Nel nome di Dio (Report Seconda Crociata)

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Fantacalciaro
A.D. 1145 o 539 dall'Egira secondo il calendario islamico.

Partite dall'Apulia in territorio normanno, le navi della flotta crociata fanno rotta verso Aleppo. I viaggi di trasbordo, pero', si dimostrarono assai perigliosi quando nell'ultima passaggio nel Mediterraneo di truppe una nave di scorta lancia l'allarme: pirati in vista. Immediatamente le navi non impegnate nel trasporto delle truppe si ergono generosamente a difesa della flotta tutta.

"Mori! Pirati mori!" urlò la vedetta al capitano della sua nave. "Dannazione! Così presto?" si chiese il capitano guardandosi in giro, il tempo, in più, stava diventando nuvoloso e una tempesta sembrava essere nell'aria. "Non ci voleva! Tu, prendi gli arcieri e mettetevi in posizione" disse indicando uno dei suoi sottoposti "Tu, segnala alle altri navi che pirati, probabilmente Ziridi, ci attaccheranno", il capitano continuò ancora per un paio di minuti a dare ordini mentre si preparava all'arrivo dei pirati. Quando i pirati giunsero, fu chiaro a tutti che non avrebbero dato eccessivi problemi, ad occhio non erano più di dieci navi ma il capitano sapeva benissimo che non erano da sottovalutare, anche solo perdere mille uomini nell'esercito avrebbe significato avere più difficoltà una volta in Terra Santa.

La battaglia che ne seguì fu truce, i pirati ziridi dimostrarono una grandissima abilità e il fatto che il doge veneziano non avesse dato ordini precisi alla sua flotta fece il resto creando una gran confusione in tutta la flotta crociata. Fu così che mentre la maggior parte delle navi ziridi impegnavano in combattimenti navali la gran parte della scorta della flotta, allontanandola dal resto delle navi, un paio di navi ziridi si gettarono a mo' di sucidio preventivato contro alcune navi che portavano contingenti crociati. Queste, cariche e assai lente in confronto alle veloci navi dei loro avversari, ebbero la peggio affondando con il carico di uomini che avrebbero dovuto portare ad Aleppo. Duemila miliziani e mille nobilissimi cavalieri di Asti caddero, ancor prima di arrivare in Terra Santa. Tra di loro a morire annegato fu anche Gonario, fratello del giudice di Cagliari, che si trovava su una di quelle navi che per mala sorte affondarono. Raggiunto questo risultato la flotta ziride si ritirò, forte della sua maggior velocità, le due navi responsabili della caduta di Gonario e dei tremila soldati, pero', vennero rapidamente affondante nel dolore per la perdita di così tante vite umane dedite alla giusta causa della liberazione della Terra Santa. Dopo questo accadimento il viaggio proseguì senza particolari intoppi, se non che il fosco presagio delle tre navi affondate occupasse gran parte dei pensieri dei soldati e dei comandanti.

A Settembre del 1145 il trasbordo delle truppe terminò. Centododicimila soldati che portavano la croce incontrarono gli eserciti degli stati crociati che volenterosi si unirono alla battaglia.

"Io, Baldovino, re di Gerusalemme per volontà di Dio metto i miei uomini nelle mani di Corrado, fulgido Imperatore dei Romani, io stesso vi seguirò nella pugna!"

A parlare era stato quello che, se non fosse stata per l'armatura, sarebbe sembrato uno dei tanti ragazzini che si potevano vedere in giro per vicoli a fare scherzi o rubacchiare ai mercati. Accanto a lui stava Melisenda, la regina-tutrice madre di Baldovino, era vestita con una strana commistione di abiti di fattura occidentale ma con un'estetica che virava decisamente verso l'orientale. La cosa aveva un po' stupito l'esercito crociato, poichè mai una regina cristiana doveva vestirsi come la peggiore delle concubine del califfo? La domanda, pero', rimase solo formulata nella mente dei più. Poco dopo anche Raimondo di Tripoli e Raimondo di Poieters, il primo conte di Tripoli e il secondo Principe d'Antiochia, fecero una dichiarazione analoga a quella del loro re mettendo nelle mani dei crociati le loro truppe.


Consapevoli che fosse auspicabile non perdere tempo Corrado III diede immediatamente l'ordine di partire verso Edessa per riconquistare quello che in modo non legittimo era stato occupato dalle armate degli sporchi turchi del comandante Zengi. Arrivati nei pressi della citta di Turbessel, situata poche decine di chilometri dopo il confine tra il principato di Antiochia e il territorio ora islamico di Edessa, l'esercito crociato fece campo. La cittadina, una vera e propria fortezza cristiana, era ancora abitata per la maggior parte da crociati latini, bizantini e armeni di rito ortodosso, gli Zengidi non erano ancora riusciti a conquistarla mettendo al sicuro i confini della loro nuova regione. Per questo fu decisa come zona sufficientemente sicura dove fermarsi per far riposare le stanche membra dell'esercito.

"Sua Maestà l'Imperatore Corrado, terzo del suo nome, ordina che si faccia campo nei pressi della città di Turbessel affinchè tutti possano riposare e godere di un'ultima notte di tranquillità!"

