Figure di Spicco
- Comandanti e Signori dell'Ordine -
Isilwen Remelien, Gran Maestra dell'Ordine
Salita al potere oramai sessanta anni fa Isilwen Remelien della stirpe di Casaldur è attualmente la più giovane delle Gran Maestre avute dall'ordine, assisa al seggio massimo a soli quarant'anni dopo la prematura dipartita della madre A'darra nella Seconda Crociata, si è da sempre dimostrata una condottiera tutt'altro che inesperta nonostante la giovane età, sapendo guidare il suo popolo verso una lunga era di prosperità e crescita, nonché alla nuova apertura verso il mondo esterno ed i sopravvissuti di Ea. Nonostante uno dei suoi nonni fosse un elfo tutto quello che rimane della sua genealogia mista è il nome ed un bizzarro colorito ceruleo dell'incarnato; molto bella, seppur non faccia vanto di questo dono, spicca per un particolare che non può passare inosservato nemmeno ad un'occhiata superficiale: l'occhio sinistro, infatti, sembra più un grosso zaffiro che non un vero organo. La pelle tutt'intorno all'occhio, inoltre, è rigata in maniera inquietante da profonde venature violacee che contrastano particolarmente con la pelle, creando l'illusione che dal bulbo oculare si diramino lunghe e sottili appendici venose. Nessuno conosce esattamente come la Gran Maestra si sia fatta una simile ferita, ammesso e non concesso che di questo si tratti, dato che sembra vederci benissimo, ma alcuni hanno provato a dare qualche spiegazione, seppur priva di fonti. La più accreditata e che quella ferita sia il risultato di uno scontro feroce con qualche bestia maligna, la cui magia infausta ha colpito la Gran Maestra lasciandola permanentemente sfregiata. Quale che sia la verità, comunque, è un segreto ben custodito che probabilmente conosce solamente lei stessa. Per quanto riguarda il suo passato è fatto praticamente noto a tutti: cresciuta come sacerdotessa della Rosa, tra preghiere e sermoni, è divenuta una fervente sostenitrice delle opere di conversione, dell'importanza del dialogo interreligioso e del rispetto dell'ordine costituito. Molto attenta a non recare mai offese ai suoi interlocutori, e pronta a scusarsi in caso di bisogno, appare a molti suoi sottoposti come un'elfa dall'animo sensibile e delicato, da preservare in ogni maniera. Nonostante questa apparente "debolezza", ed il ruolo non militare delle sue mansioni, Isilwen ha più volte dimostrato grande coraggio e sprezzo del pericolo, meritandosi a pieno titolo il suo ruolo ed il rispetto di coloro che ne seguono il cammino. Innovatrice, appassionata di antropologia storica riguardo le civiltà del mondo Prima della Fine, passa il tempo ad occuparsi di dirimere i dubbi dei fedeli ed amministrare lo stato. Chiunque, in qualsiasi momento, sa di poter ricevere un buon consiglio da lei. Curiosità: il suo primo ritratto ufficiale, oggi appeso nella sala capitolare di Galvron, è stato fatto per il suo centesimo compleanno, nel 4298, dacché prima ha sempre rifiutato di farsi ritrarre preferendo spendere il suo tempo in maniera più attiva.
«Credo sia dovere di ogni creatura dotata di libero arbitrio in questo mondo scendere a compromessi. Non sempre è possibile e non sono così ingenua da pensare che una simile idea si applichi ad ogni argomento ma, ecco, talvolta l'arma più potente che abbiamo è la parola, non la spada. Una parola detta - o non detta - al momento giusto può far rialzare un soldato esausto, sanare un male che corrode l'anima e persino cambiare le sorti del mondo per come lo conosciamo.»
