo d'Ishitara o Capitolo di San Bertram
Nominato in onore al defunto martire morto tre secoli addietro, il Capitolo di Ishitara, talvolta direttamente accreditato come Capitolo di San Bertram, si occupa si svolgere le funzione puramente amministrative dello stato. La riscossione delle imposte, la pianificazione di progetti e sviluppi urbanistici è demandata a loro, così come l'allocazione delle risorse umane dello stato e della sua manodopera. Nelle loro file figurano i migliori ingegneri e architetti di tutto il reame. I loro simboli sono un compasso ed una squadra.

«Non sono le spade a vincere le guerre, non sono le mura di pietra e nemmeno gli incantesimi più potenti. Le guerre si vincono riuscendo a portare rifornimenti dal punto A al punto B senza crepare nel mezzo.»
- Castellano Borri Manonera
Capitolo di Eol
Formatosi recentemente è costituito prevalentemente da uomini e nani. Prende il nome dall'omonima regione e si occupa solo ed esclusivamente della materia mercantile e monetaria. I suoi adepti sono particolarmente ferrati nei dettami delle merci, del denaro e dello scambio e proprio per questo motivo sono tutti non elfi. Nonostante la forzata convivenza, infatti, le stirpi longeve di elfi ed elfi oscuri non hanno mai dimostrato interesse per il commercio, portando quindi alla formazione di un Capitolo apposito per compensare tale debolezza. Il loro simbolo è una bilancia.

«Agli elfi non importa del denaro. Fosse per loro la nostra economia girerebbe attorno alla preghiera e alla speranza... Io sono una donna devota, lo sono davvero e porto la mia spada a testimonianza del mio giuramento, ma avere un magazzino pieno di materiale senza un acquirente farebbe sanguinare persino l'anima della Nostra Signora...»
- Paladina Claudia d'Ambrose
Capitolo della Rosa Cremisi o Inquisizione
La Rosa Cremisi, più sovente citata come Inquisizione, racchiude al suo interno una serie di compiti di studio, ricerca ed indagine. La stragrande maggioranza di loro sono elfi oscuri, esperti arcanisti e grandi sapienti, capaci di manipolare la magia e padroneggiarne i segreti. Tra tutti i Capitoli è quello più difficile in cui farsi inserire, dacché bisogna dimostrare valore, determinazione e grande talento anche solo per poter essere presi in considerazione come candidati. Come dice il nome stesso sono i più acerrimi nemici di maghi e stregoni che praticano l'arte senza riguardi per le conseguenze e più volte, nella storia, si sono vantati di aver fermato persone di dubbia moralità. Godono di estremo rispetto all'interno del territorio. Il loro simbolo è una fiamma stilizzata.

«Hai mai visto qualcuno bruciare dall'interno, Fratello Thomas? C'è del poetico nel vedere un eretico, un vile, trasformarsi lentamente in un tizzone ardente. Quando ero più giovane usavamo simili stratagemmi per diletto ma oggi non agisco altro che per adempiere al mio dovere. Eppure, talvolta, sono grata alla Dea di avermi fatta arrivare dove sono; rievocare i ricordi di un tempo passato, anche se... spiacevole, è un qualcosa di cui fare tesoro. Non credi?»
- Inquisitrice Nasmi delle Nere Fronde
Capitolo del Grifone
Sono coloro che difendono materialmente, spada alla mano, l'Ordine. A loro è comandato di combattere e preservare dalle minacce di ogni genere la popolazione ed il confine. In questo Capitolo ricade la quasi totalità degli uomini in arme, delle leve e dei riservisti con grado. Essendo uno dei più semplici, ma allo stesso tempo dei più importanti, è affidato ad un Cavalier Comandante, gradino successivo e ultimo prima della Gran Maestra, per permettere alle decisioni in tempo di guerra di non venire rallentate da contrasti da parte di parigrado. Il suo simbolo è un grifone rampante.

«Sottovalutare un soldato solo perché mal vestito, rozzo o apparentemente impreparato può rivelarsi fatale. Una persona messa alle strette, con le spalle al muro, sarebbe capace di strapparsi il braccio sinistro per usarlo come manganello con il destro. E questo potrà anche gettare ilarità nelle vostre menti, ma vi posso assicurare che dinnanzi ad una scena simile nessuno di voi riuscirebbe a tenere la spada in mano. Pensate a questo. Pensate al potere della caparbietà e della determinazione e fatelo vostro, perché ogni nostro scontro ci vede con le spalle al muro ma non dobbiamo vacillare. E noi non vacilleremo.»
- Cavalier Comandante Miriam d'Ishitara

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I Gradi ed i Titoli dell'Ordine
Come ogni esercito anche l'Ordine della Rosa Purpurea ha una gerarchia di titoli e gradi che distingue i vari membri per importanza e capacità. Pur essendoci anche titolature non canoniche, oppure di natura squisitamente civile, quelle più importanti sono tutte interne all'esercito.
Gran Maestra - La figura apicale dell'Ordine.
Cavalier Comandante - I Generalissimi dell'armata, distinti per competenza sul campo. Essi comandano gli eserciti sul campo di battaglia e sono esperti strateghi, oltre che formidabili in combattimento.
Gran Paladino - I combattenti più capaci e competenti dell'Ordine. Spesso sono alla guida di interi distaccamenti armati sotto l'egida di un Gran Cavaliere.
Paladino - Custodi di chiese, cattedrali e luoghi sacri. Spesso sono parte della guardia personale di una figura autorevole e si occupano anche della protezione dei dignitari stranieri.
Cavaliere - Il rango più basso tra quelli dell'Ordine, in senso monastico. Sono coloro che si sono distinti per prodezza e bravura meritandosi d'iniziare il percorso per divenire formidabili campioni. Costituiscono la spina dorsale dell'esercito e sono soldati professionisti, senza eccezione.
Gendarme - Si tratta di coscritti, riservisti o guardie cittadine il cui impiego principale non è quello del soldato ma che, per esigenza o desiderio, hanno intrapreso il mestiere delle armi. I giovanissimi iniziano da questo rango e vengono addestrati a diventare dei Cavalieri.
Scudiero - I ragazzi al di sotto dell'età arruolabile vengono considerati scudieri e accompagnano, seppur da posizioni sicure, i loro Cavalieri in battaglia. Si occupano di imparare le preziose lezioni impartite loro dai veterani e, sebbene non necessariamente, spesso ricevono anche qualche infarinatura di scherma o tiro con l'arco.

Altri titoli, importanti ma suppellettili a quelli già esposti, d'importanza rilevante per diffusione o per impiego, sono i seguenti.