Queste erano le parole dei banditori che, tromba in mano, passavano tutto l'esercito crociata portando la notizia. Quando essa giunse al Re di Francia Luigi, egli si rabbuiò un poco sapendo benissimo che il giorno dopo una grande prova gli sarebbe aspettata.

"Io, ventiduemila dei miei, ad assediare Edessa. Ne sarò degno?" chiese alla moglie Eleonora una volta che il campo fu pronto e tutti i regnanti si ritrovarono nelle loro tende.
"Smettila di essere così infantile, sei il re dei Francesi! Vuoi che i tuoi uomini sentino i tuoi dubbi e domani scappino di fronte alle mura di Edessa?" rispose sprezzante la moglie.
Luigi non rispose, sospirò e chiamo un servo affinchè gli venissero pulite le armi.

"Deus Vult! Non dimenticarlo mai, non voglio che il nome della mia famiglia sia inquinato da un tuo fallimento" disse ad un tratto Eleonora mentre squadrava da capo a piedi suo marito poco prima di coricarsi senza alcun saluto come sarebbe convenuto ad una brava moglie rispettosa del proprio marito. In altre occasioni un re non si sarebbe mai fatto mettere sotto dalla moglie ma Luigi era in una situazione difficile, sua moglie era tutto meno che accondiscendente nei suoi confronti, lo aveva convinto a partire e portare una sua armata in Terra Santa e, ne era sicuro, un fallimento avrebbe significato il divorzio, non era difficile far falsificare ad un vescovo i documenti matrimoniali dimostrando qualche "impedimenta" alle nozze. E il divorzio significava solo una cosa: perdere le terre che Eleonora gli aveva portato in dote. Mentre Luigi era perso in questi pensieri e già sua moglie dormiva un servo entrò nella tenda concitato.

"Mio signore! Mio signore.." il viso del servo era rigato di lacrime.
"Cosa succede?" rispose Luigi sistemandosi una ciocca di capelli ribelle.
"L'impera..l'imperatore..." balbettò l'uomo.
"L'imperatore cosa? Parla! Subito!" ordinò il re.
"E' stato rapito... ecco...rapito..."

Impossibile sarà, per qualsiasi scrittore che voglia cimentarsi nella narrazione di questi eventi, poter descrivere il viso che Luigi assunse alla notizia. Vi basti sapere che immediatamente ebbe l'ardore di svegliare la sua iraconda moglie e, accompagnato dalla sua scorta, si diresse immediatamente verso la tenda dove, secondo quel servo, Corrado III era stato rapito


Qualche ora prima, nella tenda di Corrado III.

"Manda questo a re Luigi, mi raccomando è una missiva di primaria importanza"

Corrado finì di imprimere alla lettera il suo sigillo e la diede ad un suo servo. Mille pensieri gli correvano in testi, alcuni buoni, altri cattivi, con l'unico risultato che finivano per scontrarsi dandogli solamente un gran mal di testa. Sospirò, mentre seduto a quello che era stato rinonimato "il tavolo strategico" osservava una mappa del territorio fornitagli da Joscelin, precedente Conte di Edessa ora spodestato. Un refolo di vento gli accarezzò la nuca.

"Quando Heinrich imparerà a chiudere la tenda sarà un gran giorno per tutta l'Europa" sbuffò mentre chiudeva lo spiraglio. Solitamente Corrado era così abituato, e certo, alla presenza di due guardie fuori dalla sua tenda che mai il suo occhio si soffermava su quel particolare. Quella notte, pero', sporse la testa dalla tenda e ciò che vide non gli piacque per nulla. Jan, un giovane soldato della sua scorta di origine polacca, e Franz giacevano a terra con la gola tagliata. Tutto intorno il campo dormiva e nessuno era in giro.

"Ma cosa?"
"Che la pace sia con te, mio Imperatore."

Quella voce araba che gli parlava in tedesco, poi una gran botta e il buio sopra di lui. Queste furono le ultime cose che Corrado sentì prima di cadere a terra svenuto.


La notte stessa e il giorno dopo furono momenti difficili per l'esercito crociato. Corrado III era stato rapito e le divisioni tra i crociati rischiavano di far fallire la missione ancor prima di poterla iniziare. Un improvvisato concilio decise che a prendere il posto di Corrado doveva essere un regnante europo con il prestigio necessario a comandare gli uomini. Luigi rifiutò tale onore dal momento che, nonostante la scomparsa di Corrado, la strategia dell'esercito crociata rimaneva, e lui avrebbe dovuto attaccare Edessa alla testa del suo solo esercito. Gli unici altri due candidati erano Alfonso VII, re di Castiglia, e Ruggero II d'Altavilla re di Sicilia. Dal momento che che re Alfonso era a capo di un maggior numero di soldati alla fine fu lui a prevalere divenendo comandante unico dell'esercito Crociato.

Senza perdere più tempo Alfonso mise in marcia l'esercito di buon ora. Dopo aver marciato per mezza giornata arrivò il momento in cui Luigi VII e il suo esercito si staccarono dal grosso dell'esercito. Lui sarebbe stato impegnato nell'assedio mentre Alfonso avrebbe guidato tutte le altre truppe alla conquista delle zone più periferiche della regione.