Miriam d'Ishitara, Cavalier Comandante del Grifone
Giovanissima, appena trent'enne, Miriam d'Ishitara è una discendente diretta di Bertram, il compianto eroe, e come tale porta sulle sue spalle il peso di un simile retaggio. Sin dalla sua nascita tutti si aspettavano grandi cose da lei, quasi fosse predestinata a seguire le orme dell'antenato, e mai una singola volta ha disatteso le aspettative. Mezz'elfa da parte di madre, dai capelli castano chiaro e dagli occhi cerulei, sembra più adatta a fare la dama di compagnia che non la guerriera, ma il suo portamento ed il modo di fare rivelano la una natura da campionessa. Ferma nelle sue convinzioni, estremamente coraggiosa e devota sino all'orlo del fanatismo - anche per i canoni dell'Ordine - Miriam si è distinta più e più volte per intelligenza e visione tattica, rivelandosi una provetta stratega capace di ottenere risultati concreti anche senza la forza bruta. In particolare è degno di nota come sia stata allevata a cavallo di due mondi, quello umano e quello elfico, che in lei convivono in maniera quasi perfetta. Poliglotta, dato che riesce a parlare fluentemente elfico, lingua oscura e nanico, oltre che il comune, pare avere un'energia praticamente infinita, sempre pronta all'azione e a rispondere alla chiamata del Dovere. Il suo casato, il cui nome originario non era "d'Ishitara" ma che non è pervenuto alle cronache, discende da una nobilissima famiglia del prospero golfo della Bastiglia, dispersa nel settentrione di Ea durante una delle ultime grandi crociate. Questo retaggio, pur essendo Calas lontana mesi e mesi di viaggio dalla costa più vicina, ha fatto sì che all'interno del casato si mantenesse un certo livello di erudizione, seppure teorica, sul funzionamento di navi ed imbarcari di ogni tipo. In particolare la leggenda secondo cui l'antico Regno di Ishitara potesse avvalersi di truppe di fanteria anfibie ha permesso a Miriam di essere la prima a iniziare un lavoro di addestramento selettivo per il combattimento in pantani, fiumi e acquitrini, rendendo sempre più agevole il dispiegamento dell'esercito in zone con presenza idrologica significativa. Pur provenendo da una famiglia in vista, che ha contato Gran Paladini e Castellani, non ha avuto vita facile e ha dovuto fare la gavetta come tutti: ha servito dapprima come scudiera di Thyros Dardargento, ed in seguito ha abbandonato l'idea di diventare una burocrate unendosi invece al Capitolo del Grifone. La sua nomina a Cavalier Comandante è derivata da un caso specifico avvenuto nel 4294, quando riuscì a salvare un gruppo di coloni nei pressi dei confini settentrionali di Morgai da una banda di predoni, affrontandoli con forze drasticamente inferiori per qualità e numeri. Non solo la strategia e la tattica, ma anche il valore militare dimostrato in quell'occasione, le valsero il rispetto di tutta la corte e dei suoi futuri soldati. Riflessiva, ma determinata, è una mezz'elfa che trasuda nobiltà di spada da ogni gesto, con la capacità di ammaliare per la sua semplicità e di ispirare con la sconfinata fede. È una vera credente, incapace quasi fino allo stremo di mettere in dubbio il Credo, e rispetta i Comandamenti quasi alla lettera, anche se si è dimostrata più di una volta relativamente tollerante con i miscredenti. L'impulsività e le teste calde la indispongono in maniera quasi intollerabile, dato che per lei la pianificazione e la capacità di analizzare rapidamente e lucidamente le situazioni è fondamentale per vincere un conflitto. Nondimeno è comunque una discreta combattente, eccellente in special modo con spada e scudo, le sue armi predilette.
«Noi non scendiamo in battaglia per morire. Certo il nostro compito è difficile, il martirio preventivato, ma non per questo getteremo le nostre vite nel fuoco senza ragione o raziocinio. Per me una, mille o un milione di vite valgono sempre, in ogni caso ed in ogni istanza. Talvolta non ci è dato tenerci la nostra, di vita, né preservare quella degli altri, eppure non dovremmo mai smettere di perseverare nel tutelare l'esistenza in quanto tale. Ne va della nostra anima.»