Inquisitore - Titolo di solito attribuito ad un Cavaliere o un Paladino facente parte del Capitolo degli Inquisitori. Sovente si preferisce usare questa titolatura a quella del rango effettivo per dichiarare immediatamente la propria professione e le motivazioni di eventuali domande o ricerche.
Siniscalco - Titolo ad appannaggio dei funzionari dell'Ordine di Ishitara che, spesso, si ritrovano a fare le veci della Gran Maestra e parlare per suo conto a terzi individui. Il titolo di Siniscalco identifica quindi un Cavaliere che si occupa di agevolare le funzioni burocratiche dell'Ordine.
Castellano - Un Gran Paladino a cui viene affidato il compito di proteggere una fortezza prende il nome di Castellano e, come tale, svolge le funzione di plenipotenziario sul luogo. La titolatura aiuta ad identificarsi tra i membri dell'Ordine e a non creare subordinazioni spiacevoli in presenza di parigrado.

Inoltre tutti i membri dell'Ordine tendono a definirsi "fratelli e sorelle" e non è raro che si rivolgano con questi appellativi ai compagni d'arme. Simili gesti di confidenza tra persone che si conoscono da lunga data è accettato e benvisto anche tra ranghi diversi, per quanto mai ammesso in situazioni formali o cerimoniali.
 
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Luoghi e Città
- Le terre dell'Ordine -

Sebbene tutte le lande sotto l'egida della Gran Maestra godano di eguale attenzione e riconoscimento, alcuni luoghi spiccano per importanza, rilevanza strategica o anche solo per quantità di ricchezza generata. A livello puramente architettonico l'influenza degli elfi oscuri si nota in ogni minima cosa, ma lo stile è stato imbastardito e reso più agevole dagli influssi estetici umani e nanici, specialmente per quanto riguarda le costruzioni di superficie. Le città, specialmente quelle fortificate, tendono infatti ad avere un grande impianto sotterraneo che supera di due o tre volte quanto si vede dall'esterno: gli elfi oscuri ed i nani preferiscono vivere al riparo dalla luce del sole, nelle aule di pietra riccamente decorate e riscaldate da fucine in perenne fermento. Le fortificazioni sono generalmente di stile nanico, sia come decori sia come funzionalità, e la scelta non è stata casuale in quanto i pochi superstiti presenti nell'Ordine hanno portato un bagaglio di conoscenze tali da meritarsi il titolo di Maestri Muratori senza discussione.

Città Capitale di Galvorn

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La capitale Galvorn, con la sua imponente torre di pietra nera, svetta come una spada conficcata nel cuore delle terre di Calas, una grande steppa erbosa e sterminata che segna il confine tra i regni in ripresa e le lande dei morti. Oltre alla suddetta torre, la cui imponenza è tale e tanta da essere avvistata da miglia di distanza, fornendo un punto di orientamento fisso per i viandanti, la città conta uno sviluppo urbanistico discreto, frutto degli investimenti dell'ultimo secolo. Originariamente, infatti, l'intera urbe si estendeva sotto il suolo, in una serie di gironi a discendere che contengono ancora oggi squisiti palazzi, fucine, abitazioni e persino giardini tenuti in salute tramite incantesimi e coagulati alchemici. Lo sfarzo di questa parte della città è retaggio dell'epoca d'oro degli elfi oscuri, dove edonismo, cultura del bello e del piacevole la facevano da padroni: oggi invece questa parte della capitale è adibita principalmente alle residenze dei cavalieri di alto rango, ai depositi e alle prigioni di massima sicurezza. Sulla superficie, inoltre, la costruzione moderna più importante è senz'altro la Cattedrale di Nostra Signora, un vero e proprio complesso di templi, abbazie e sagrestie dove vengono formati i nuovi abati del Credo. I giardini crescono in ogni dove, sapientemente curati per reggere i rigidi inverni settentrionali, mentre statue e fontane proliferano quasi alla stessa maniera, decorando in modo spasmodico ogni piazzetta. Le abitazioni sono relativamente alte, quasi tutte a due piani e addossate le une alle altre, con tetti spioventi e acuti, adorni di gargolle e fregi dall'aria - talvolta - un poco lugubre. Aria lugubre che contribuiscono a creare anche i tetti, composti da coppi in ardesia, che tendono a dare una bizzarra atmosfera nero-violacea quando illuminati al crepuscolo e all'alba.
A dispetto di tutto, comunque, l'urbanistica della parte esterna è piuttosto risibile ed è chiaro che sia le fortificazioni che l'abitato possano e debbano essere espansi nell'immediato futuro.


Città di Minardil
Minardil è la città più giovane del reame, ma anche quella più diversa e moderna rispetto allo stile architettonico duro e marcatamente spigoloso delle guglie drow. Costruita per essere un luogo interesse per le popolazione di superficie, così come accattivante e vivibile per chiunque non sia adatto alle rigidezze della vita cavalleresca e belligerante, Minardil porta con sé una rilevanza storica, culturale e sociale importante. Culla della diplomazia e porta meridionale del regno, è il crocevia perfetto per il commercio, i trattati e le cerimonie, nonché sede capitolare dell'Ordine di Eol, i fratelli mercanti dell'Ordine della Rosa Purpurea. Gioiosa, piena di giardini e parchi, quasi non sembra essere stata edificata sul confine di quello che un tempo era il limes dei viventi, eppure le grosse mura ed i moli fortificati che s'affacciano sull'Ishtar Darya, raccontano una storia difficile fatta di pericoli e coraggio a cui la popolazione locale sembra aver fatto fronte, costruendo una fiorente città mercantile ai confini del mondo "sicuro".
 
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Figure di Spicco
- Comandanti e Signori dell'Ordine -

