Mir - Мир

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IL PARTITO TI OSSERVA
Mir, che significa pace o mondo, è un giornale di geopolitica e politica estera russo con sede a Mosca in via Gazeetnyy fedele alla Federazione Russa. E' un giornale estremamente di nicchia ma l'elité delle due Russie da diversi anni non si perdono mai un numero.

Alcuni articoli del 2014:

"New York, Palazzo di vetro - l'aria è tesissima a New York, infatti tra 4 mesi l'assemblea generale sarà chiamata a rinnovare il consiglio di sicurezza. Il consiglio di sicurezza è formato da vari membri permanenti (ricordiamo che la nostra madrepatria si è autosospesa dalle sue funzioni) e da 10 membri non permanenti. Due membri per ogni "zona culturale" del mondo. [...] Ancora non si sono ben delineate le preferenze, ma probabilmente questa sarà la votazione più importante dai tempi della Guerra di Corea.

Secondo i nostri esperti in ogni caso l'Africa centrale e del Sud si coalizzerà per portare al Consiglio l'Angola e la Nigeria che permetteranno agli stati sud africani di continuare indisturbati la guerra dimenticata in Congo che più volte su queste pagine abbiamo denunciato. Sarà interessante vedere come si comporteranno i rappresentanti del Sudan interessati alla vittoria delle Corti Ismaliche in Somalia al contrario della maggior parte dei paesi africani. [...]

In Asia e medioriente si intravede la possibilità di un Iraq appoggiato da tutte le potenze occidentali e forse dal gigante regionale persiano [...]

In Europa occidentale si da per sicura la vittoria del Portogallo e della Germania appoggiati dalle forze del neocostituito Patto di Difesa [...]

Campi di battaglia diplomatici estremamente roventi saranno l'Europa orientale e l'America latina dove tutto è ancora da scrivere."
 

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Uno dei tantissimi articoli del 2015:

Quetta - la Rivoluzione ha superato i confini etnici arabi ed è arrivata anche qui in Asia. Oggi il Pakistan de facto non esiste più.

Con la caduta del Pakistan cade un problema che da ormai due secoli monopolizza l'area. Formalmente da oggi non esiste più la Linea Durand.

Questa, come i nostri lettori sicuramente sapranno, è la linea accordata tra Impero Britannico ed Afghanistan che delimita quest'ultimo dai suoi vicini orientali.

Con la caduta dell'Impero Indiano l'Afghanistan ha smesso di riconoscere come valido il confine. Per mezzo secolo quindi il confine tra Pakistan ed Afghanistan non è stato praticamente segnato.

La cosa assume un'importanza estremamente rilevante se si considera che la Linea attraversa e taglia in due i territori abitati dai Pashtun.

Questa etnia è la maggioranza in Afghanistan, il primo bacino di reclutamento per il movimento Talebano e forma buona parte della popolazione Pakistana.

E' chiaro che con lo stallo più totale nella guerra civile Afghana e con l'anarchia in Pakistan potrebbe venirsi a creare un nuovo stato che potrebbe aspirare a diventare un attore politico nella regione d'importanza elevata. Parliamo ovviamente del tanto declamato in passato Pashtunistan. Questo stato comprenderebbe buona metà del Pakistan e dell'Afghanistan, sarebbe ovviamente guidato da elementi Talebani e cosa più importante di tutti avrebbe accesso all'arsenale nucleare costruito dai Pakistani in passato.

La situazione in Asia centrale è assolutamente in bilico considerando che il Baluchistan ha dichiarato la propria indipendenza e potrebbe creare seri problemi all'Iran e che mentre scriviamo gruppi armati d'etnica Punjab preparano la loro indipendenza.

Siamo di fronte ad un grande bivio, da un lato c'è una guerra etnica probabilmente mille volte più sanguinosa di quella Jugoslava, dall'altra la possibilità di mettere da parte una volta per tutte i contrasti nella zona.
 

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Articolo del 2016:

Mosca - il vaso di Pandora delle secessioni è stato aperto. Situazioni che nemmeno due anni fa sembravano relativamente sotto controllo oggi diventano polveriere con dentro un bambino che gioca con dei fiammiferi.

Ci riferiamo ovviamente al Kurdistan, al Pashtunistan, al Waziristan, a Berberia ed alla Cecenia che recentemente sono riusciti (non sappiamo ancora per quanto) a raggiungere un primo abbozzo d'indipendenza.