Nasmi delle Nere Fronde, Inquisitrice
Nasmi è una delle pochissime elfe oscure di sangue puro ancora in circolazione e, a onor del vero, è anche una delle persone più longeve dell'Ordine, dato che era già adulta al tempo in cui Ea vide l'agonia dei giorni bui discendere su di lei. Contrariamente a molte altre sue colleghe, fu una delle prime a voltare le spalle a Llorath una volta compreso che ella non sarebbe mai giunta a salvarle, donandosi completamente al culto della Rosa d'Oro e combattendo ferocemente contro la sua vecchia matrona per liberarsi di quelli che ai suoi occhi erano solo vetusti e oramai inutili orpelli religiosi. La sua devozione è senza pari, a dispetto di quello che potrebbe trasparire dal cinismo - e spesso dalla crudezza - delle sue parole: grazie alla sua esperienza come arcanista e alla forza di volontà tutt'altro che indifferente, si è guadagnata di diritto un posto nell'Inquisizione, portando il suo fuoco purificatore dove necessario e senza porsi eccessive domande. Inutile tuttavia negare che la sua indole oscura e maligna è permasta anche col il cambio di paradigma del suo agire ed è per lei un piccolo piacere proibito punire, giustiziare e torturare coloro che contravvengono al volere della Rosa. Notevole è il fatto che sin da giovanissima abbia sempre dimostrato una peculiare affinità per l'elemento del fuoco cosa strana visto e considerato che l'oscurità, il freddo e la necromanzia erano arti ben più praticate e studiate nella sua famiglia. Feroce tanto con la lingua quanto con gli incantesimi, è qualcuno con cui non bisogna avere l'avventatezza - o la follia - di scherzare troppo incautamente. Si racconta che quei pochi disgraziati che hanno osato contravvenirla in modo anche bonario siano stati grandemente redarguiti in modi e tempi debiti. Inaspettatamente.
«Ci sono molti segreti a questo mondo. E a me i segreti piacciono davvero, davvero molto. E la cosa più sbagliata che si possa fare è cercare di tenermi fuori dalla testa per tenersi i propri pensieri intatti... ci sono molti modi e molte maniere per entrare lì dentro, alcune delle quali, e lo scoprirai, si possono ascoltare una sola volta.»
Thyros Dardargenteo, Cavaliere dell'Ordine
A prima vista Thyros potrebbe sembrare un cavaliere come tutti gli altri, sempre agghindato con le insegne dell'Ordine e racchiuso nella sua armatura scintillante, anche nelle occasioni più informali. Eppure la sua è una storia tra le più complicate all'interno dell'Ordine, una di quelle il cui finale, per quanto positivo, lascia sempre il giusto dubbio sul fatto che "si potessero fare le cose in altra maniera". Nato dalla matrona Yvonne e destinato ad una vita di secondo piano a causa del suo sesso, è il figlio terzogenito, nato dopo un parto travagliato e - a detta degli annali - particolarmente sofferente. Considerato maledetto dalla madre, era stato allontano e mandato nelle regioni periferiche di Calas ad occuparsi degli schiavi tenuti in loco a lavorare il terreno. Un lavoro a dir poco umile e infimo per chi sentiva, almeno in parte, di essere destinato a qualcosa di più. Non voleva ambire al posto della madre, invero, trovando le posizioni apicali più uno sgradevole impiccio che non una materiale utilità, ma l'essere stato relegato a compiti di noiosa e sterile burocrazia l'aveva tediato e indispettito a tal punto che, una volta arrivato il momento di scegliere da che parte stare, non ebbe dubbio alcuno e si convertì immediatamente distruggendo quel sistema atroce che lo aveva spinto ai confini della sua stessa società. Qualche indiscrezione vuole che sia stato lui stesso ad uccidere le sorelle, rimaste fedeli alla madre, dopo la fine del conflitto e che quello stesso gesto di fedeltà assoluta gli sia valso, anni dopo, la nomina a Cavaliere. Tuttavia non ci sono fonti certe su questo particolare e Thyros è sempre stato eccezionalmente ermetico sulle vicende passate preferendo indugiare sul futuro anziché su quello che è stato. Ha cambiato cognome dopo la guerra civile, adottando quello del padre per lasciarsi definitamente alle spalle il suo retaggio. Pur avendo un atteggiamento quasi sempre cordiale, è pur sempre un elfo che ha vissuto per anni nella tirannide e conosce perfettamente i modi e le maniere in cui gestire chi, per un motivo o l'altro, stenta a fare il proprio lavoro. Autorevole, talvolta autoritario, ha la fama di