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Isilwen Remelien, Gran Maestra dell'Ordine
Salita al potere oramai sessanta anni fa Isilwen Remelien della stirpe di Casaldur è attualmente la più giovane delle Gran Maestre avute dall'ordine, assisa al seggio massimo a soli quarant'anni dopo la prematura dipartita della madre A'darra nella Seconda Crociata, si è da sempre dimostrata una condottiera tutt'altro che inesperta nonostante la giovane età, sapendo guidare il suo popolo verso una lunga era di prosperità e crescita, nonché alla nuova apertura verso il mondo esterno ed i sopravvissuti di Ea. Nonostante uno dei suoi nonni fosse un elfo tutto quello che rimane della sua genealogia mista è il nome ed un bizzarro colorito ceruleo dell'incarnato; molto bella, seppur non faccia vanto di questo dono, spicca per un particolare che non può passare inosservato nemmeno ad un'occhiata superficiale: l'occhio sinistro, infatti, sembra più un grosso zaffiro che non un vero organo. La pelle tutt'intorno all'occhio, inoltre, è rigata in maniera inquietante da profonde venature violacee che contrastano particolarmente con la pelle, creando l'illusione che dal bulbo oculare si diramino lunghe e sottili appendici venose. Nessuno conosce esattamente come la Gran Maestra si sia fatta una simile ferita, ammesso e non concesso che di questo si tratti, dato che sembra vederci benissimo, ma alcuni hanno provato a dare qualche spiegazione, seppur priva di fonti. La più accreditata e che quella ferita sia il risultato di uno scontro feroce con qualche bestia maligna, la cui magia infausta ha colpito la Gran Maestra lasciandola permanentemente sfregiata. Quale che sia la verità, comunque, è un segreto ben custodito che probabilmente conosce solamente lei stessa. Per quanto riguarda il suo passato è fatto praticamente noto a tutti: cresciuta come sacerdotessa della Rosa, tra preghiere e sermoni, è divenuta una fervente sostenitrice delle opere di conversione, dell'importanza del dialogo interreligioso e del rispetto dell'ordine costituito. Molto attenta a non recare mai offese ai suoi interlocutori, e pronta a scusarsi in caso di bisogno, appare a molti suoi sottoposti come un'elfa dall'animo sensibile e delicato, da preservare in ogni maniera. Nonostante questa apparente "debolezza", ed il ruolo non militare delle sue mansioni, Isilwen ha più volte dimostrato grande coraggio e sprezzo del pericolo, meritandosi a pieno titolo il suo ruolo ed il rispetto di coloro che ne seguono il cammino. Innovatrice, appassionata di antropologia storica riguardo le civiltà del mondo Prima della Fine, passa il tempo ad occuparsi di dirimere i dubbi dei fedeli ed amministrare lo stato. Chiunque, in qualsiasi momento, sa di poter ricevere un buon consiglio da lei. Curiosità: il suo primo ritratto ufficiale, oggi appeso nella sala capitolare di Galvron, è stato fatto per il suo centesimo compleanno, nel 4298, dacché prima ha sempre rifiutato di farsi ritrarre preferendo spendere il suo tempo in maniera più attiva.

«Credo sia dovere di ogni creatura dotata di libero arbitrio in questo mondo scendere a compromessi. Non sempre è possibile e non sono così ingenua da pensare che una simile idea si applichi ad ogni argomento ma, ecco, talvolta l'arma più potente che abbiamo è la parola, non la spada. Una parola detta - o non detta - al momento giusto può far rialzare un soldato esausto, sanare un male che corrode l'anima e persino cambiare le sorti del mondo per come lo conosciamo.»

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Miriam d'Ishitara, Cavalier Comandante del Grifone
Giovanissima, appena trent'enne, Miriam d'Ishitara è una discendente diretta di Bertram, il compianto eroe, e come tale porta sulle sue spalle il peso di un simile retaggio. Sin dalla sua nascita tutti si aspettavano grandi cose da lei, quasi fosse predestinata a seguire le orme dell'antenato, e mai una singola volta ha disatteso le aspettative. Mezz'elfa da parte di madre, dai capelli castano chiaro e dagli occhi cerulei, sembra più adatta a fare la dama di compagnia che non la guerriera, ma il suo portamento ed il modo di fare rivelano la una natura da campionessa. Ferma nelle sue convinzioni, estremamente coraggiosa e devota sino all'orlo del fanatismo - anche per i canoni dell'Ordine - Miriam si è distinta più e più volte per intelligenza e visione tattica, rivelandosi una provetta stratega capace di ottenere risultati concreti anche senza la forza bruta. In particolare è degno di nota come sia stata allevata a cavallo di due mondi, quello umano e quello elfico, che in lei convivono in maniera quasi perfetta. Poliglotta, dato che riesce a parlare fluentemente elfico, lingua oscura e nanico, oltre che il comune, pare avere un'energia praticamente infinita, sempre pronta all'azione e a rispondere alla chiamata del Dovere. Il suo casato, il cui nome originario non era "d'Ishitara" ma che non è pervenuto alle cronache, discende da una nobilissima famiglia del prospero golfo della Bastiglia, dispersa nel settentrione di Ea durante una delle ultime grandi crociate. Questo retaggio, pur essendo Calas lontana mesi e mesi di viaggio dalla costa più vicina, ha fatto sì che all'interno del casato si mantenesse un certo livello di erudizione, seppure teorica, sul funzionamento di navi ed imbarcari di ogni tipo. In particolare la leggenda secondo cui l'antico Regno di Ishitara potesse avvalersi di truppe di fanteria anfibie ha permesso a Miriam di essere la prima a iniziare un lavoro di addestramento selettivo per il combattimento in pantani, fiumi e acquitrini, rendendo sempre più agevole il dispiegamento dell'esercito in zone con presenza idrologica significativa. Pur provenendo da una famiglia in vista, che ha contato Gran Paladini e Castellani, non ha avuto vita facile e ha dovuto fare la gavetta come tutti: ha servito dapprima come scudiera di Thyros Dardargento, ed in seguito ha abbandonato l'idea di diventare una burocrate unendosi invece al Capitolo del Grifone. La sua nomina a Cavalier Comandante è derivata da un caso specifico avvenuto nel 4294, quando riuscì a salvare un gruppo di coloni nei pressi dei confini settentrionali di Morgai da una banda di predoni, affrontandoli con forze drasticamente inferiori per qualità e numeri. Non solo la strategia e la tattica, ma anche il valore militare dimostrato in quell'occasione, le valsero il rispetto di tutta la corte e dei suoi futuri soldati. Riflessiva, ma determinata, è una mezz'elfa che trasuda nobiltà di spada da ogni gesto, con la capacità di ammaliare per la sua semplicità e di ispirare con la sconfinata fede. È una vera credente, incapace quasi fino allo stremo di mettere in dubbio il Credo, e rispetta i Comandamenti quasi alla lettera, anche se si è dimostrata più di una volta relativamente tollerante con i miscredenti. L'impulsività e le teste calde la indispongono in maniera quasi intollerabile, dato che per lei la pianificazione e la capacità di analizzare rapidamente e lucidamente le situazioni è fondamentale per vincere un conflitto. Nondimeno è comunque una discreta combattente, eccellente in special modo con spada e scudo, le sue armi predilette.

«Noi non scendiamo in battaglia per morire. Certo il nostro compito è difficile, il martirio preventivato, ma non per questo getteremo le nostre vite nel fuoco senza ragione o raziocinio. Per me una, mille o un milione di vite valgono sempre, in ogni caso ed in ogni istanza. Talvolta non ci è dato tenerci la nostra, di vita, né preservare quella degli altri, eppure non dovremmo mai smettere di perseverare nel tutelare l'esistenza in quanto tale. Ne va della nostra anima.»