"Vaja con Dios, re Luigi. Ci reincontreremo ad Edessa, mentre banchetteremo sui cadaveri degli infedeli!" esclamò Alfonso mentre salutava il re di Francia. Proprio mentre Luigi stava per controbattere al re di Castiglia un piccolo gruppo di cavalieri mandati in avanscoperta arrivò di fretta.

"Mio signore" dissero rivolti a re Alfonso "Gli Infedeli! Sono già qui!"
"Mierda! Preparate le armi, combatteremo prima del previsto a quanto pare!"


Lontano da lì, sia nello spazio che nel tempo, gli eserciti musulmani avevano deciso di comune accordo di unirsi sotto il comando di Zengi e Nor-ad-Din, suo figlio, in modo da poter immediatamente intervenire nel caso i crociati avessero occupato il suolo dell'Emirato Zengide. Forti di più di centocinquantamila uomini gli eserciti musulmani congiunsero quindi immediatamente nei pressi di Edessa dove trovarono in breve l'esercito crociato.

"Allah ci guida verso la giusta vittoria!" esclamò Zengi a suo figlio "Osserva la Sua volontà mentre raduniamo questo possente esercito. Allah è grande e Muhammad è il suo profeta, andiamo!"

Dietro di loro uno dei più grossi eserciti che la Terra Santa avesse mai visto cominciò a marciare ordinato.


Lo scontro, a questo punto, era del tutto inevitabile. I due eserciti marciavano uno contro l'altro, i crociati ormai anche loro uniti, fino a quando nella piana di Harran si incontrarono.

"Porta messaggio al re degli infedeli! Se avessero la buona creanza, Allah volendo, di arrendersi giuriamo di essere misericordiosi con loro e con le città latine della Terra Santa, in nome della protezione che il Corano accorda ai Popoli del libro."

Il messaggio di Zengi fu portato al campo dei cristiani dove, pero', ebbe ben poca fortuna. Ovviamente l'esercito crociato rifiutò la resa. Il 5 Ottobre del 1145 la battaglia della piana di Harran, dove già anni prima un'altra sanguinosa battaglia era stata combattuta, ebbe luogo.

Per i cronachisti al seguito dei due eserciti fu difficile poter scrivere un qualcosa di senso compiuto circa lo scontro. Due eserciti enormi si scontrarono e il caos fu padrone di quel lembo di terra dove il sangue scorreva copioso e migliaia di vite venivano spezzate in nome delle rispettive religioni. Solo dopo quattro ore di battaglia il risultato fu chiaro agli occhi di tutti, sia che fossero re che nobili cavalieri.

"RITIRATA! RITIRATA!"

fu l'ordine che si sparse per tutto l'esercito crociato.

"Che siate maledetti!" urlò più a se stesso che effettivamente ai suoi nemici Alfonso. Era ricoperto di sangue, la sua spada intrisa di materia cerebrale e altri parti organiche.

"Mio signore, dobbiamo andarcene immediatamente!" a parlare era stato Boleslao, figlio del Gran Duca di Polonia.
"Il polacco ha ragione, la battaglia è persa dobbiamo riparare in una zona più sicura!" disse Ruggero d'Altavilla.

Alfonso meditò qualche secondo sulla cosa, poi dovette arrendersi all'evidenza: il suo esercito era in rotta e una vittoria era fuori discussione. Almeno per ora. "Andiamo allora, andiam.." non riuscì a finire la frase che davanti a loro apparve un gruppo di cavalieri turchi che li stava caricando. Il piccolo scontro che ne seguì fu qualcosa di epico, i tre nobili europei fecero valere le loro armi uccidendo tutti i turchi. Tuttavia, proprio mentre Alfonso stava trafiggendo uno di loro, alle sue spalle un turco si gettò contro di lui con un coltellaccio.

"NO!" urlò Boleslao mentre si poneva a metà strada tra il turco e il re di Castiglia. Il turco, ormai vittima di una furia cieca da battaglia, non si fermò e caricò il giovane principe polacco che, forse non aspettandosi una mossa così stupida dal suo nemico, rimase sbigottito. La lama del coltello penetrò nel suo petto.

"Gh..." bofonchiò Boleslao mentre con gli ultimi residui di forza tirò fuori la sua spada e con un colpo netto decapitò il turco. La vista cominciava già ad offuscarsi, lentamente sentiva che il suo corpo non rispondeva più, scivolò da cavallo e cadde a terra.

Alfonso si guardò in giro: nemici non ne erano rimasti, scese da cavallo rapidamente e si accostò a Boleslao. Rimase qualche secondo inginocchiato accanto al nobile polacco poi, rivolgendosi a Ruggero, greve disse: "E' morto.."


La successiva ritirata fu tragica, l'esercito, ferito nel morale per i numerosi colpi ricevuti sin dal loro imbarco, marciò per settimane fino a quando all'inizio di Dicembre del 1145 giunse nei pressi di Antiochia.
 
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