portare a compimento i propri doveri senza indugio e di esigere tanto da se stesso quanto dagli altri il massimo, ogni singola volta. L'esperienza come schiavista, per ironico che sia, lo ha profondamente erudito su come gestire le risorse umane disponibili, ovviamente in modi e maniere meno brutali di quanto riservato alla schiavitù, ma non certo meno efficaci. Chi ha avuto modo di lavorare con lui ne parla con rispetto, anche se con un velo di ritrosia dovuto alla puntigliosità e al perfezionismo che lo contraddistinguono. Preferisce serbare per sé i suoi pensieri ma quando si esprime lo fa sempre con dovizia di particolari, badando ben poco alle formalità e preoccupandosi di essere inteso in maniera ineccepibile. Poche cose lo fanno infuriare, anche se nessuno l'ha mai visto perdere le staffe, come la negligenza e la mancanza di ordine e puntualità. Ha fatto ammenda per il suo passato da schiavista ripartendo dal fondo della società e scalando di nuovo i ranghi nel corso di quasi tre secoli: ad oggi nessuno dei suoi ex schiavi è più in vita, ma lui non lesina di raccontare la sua storia a chiunque la chieda, mostrando con un certo orgoglio com'è riuscito a cambiare. Che poi tra l'essere un burocrate esigente e perfezionista ed un negriero intercorra quasi solo la semantica è un altro discorso.
«Prima che la Rosa mi aprisse gli occhi ero un elfo diverso. Ho ucciso, violentato, posto ceppi e tagliato teste al pari di un boia qualsiasi. Ma come ogni cosa anche in quel periodo buio, dove credevo in un dogma che oggi non mi appartiene, sono riuscito a ricavare qualcosa di buono, un distillato di conoscenza e praticità che mi aiuta ancora oggi, trecento anni dopo. Bisogna essere competenti, dopotutto, per sapere dopo quanto la schiena di qualcuno si spezza in due sotto al peso delle pietre.»
Claudia d'Ambrose, Paladina di Eol
Spiegare il passato e la vita di Claudia d'Ambrose è tanto semplice quanto peculiare, almeno per i canoni degli altri appartenenti alla Rosa. Ella infatti, fa parte di quella nuova generazione di uomini ed elfi nati sotto alla luce del cielo e non tra le scure aule dell'antica metropoli. Bellissima, dagli occhi azzurri e dai capelli paglierini, si è fin dall'infanzia dimostrata eccezionalmente affabile, amichevole e soprattutto incredibilmente portata per gli affari, anche in un "mondo" che sembra aver ripudiato in toto il concetto di commercio. Suo padre, il Cavalier d'Ambrose, discende inoltre da una linea di sangue molto antica, al punto da fregiarsi, almeno a parole d'essere il capostipite di una grande famiglia un tempo risiedente nella capitale del reame di Konrad il Grande. Questa consapevolezza, ed un certo desiderio di dimostrarsi degna di un nome tanto importante, hanno spinto Claudia a farsi erudire in modo quasi spasmodico dagli sparuti nani dell'Ordine sulle arti dello scambio: per lei ci sono poche cose che riguardano la materia mercantile che nascondono ancora dei segreti, sempre pronta a negoziare fino all'ultimo centesimo pur di averla vinta, ma mai abbastanza da perdere un buon affare. Al di fuori del suo lavoro è comunque una persona molto riservata, socievole ma non espansiva, che sa mantenere un basso profilo quando necessario e mettersi in risalto quando doveroso. Qualcuno, almeno tra i più conservatori, vede la sua generazione - e soprattutto lei, arrivata a meritare il titolo di Paladina - come un cambiamento a volte gradito e a volte pesante, come se non sapessero bene come valutare questa grande apertura verso l'esterno foraggiata dal Capitolo di Eol. In ogni caso Claudia gode di notevolissimo rispetto, specialmente agli occhi di Isilwen e di Borri Manonera, che l'ha definita più volte "una mezza nana" a dispetto dell'altezza considerevole della donna. Pur essendo una mercante è anche straordinariamente caritatevole e di suo non ha guadagnato granché dall'inizio del suo lavoro: pur non avendo fatto alcun voto di povertà, infatti, quasi tutto il ricavato personale delle vendite e dello stipendio finisce in opere di bene o di pubblica utilità. A lei si deve la costruzione di un orfanotrofio addossato alla Cattedrale della Rosa, a Galvorn, in cui si reca spesso per portare doni ai pargoli. Tanto feroce negli affari quanto tenera nel privato, Claudia d'Ambrose è il perfetto esempio di come lavoro e vita possano, e talvolta debbano, essere elementi ben separati.