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Nasmi delle Nere Fronde, Inquisitrice
Nasmi è una delle pochissime elfe oscure di sangue puro ancora in circolazione e, a onor del vero, è anche una delle persone più longeve dell'Ordine, dato che era già adulta al tempo in cui Ea vide l'agonia dei giorni bui discendere su di lei. Contrariamente a molte altre sue colleghe, fu una delle prime a voltare le spalle a Llorath una volta compreso che ella non sarebbe mai giunta a salvarle, donandosi completamente al culto della Rosa d'Oro e combattendo ferocemente contro la sua vecchia matrona per liberarsi di quelli che ai suoi occhi erano solo vetusti e oramai inutili orpelli religiosi. La sua devozione è senza pari, a dispetto di quello che potrebbe trasparire dal cinismo - e spesso dalla crudezza - delle sue parole: grazie alla sua esperienza come arcanista e alla forza di volontà tutt'altro che indifferente, si è guadagnata di diritto un posto nell'Inquisizione, portando il suo fuoco purificatore dove necessario e senza porsi eccessive domande. Inutile tuttavia negare che la sua indole oscura e maligna è permasta anche col il cambio di paradigma del suo agire ed è per lei un piccolo piacere proibito punire, giustiziare e torturare coloro che contravvengono al volere della Rosa. Notevole è il fatto che sin da giovanissima abbia sempre dimostrato una peculiare affinità per l'elemento del fuoco cosa strana visto e considerato che l'oscurità, il freddo e la necromanzia erano arti ben più praticate e studiate nella sua famiglia. Feroce tanto con la lingua quanto con gli incantesimi, è qualcuno con cui non bisogna avere l'avventatezza - o la follia - di scherzare troppo incautamente. Si racconta che quei pochi disgraziati che hanno osato contravvenirla in modo anche bonario siano stati grandemente redarguiti in modi e tempi debiti. Inaspettatamente.

«Ci sono molti segreti a questo mondo. E a me i segreti piacciono davvero, davvero molto. E la cosa più sbagliata che si possa fare è cercare di tenermi fuori dalla testa per tenersi i propri pensieri intatti... ci sono molti modi e molte maniere per entrare lì dentro, alcune delle quali, e lo scoprirai, si possono ascoltare una sola volta.»

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Thyros Dardargenteo, Cavaliere dell'Ordine
A prima vista Thyros potrebbe sembrare un cavaliere come tutti gli altri, sempre agghindato con le insegne dell'Ordine e racchiuso nella sua armatura scintillante, anche nelle occasioni più informali. Eppure la sua è una storia tra le più complicate all'interno dell'Ordine, una di quelle il cui finale, per quanto positivo, lascia sempre il giusto dubbio sul fatto che "si potessero fare le cose in altra maniera". Nato dalla matrona Yvonne e destinato ad una vita di secondo piano a causa del suo sesso, è il figlio terzogenito, nato dopo un parto travagliato e - a detta degli annali - particolarmente sofferente. Considerato maledetto dalla madre, era stato allontano e mandato nelle regioni periferiche di Calas ad occuparsi degli schiavi tenuti in loco a lavorare il terreno. Un lavoro a dir poco umile e infimo per chi sentiva, almeno in parte, di essere destinato a qualcosa di più. Non voleva ambire al posto della madre, invero, trovando le posizioni apicali più uno sgradevole impiccio che non una materiale utilità, ma l'essere stato relegato a compiti di noiosa e sterile burocrazia l'aveva tediato e indispettito a tal punto che, una volta arrivato il momento di scegliere da che parte stare, non ebbe dubbio alcuno e si convertì immediatamente distruggendo quel sistema atroce che lo aveva spinto ai confini della sua stessa società. Qualche indiscrezione vuole che sia stato lui stesso ad uccidere le sorelle, rimaste fedeli alla madre, dopo la fine del conflitto e che quello stesso gesto di fedeltà assoluta gli sia valso, anni dopo, la nomina a Cavaliere. Tuttavia non ci sono fonti certe su questo particolare e Thyros è sempre stato eccezionalmente ermetico sulle vicende passate preferendo indugiare sul futuro anziché su quello che è stato. Ha cambiato cognome dopo la guerra civile, adottando quello del padre per lasciarsi definitamente alle spalle il suo retaggio. Pur avendo un atteggiamento quasi sempre cordiale, è pur sempre un elfo che ha vissuto per anni nella tirannide e conosce perfettamente i modi e le maniere in cui gestire chi, per un motivo o l'altro, stenta a fare il proprio lavoro. Autorevole, talvolta autoritario, ha la fama di portare a compimento i propri doveri senza indugio e di esigere tanto da se stesso quanto dagli altri il massimo, ogni singola volta. L'esperienza come schiavista, per ironico che sia, lo ha profondamente erudito su come gestire le risorse umane disponibili, ovviamente in modi e maniere meno brutali di quanto riservato alla schiavitù, ma non certo meno efficaci. Chi ha avuto modo di lavorare con lui ne parla con rispetto, anche se con un velo di ritrosia dovuto alla puntigliosità e al perfezionismo che lo contraddistinguono. Preferisce serbare per sé i suoi pensieri ma quando si esprime lo fa sempre con dovizia di particolari, badando ben poco alle formalità e preoccupandosi di essere inteso in maniera ineccepibile. Poche cose lo fanno infuriare, anche se nessuno l'ha mai visto perdere le staffe, come la negligenza e la mancanza di ordine e puntualità. Ha fatto ammenda per il suo passato da schiavista ripartendo dal fondo della società e scalando di nuovo i ranghi nel corso di quasi tre secoli: ad oggi nessuno dei suoi ex schiavi è più in vita, ma lui non lesina di raccontare la sua storia a chiunque la chieda, mostrando con un certo orgoglio com'è riuscito a cambiare. Che poi tra l'essere un burocrate esigente e perfezionista ed un negriero intercorra quasi solo la semantica è un altro discorso.

«Prima che la Rosa mi aprisse gli occhi ero un elfo diverso. Ho ucciso, violentato, posto ceppi e tagliato teste al pari di un boia qualsiasi. Ma come ogni cosa anche in quel periodo buio, dove credevo in un dogma che oggi non mi appartiene, sono riuscito a ricavare qualcosa di buono, un distillato di conoscenza e praticità che mi aiuta ancora oggi, trecento anni dopo. Bisogna essere competenti, dopotutto, per sapere dopo quanto la schiena di qualcuno si spezza in due sotto al peso delle pietre.»

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Claudia d'Ambrose, Paladina di Eol
Spiegare il passato e la vita di Claudia d'Ambrose è tanto semplice quanto peculiare, almeno per i canoni degli altri appartenenti alla Rosa. Ella infatti, fa parte di quella nuova generazione di uomini ed elfi nati sotto alla luce del cielo e non tra le scure aule dell'antica metropoli. Bellissima, dagli occhi azzurri e dai capelli paglierini, si è fin dall'infanzia dimostrata eccezionalmente affabile, amichevole e soprattutto incredibilmente portata per gli affari, anche in un "mondo" che sembra aver ripudiato in toto il concetto di commercio. Suo padre, il Cavalier d'Ambrose, discende inoltre da una linea di sangue molto antica, al punto da fregiarsi, almeno a parole d'essere il capostipite di una grande famiglia un tempo risiedente nella capitale del reame di Konrad il Grande. Questa consapevolezza, ed un certo desiderio di dimostrarsi degna di un nome tanto importante, hanno spinto Claudia a farsi erudire in modo quasi spasmodico dagli sparuti nani dell'Ordine sulle arti dello scambio: per lei ci sono poche cose che riguardano la materia mercantile che nascondono ancora dei segreti, sempre pronta a negoziare fino all'ultimo centesimo pur di averla vinta, ma mai abbastanza da perdere un buon affare. Al di fuori del suo lavoro è comunque una persona molto riservata, socievole ma non espansiva, che sa mantenere un basso profilo quando necessario e mettersi in risalto quando doveroso. Qualcuno, almeno tra i più conservatori, vede la sua generazione - e soprattutto lei, arrivata a meritare il titolo di Paladina - come un cambiamento a volte gradito e a volte pesante, come se non sapessero bene come valutare questa grande apertura verso l'esterno foraggiata dal Capitolo di Eol. In ogni caso Claudia gode di notevolissimo rispetto, specialmente agli occhi di Isilwen e di Borri Manonera, che l'ha definita più volte "una mezza nana" a dispetto dell'altezza considerevole della donna. Pur essendo una mercante è anche straordinariamente caritatevole e di suo non ha guadagnato granché dall'inizio del suo lavoro: pur non avendo fatto alcun voto di povertà, infatti, quasi tutto il ricavato personale delle vendite e dello stipendio finisce in opere di bene o di pubblica utilità. A lei si deve la costruzione di un orfanotrofio addossato alla Cattedrale della Rosa, a Galvorn, in cui si reca spesso per portare doni ai pargoli. Tanto feroce negli affari quanto tenera nel privato, Claudia d'Ambrose è il perfetto esempio di come lavoro e vita possano, e talvolta debbano, essere elementi ben separati.

«C'è più oro di quanto sia umanamente utile, su Ea, e se anche talvolta pensiamo che non ci serva o che sia meglio semplicemente tenersene lontani, poiché esso corrompe tanto quanto il potere, per come la vedo io si tratta di una scelta semplice: usare quel metallo per qualcosa di grande o lasciarlo giacere chissà dove, senza che sia utile a nessuno. Una bottega vuota a fine serata ed un borsellino pieno di monete tintinnanti possono fare la gioia dell'anima pia.»
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Borri Manonera, Castellano
Se la pietra avesse un volto e potesse parlare, avrebbe le fattezze di Borri Manonera e si esprimerebbe con la sua voce bassa e profonda. Questo perché lui, come ama definirsi, non è un semplice architetto, non è un geniere e nemmeno uno scalpellino, ma un vero e proprio artista della roccia. Il suo clan, i Manonera, erano schiavi degli elfi oscuri prima dei Giorni della Fine e liberati dopo il conflitto interno hanno preso a divenire parte integrante del corpus militare e burocratico dell'Ordine. Borri, nella fattispecie, era solo un infante quando è stato tratto in salvo e da allora non ha fatto altro che studiare e documentarsi, finendo - allo scoccare dei duecentocinquanta anni - per divenire una vera autorità in fatto di fortificazioni ed edilizia. Si devono a lui le nuove cinte murarie che proteggono Galvorn, come a lui si devono i miglioramenti e le messe in sicurezza di alcune vecchie gallerie sotto la cittadina. Non si è però distinto solo in quanto studioso e matematico, ma anche come combattente: nella Prima Crociata ha dato sfoggio di sé lottando in prima linea fianco a fianco alla Gran Maestra, riuscendo a prevalere contro nemici ben più grandi e possente sfruttando astuzia e virtuosismo. Di indole pacata, quieta e mite - pur mostrandosi arcigno ed imbronciato - riuscirebbe a mettere a suo agio chiunque con il suo parlare flemmatico e tranquillo. Anche se è un vero e proprio maestro continua a considerarsi un mero amatore alle prime armi, ammantandosi di un'umiltà quasi surreale dati i successi finora ottenuti; è inoltre un grande devoto ed ha personalmente supervisionato la costruzione e la realizzazione di molte opere scultoree dedicate alla Rosa. La statua di Arilma sita sulla sommità di Galvorn è opera sua.

«Ascolta la pietra, lascia che ti guidi. Le più grandi creazioni concepiti da mente mortale non sono frutto di forzature, di brutalizzazioni del materiale, ma di un vero e proprio concerto. Io non sono un grande musico, ma posso dirti che costruire è come suonare: va fatto con costanza, ritmicità, senza forzare una nota ad uscire a tutti i costi. E lo stesso chiedere la roccia; d'essere modellata nei modi e nelle maniere che le si confanno, e nulla più.»
 
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Corte Estesa
- Comandanti e Signori dell'Ordine -

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Celebrian Remelien, Sorella del Crepuscolo
Sorella minore di Isilwen e secondogenita di A'darra, Celebrian è considerata la più stretta confidente e consigliera della Gran Maestra. Di aspetto simile alla sorella, con l'incarnato più chiaro della media degli elfi oscuri, ed i capelli platinati con una lieve tendenza al paglierino, si distingue spiccatamente per la straordinaria bellezza, vezzata solamente dal modo schivo con cui si rapporta alle persone. Di indole particolarmente inquisitiva, nonché dotata di uno spiccato spirito di osservazione, lavora come guardia del corpo a tempo pieno della Gran Maestra, oltre ad occuparsi di compiti di ordinaria amministrazione all'interno delle segrete stanze del potere di Galvorn. Pur essendo la secondogenita della casa regnante si è guadagnata il suo posto come tutti gli altri, iniziando in giovane età l'apprendistato fino a finire nelle mani delle Sorelle del Crepuscolo, l'élite di paladine dell'Ordine. Quasi incapace di anche solo concepire il tradimento si è specializzata nella caccia agli eretici ed ai traditori, con un rateo di successi incredibile, specialmente per quanto riguarda gli adoratori del caos. Combattente formidabile e decisamente scaltra, compensa con la furbizia e la forza quello che non riesce a fare a parole, ritrovadosi spesso più propensa a fare che non a dire, motivo per cui disprezza l'indolenza e la pigrizia sopra ogni cosa. Le era stato offerto il comando di una drappello di soldati, una volta finito l'apprendistato, ma ha preferito proseguire la carriera come sottoposta anziché scalare i ranghi in ruoli che non sentiva confortevolmente suoi. Si definisce una cacciatrice più che una guerriera o un cavaliere ed è risaputo che i cacciatori amino solo la compagnia di loro stessi e poco più.
Non chiederle il perché le sue orecchie non siano appuntite come quelle delle sue sorelle è un buon modo per continuare a vivere felicemente e con tutti gli arti adesi al corpo e funzionanti.