«C'è più oro di quanto sia umanamente utile, su Ea, e se anche talvolta pensiamo che non ci serva o che sia meglio semplicemente tenersene lontani, poiché esso corrompe tanto quanto il potere, per come la vedo io si tratta di una scelta semplice: usare quel metallo per qualcosa di grande o lasciarlo giacere chissà dove, senza che sia utile a nessuno. Una bottega vuota a fine serata ed un borsellino pieno di monete tintinnanti possono fare la gioia dell'anima pia.»
Borri Manonera, Castellano
Se la pietra avesse un volto e potesse parlare, avrebbe le fattezze di Borri Manonera e si esprimerebbe con la sua voce bassa e profonda. Questo perché lui, come ama definirsi, non è un semplice architetto, non è un geniere e nemmeno uno scalpellino, ma un vero e proprio artista della roccia. Il suo clan, i Manonera, erano schiavi degli elfi oscuri prima dei Giorni della Fine e liberati dopo il conflitto interno hanno preso a divenire parte integrante del corpus militare e burocratico dell'Ordine. Borri, nella fattispecie, era solo un infante quando è stato tratto in salvo e da allora non ha fatto altro che studiare e documentarsi, finendo - allo scoccare dei duecentocinquanta anni - per divenire una vera autorità in fatto di fortificazioni ed edilizia. Si devono a lui le nuove cinte murarie che proteggono Galvorn, come a lui si devono i miglioramenti e le messe in sicurezza di alcune vecchie gallerie sotto la cittadina. Non si è però distinto solo in quanto studioso e matematico, ma anche come combattente: nella Prima Crociata ha dato sfoggio di sé lottando in prima linea fianco a fianco alla Gran Maestra, riuscendo a prevalere contro nemici ben più grandi e possente sfruttando astuzia e virtuosismo. Di indole pacata, quieta e mite - pur mostrandosi arcigno ed imbronciato - riuscirebbe a mettere a suo agio chiunque con il suo parlare flemmatico e tranquillo. Anche se è un vero e proprio maestro continua a considerarsi un mero amatore alle prime armi, ammantandosi di un'umiltà quasi surreale dati i successi finora ottenuti; è inoltre un grande devoto ed ha personalmente supervisionato la costruzione e la realizzazione di molte opere scultoree dedicate alla Rosa. La statua di Arilma sita sulla sommità di Galvorn è opera sua.
«Ascolta la pietra, lascia che ti guidi. Le più grandi creazioni concepiti da mente mortale non sono frutto di forzature, di brutalizzazioni del materiale, ma di un vero e proprio concerto. Io non sono un grande musico, ma posso dirti che costruire è come suonare: va fatto con costanza, ritmicità, senza forzare una nota ad uscire a tutti i costi. E lo stesso chiedere la roccia; d'essere modellata nei modi e nelle maniere che le si confanno, e nulla più.»