«Vedo tante persone parlare, discutere. Vedo tanto ma allo stesso tempo vedo davvero poco. Se dipendesse da me ci sarebbero molte meno chiacchiere e molte più riconquiste di terre dimenticate. Per quanto si possa dare al fiato un valore imprescindibile non serve a nulla se rimane tale.»

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Carnifinda del Silenzio, Sorella del Crepuscolo
Carnifinda è la più giovane Sorella del Crepuscolo in assoluto, fin dai tempi della fondazione dell'Ordine. Entrata in servizio attivo ad appena sedici anni, ha passato l'ultimo lustro a migliorare le sue capacità esplorative, a battere i sentieri più perigliosi e portare ordini ai posti di guardia disseminati in mezzo alle praterie. Il suo aspetto, tra l'altro, tradisce anche una natura peculiare, dal retaggio meticcio disperso in qualche ramo dell'albero genealogico oramai avvizzito: pur essendo un'elfa oscura a tutti gli effetti, infatti, ha i capelli di un ramato intenso, vistosi e folti, assolutamente atipici anche nella molteplicità fenotipica dell'Ordine. Nata da genitori ignoti, seppur considerata di buon auspicio dato il peculiare colore di capelli, è stata affidata direttamente alle cure delle Sorelle del Crepuscolo ancora infante col risultato di essere stata allevata all'insegna del dovere e della devozione più fanatica verso l'Ordine e le consorelle. L'epiteto "del Silenzio" le è stato attribuito perché non ama affatto parlare, a maggior ragione con gli sconosciuti, al punto che qualcuno ha postulato fosse addirittura muta, o avesse qualche bizzarra deformità che le rendeva difficile parlare. La realtà dei fatti, però, è che Carnifinda non ha mai trovato piacevole fermarsi a parlare di quisquilie o chiacchierare inutilmente con giri di parole e cortesie fittizie. Conserva le parole per chi di dovere, essendo una delle esploratrici migliori di tutto il reame. Pur non essendo di indole particolarmente maligna o scontrosa, il suo atteggiamento la rende molto distante e schiva, arma a doppio taglio capace da una parte di farla passare inosservata e dall'altra di renderla uno spettro inquietante per chi non è avvezzo ai suoi modi di fare. In ogni caso lo zelo ed il fanatismo in lei sono così radicati che è molto raro s'intrattenga con dignitari stranieri, mercanti o qualsivoglia individuo che a suo dire non rispetti certi "requisiti" dogmatici, rendendola nel complesso una persona felicemente solitaria nel suo agire.

«Se ti devo spiegare le cose una volta, significa che sei morto. Se devo farti ripetere un attacco, significa che sei morto. Se devo dirti di non andare in un determinato luogo, significa che sei morto. La stupidità non guarda in faccia nessuno.»

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Arianna Ramodoro, Paladina della Rosa Cremisi
Se la gentilezza, la pazienza e la passione per le opere di bene avessero un nome ed un volto, sarebbero quelli di Arianna Ramodoro, e parlando con la sua voce gioviale e allegra rasserenerebbero chiunque avesse la fortuna di udirle e vederla. Che la bellezza sia tratto distintivo e caratteristico della stirpe degli elfi è fatto noto, ma nel caso di Arianna questo peculiare elemento raggiunge vette inaspettate, soprattutto perché non è affatto un'elfa, pur avendone palesemente ereditato la bellezza dalla trisavola materna. Sì, perché la casata dei Ramodoro fa risalire le sue origini nient'altro che al vecchio reame del Minnonar, quando ancora uomini ed elfi vivevano alla luce del sole fianco a fianco, vantandosi di avere delle linee di sangue con nobili e reali umani ed elfi in egual misura. Lo scorrere del tempo, tuttavia, ha portato il casato a perdere molto del sangue elfico, ma non del tutto, mantenendo una longevità significativamente più lunga dei normali uomini ed un aspetto più etereo, quasi alieno. I lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri di Arianna la rendono una bellezza senza pari agli occhi della maggior parte delle persone ed il suo carattere dolce e affettuoso ne fanno una perla rarissima in mezzo ad un mare di fredda devozione e ardore religioso. Eruditasi nelle sale del monastero delle Celesti, a Galvorn, non solo si è rivelata un portento in oratoria e teologia, ma anche virtuosa e paziente con coloro che provavano timori o diffidenza nei riguardi di Arilma. Lei, come pochi altri, è l'esempio più vivido di Opera Missionaria per come voluta dalla Rosa, una comunicazione lenta e costante che si fa strada attraverso la gentilezza, senza nemmeno concepire l'idea d'impugnare la spada. Arianna è infatti una sacerdotessa che pur prestando servizio sotto l'Inquisizione si è sempre rifiutata di portare la spada, convinta che la parola della Dea sia un'arma più che sufficiente per vincere le sue battaglie. Questo, specie in fanciullezza, le è costato qualche rimprovero data l'obbligatorietà di coscrizione per tutti gli appartenenti all'Ordine, ma vista la sua ferrea volontà d'impartire il credo agli altri le è stato condonato parzialmente il servizio militare, lasciandola libera di seguire un percorso più spirituale.

«Se potessimo fermarci ad ascoltare chi la pensa in modo diverso, forse allora ci sarebbe speranza d'intuire come fargli cambiare idea. Posso solamente immaginare come possa sentirsi qualcuno che sente per la prima volta le parole di Arilma, qualcuno che per la prima volta vede la fiamma in mezzo ad un mare di tenebra. Per occhi abituati alle ombre anche la luce più fioca costituisce elemento d'orrore, di ignoto. E sta a persone come me colmare quell'abisso e mostrare agli altri quanta gioia ci sia sotto il cielo terso.»

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Konrad Von Drakenhof, Gran Paladino del Grifone
Nomen Omen. Un nome un Destino, letteralmente.
Che Konrad Von Carstein sia una figura rispettata e riverita all'interno di una certa frangia dell'Ordine è cosa nota, essendo il vecchio Duca uno dei capisaldi della lotta contro ai Ritornati - o Caduti - che dir si voglia, ma la famiglia Von Drakenhof in particolare ha sempre avuto a cuore il leggendario nobiluomo. Che sia vero o no, e le fonti sono andate decisamente perdute per ovvi motivi, la genia dei Drakenhof afferma di discendere direttamente dal duca nonché, a sentir loro, di essere stati per lungo tempo dei signori dell'omonima città. Che ci sia qualcosa di vero o meno, in queste dicerie, non è davvero possibile capirlo ma l'ispirazione e le storie che aleggiano attorno alla mitica figura e alla sua consorte Rayla hanno creato più di una credenza, al punto tale da sviluppare vere e proprie leggende attorno ai due sposi. Konrad, rampollo della famiglia dei Von Drakenhof, non solo è stato battezzato col medesimo nome, ma persino allevato per essere degno di portare un simile onore, se così possiamo definirlo. Alto quasi due metri, imponente nella stazza e dal volto pulito e bello, seppur mascolino e dalla mascella cesellata, è un vero e proprio portento nel combattimento ed un condottiero inarrivabile per carisma. Indossa un'armatura unica, sbalzata e adornata a raffigurare gli antichi stemmi del defunto Ducato di Sylvania, e la sua arma preferita è un grosso maglio a due mani capace di frantumare la testa di un un uomo in mille pezzi. I suoi sottoposti lo chiamano, ammirati, "il Toro del Nord" per tanto la sua sola presenza riesca a smuovere anche il più codardo dei miliziani. Essendo stato cresciuto per emulare le gesta del sedicente antenato, Konrad ha sviluppato una certa fiducia in se stesso ed una caparbietà non indifferente anche dinnanzi alle imprese più insidiose; si racconta che in tenera età avesse già dato segni di questo coraggio che rasentava a tratti la follia dato che si era convinto che non sarebbe morto finché la sua famiglia non avesse rimesso piede a Drakenhof. Nel crescere ovviamente questi aggetti di scelleratezza sono andati sfumando, ma è rimasta comunque una forte componente autodeterministica che lo mostra davvero come sprezzante del pericolo e immune a superstizioni e scaramanzie di sorta. Parte del suo successo con le truppe è dovuto anche ad un vero e proprio lavoro maniacale sulla sua presenza: sempre ben vestito e sbarbato, pettinato e presentabile in ogni situazione, anche nelle più improponibili, per mostrarsi costantemente come una persona degna e quasi inarrivabile per tutti gli altri soldati. Nel privato, tuttavia, Konrad è più umano e mortale di quanto non abbia a far vedere: ha due figlie, ancora non signorine, avute da una relazione con una non meglio identificata elfa oscura ed essendo molto cortese e garbato è riuscito a mettere le mani in mezzo a diverse gambe, in gioventù, fortunatamente per la sua reputazione tutte nubili. Una barzelletta diffusa tra la sua guardia d'onore è che con lui le donne guadagnino una sera di urla di gioia e dieci anni di strilli infantili. Oggi, arrivato a quasi trent'anni ed in procinto di sposarsi, si è decisamente calmato ed ha abbracciato uno stile di vita più sobrio e decisamente meno libertino, visto il matrimonio imminente e quello che ne consegue. Ama follemente le sue due bambine e le considera più di ogni altra cosa.


«Ho fatto tante cose di cui mi pento in vita mia, nonostante tutto, ma tra queste non c'è aver avuto le mie due figlie. In un mondo perfetto avrei sposato loro madre ma non si può sempre avere quel che si desidera, siamo tenuti a far del nostro meglio e non lasciarci mai andare per troppo tempo. Ho avuto la mia sete d'amore, ho avuto tutto il piacere che potevo avere, ma adesso è tempo di pensare a dare un futuro migliore alle nuove generazioni e ho intensione di perseguirlo con la stessa forza con cui da ragazzo inseguivo i miei giovanili furori.»
 
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Last Century

Ninja Skilled!
L'Esercito dell'Ordine della Rosa Purpurea
- Unità, Strumenti ed Addestramento -

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Battaglia dell'Eredvyrn, Seconda Crociata

Forse in modo un poco difforme dal resto dei regni e delle civiltà sopravvissute sulla vecchia Ea, l'Ordine non è uno reame con un esercito, ma un esercito che ha fondato nel tempo un piccolo reame. Questa, pur essendo una pura banalità di natura semantica, riflette bene la mentalità e lo stile di vita dei seguaci della Rosa, nonché il modo in cui ogni decisione viene presa all'interno dell'organico del regno. Chiaramente il bisogno di una burocrazia civile ha portato anche molti non militari in posizioni apicali, ma nonostante tutto la stragrande maggioranza di loro ha prestato - a vari gradi - servizio militare ed è più che competente nel brandire una spada. In verità nel trascorrere degli anni sempre più persone hanno scelto una vita da civili, cosa che ha decisamente giovato all'economia e permesso un incremento progressivo del benessere collettivo; nondimeno la Gran Maestra ed i suoi consiglieri hanno sempre tenuto molto alto sia il numero delle reclute sia l'obbligatorietà della leva militare, impedendo all'esercito di subire perdite sostanziali nel corso del tempo. Le truppe, suddivise in base ad addestramento ed equipaggiamento, si suddividono nella seguente maniera.

Milizia
Le milizie dell'Ordine sono composte non solo da normali soldati leva, che prendono il nome di scudieri, ma soprattutto da Gendarmi e Corpi di Guardia cittadina. A differenza di altri regni, infatti, i miliziani della Rosa sono soldati a tutti gli effetti con compiti e ruoli assegnati e specifici per cui ricevono un addestramento tutt'altro che blando: pur non potendo rivaleggiare con veri e propri soldati, specie per quanto riguarda equipaggiamento e competenze belliche, vengono formati per compiti di guarnigione e difesa sul territorio, nonché mantenimento dell'ordine pubblico, tutte questioni della massima rilevanza all'interno dello stato. Indossano uniformi color porpora, imbottite, e pellicciotti per resistere alle temperature inclementi del grande nord, mentre come armamento si avvalgono di lame corte o armi paritetiche adeguate al combattimento estremamente ravvicinato ed in lunghi angusti, come edifici, vicoli o strade. Chi vi si arruola lo fa in pianta permanente e può scegliere se proseguire il cursus honorum in altri rami dell'esercito o continuare a prestare servizio facendo carriera come Castellano. I reggimenti di miliziani sono sovente comandati da un Cavaliere, più raramente un Paladino, ed il loro impiego bellico primario è la soppressione di focolai ribelli nelle regioni riottose.

Fanteria Leggera
La Fanteria Leggera è una sottodivisione dell'esercito regolare il cui compito specifico è l'attacco rapido, agendo laddove non è possibile né prudente perpetrare un assalto di logoramento. Poco corazzati, possedendo solamente dei gambesoni imbottiti rinforzati sulle zone critiche da lamine di metallo, placche o semplice cuoio bollito, compensano la mancanza di robustezza con una eccellente mobilità ed una quasi assente difficoltà di movimento anche nei terreni più ostici. La maggior forza dei loro reggimenti deriva dall'armamento di ottima fattura che permette loro di infliggere numerosi danni aggredendo il nemico quando privo di coordinazione, o travolto da reparti pesanti, non riesce a chiudere le proprie linee. Spada, ma anche altre armi più affini a quelle che erano le tradizioni degli elfi oscuri, tra cui falcetti, falcioni e lame seghettate, forniscono una forza d'urto invidiabile se utilizzate nelle maniere e nei modi opportuni. Tra loro ci sono anche alcuni veterani, raramente persino qualche cavaliere che ha deciso di insistere in quel particolare stile di combattimento, e sono comandati da un Paladino o da un Cavaliere di particolare pregio.

Fanteria Corazzata
I fanti pesanti rappresentano il nerbo dell'esercito della Rosa. Sono unità altamente formate e addestrate che includono nei loro ranghi veterani, virtuosi e forti abbastanza da brandire pesanti armi e vestire imponenti corazze. La stragrande maggioranza della fanteria pesante combatte con grossi scudi, spesso con l'ausilio di lance per formare un muro compatto e impenetrabile, ma non è raro che alcuni reggimenti preferiscano brandire armi di grossa taglia con cui abbattere il nemico senza pietà. Quelli della Rosa, in particolare, indossano corazze di fattura drow dall'aspetto inquietante, con parti seghettate, punte e spine che rendono il combattimento un vero e proprio tritacarne per chiunque si avvicini incautamente. La guerra psicologica, prima ancora che il conflitto vero e proprio, è quello che rende l'armata della Rosa diversa rispetto a tutte le altre, cosa che unita alla ferrea disciplina e al rigore assoluto la rende una vera e propria macchina di morte. L'uso principale della fanteria pesante è quello del conflitto in attrito, dell'assalto alle fortezze e alle posizioni fortificate o addirittura della difesa di zone nevralgiche in caso di attacco nemico. La capacità di assorbire colpi, infatti, arriva con una pessima manovrabilità il che li rende troppo vulnerabili se lasciati in balia di tattiche mordi e fuggi o, peggio ancora, in vere imboscate. A comandarli c'è un Gran Paladino e tra loro figurano alcuni tra i migliori cavalieri del reame.


Arcieri e Arcieri a Cavallo
Le truppe da tiro dell'Ordine, sia montante ma soprattutto quelle a piedi, sono estremamente pericolose. Vestono particolarmente leggeri, per garantire mobilità e sveltezza nelle reazioni, limitando la corazzatura a giubbe imbottite, guanti e stivali in cuoio ed elmi a tesa larga in acciaio, unico elemento protettivo con qualche valore, adatto a deflettere le frecce nemiche e poco altro. Non portano armi da mischia significative, limitandosi a pugnali e stiletti, cosa che li rende completamente inadatti al combattimento a corto raggio se non contro unità altrettanto leggere, tuttavia l'arma principale è l'arco lungo, dotazione universale per tutti i reparti appiedati, e l'arco ricurvo per quelli a cavallo. Talvolta gli archi possono anche includere delle sottili lame sulla parte superiore e su quella inferiore per essere usati, in estrema ratio, come armi di difesa, ma il loro massimo potenziale lo esprimono attraverso le classiche salve. Una particolarità: le divisioni di arcieri dell'Ordine portano delle faretre modificate sul cui fondo viene applicato l'estratto altamente tossico di un muschio sotterraneo. Suddetto muschio, chiamato in lingua oscura Daur, sviluppa una potente tossina che applicata sulle punte delle frecce avvelena i nemici colpiti mietendo ben più vittime di quelle che farebbe la sola salva. Questa pratica, mutuata ovviamente dagli antichi reami oscuri, è rimasta in vigore e praticata con dovizia di particolari dalle nuove generazioni, sempre pronte a ottimizzare il processo di lavorazione del veleno per armare più soldati e infliggere più perdite ai nemici. Gli arcieri a cavallo, invece, sfruttano semplicemente l'ausilio dei loro destrieri per attuare schermaglie contro il nemico, evitando ingaggi diretti, e attaccano usando colpi mirati anziché grandi salve, preferendo la precisione al volume di fuoco. I loro reggimenti sono guidati da Cavalieri o Paladini e tendono ad essere impiegati per ammorbidire il nemico prima dell'arrivo delle fanterie per lo scontro frontale. Sono, inoltre, eccellenti quando posti dietro le mura di una città per martoriare il nemico in avvicinamento.

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Cavalieri della Rosa
I Cavalieri della Rosa sono considerati l'élite assoluta dell'esercito, nonché i più esperti combattenti dell'Ordine. A loro vengono fornite le migliori armi, le migliori corazze ed ogni amenità di cui possano avere bisogno per scendere in campo al massimo delle loro forza che, quando dispiegata correttamente, è in grado di sbaragliare quasi ogni avversario travolgendolo come un fiume in piena. I destrieri, allevati nelle gigantesche praterie del nord, sono stalloni e giumente riprodotti appositamente per la guerra ed addestrati al conflitto fin dalla tenerissima età, diventando in breve tutt'uno con il loro cavaliere e formando un sol corpo ed una sola mente che agiscono all'unisono. Per ambire ad un posto in cavalleria è necessario dimostrare non solo incrollabile fede e devozione, ma anche talento e competenza senza eguali, tanto che solo i migliori paladini spesso riescono a guadagnarsi un simile privilegio. Ogni cavaliere barda il suo destriero con i colori che più lo rappresentano, da quelli più vistosi a quelli più pacati, con l'unico obbligo d'indossare il mantello porpora, che contraddistingue l'esercito, sulla spalla sinistra. Le corazze dei cavalieri ricordano quelle dei fanti, così come la corazzature dei destrieri, laminate e seghettate per lacerare chiunque abbia la sciagura di trovarsi sulla loro direttrice. La stragrande maggioranza dei cavalieri sono di sesso femminile e questo è dovuto primariamente alla ferocia, insita nella stirpe, che le donne drow hanno sempre avuto nei millenni precedenti alla formazione dell'ordine, nell'era dei matriarcati. Alcune cavallerizze sono particolarmente violente e feroci in battaglia e si fanno chiamare Sorelle del Crepuscolo. Le loro armature sono forgiate in modo tale da avere una sfumatura viola sul metallo, mentre piumaggi e pennacchi sono tutti neri come la pece, così come le bardature, cosa che ne denota subito il distacco dal resto dei reggimenti. Sono agli ordini di un Gran Paladino ed il loro impiego primario è quello, presto detto, di caricare il nemico e aprirvi un varco per permettere alle fanterie di aggredire il cuore dello schieramento.
 
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