Questa situazione ha incentivato decine di gruppi di indipendentisti in giro per il mondo a combattere più duramente.

Alcune delle situazioni più pericolose possiamo trovarle nelle filippine con il Movimento dei Mori del Mindanao, Cabinda, l'Ambazonia, Ktanga, Kivu, Bioko, Ogaden, Transinistria, Ossezia, Corsica, Sardegna, Aceh e tantissimi altri movimenti minori [...]
 

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Articolo del 2016:

Mosca - il comunicato del governo del Tajikistan non arriva inaspettato a chi ha seguito le vicende centro-asiatiche. Il governo di Dushanbe ha annunciato di riconoscere come legittimo il governo Afghano insediato ad Herat voltando le spalle a quello di Kabul insediato dagli americani.

Non è un caso, la zona di Herat e i territori che controlla sono infatti a maggioranza persiana, dove si parla la lingua Dari, una lingua praticamente identica a quel Farsi parlato in Iran e al Tajik parlato in Tajikistan.

Questo scenario è possibile solo oggi a causa della caduta del Pakistan in una situazione di caos estremo. Il Pakistan infatti appoggiava in modo ambiguo sia i Talibani d'etnica Pashtun per motivi prettamente etnici e ideologici e il governo di Kabul per amicizia con gli Stati Uniti.

Senza Islamabad queste due fazioni perdono i principali canali di rifornimento di armi e finanziamenti, mentre i persiani hanno ancora l'Iran e il Tajikistan a poterli proteggere.

Sarà da capire se il governo di Herat vuole dichiarare uno stato a parte o se vuole la sovranità sull'intero Afghanistan. A vedere la composizione del governo si direbbe di no (tutti i membri parlano Dari), ma in caso contrario vedremmo il riprendere delle ostilità dopo un periodo di relativa pace che dura dai primi del 2015.
 

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Articolo del 2016:

Tokyo - quando il canguro sfida il panda si rischia di trasformare un oceano in un teatro di guerra fredda che di Pacifico ha solo il nome. In meno di due anni si sono creati due blocchi contrapposti, la Sfera di Prosperità promossa dalla Cina Popolare e l'ASEAN voluta fortemente dall'Australia.

Entrambi i blocchi sembrano essere abbastanza saldi. Infatti sono frutto di politiche diplomatiche che durano da molti anni. I due giganti infatti cercano di creare un proprio "cortile di casa" nell'oceano sperando l'una si scalzare lo strapotere degli Stati Uniti, l'altra di trovare un proprio ruolo nella politica internazionale. [...]


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Articolo del 2016:

Tokyo - la Repubblica Popolare Cinese ha invaso da pochi giorni l'isola di Formosa. Pensiamo che sia ancora presto per trarre le conclusioni di questa vicenda ma abbiamo pensato di iniziare a gettare uno sguardo a quello che accade in questo momento nel Pacifico. La Repubblica Popolare Cinese (da ora RPC) ha dalla sua nascita una lunga serie di controversie sui propri confini nazionali. Questi problemi hanno portato a diversi scontri e guerre in particolar modo contro l'India, i cui confini sono stati designati in modo soddisfacente per entrambe le nazioni solamente il mese scorso dopo più di mezzo secolo.

Pechino e Nuova Delhi hanno incassato un bel successo con un accordo sul Kashmir e quello che i cinesi chiamano Tibet del sud. Pechino però conosce un momento di linea dura sulla propria storia. Nel 2015 il varo delle due grandi portaerei equiparabili alle famose classe Nimitz statunitensi, chiamate con i nomi dei due ammiragli che secondo una teoria storica hanno scoperto l'America nel 1300, ne è stato un segnale molto forte.

L'epoca della coesistenza pacifica è finita ma il mondo deve ancora accorgersene. La RPC vuole mostrare a tutto il mondo che in passato l'ha bistrattata, attaccata e infangata i grandi progressi che ha compiuto.

Nelle università cinesi gli studenti imparano quali sono i territori storici appartenuti al grandioso Impero Cinese, il loro sogno è vedere di nuovo quei territori sotto il controllo di Pechino. Un misto di uso strumentale della storia e ideologia rivoluzionaria sta prevalendo tra i giovani intellettuali cinesi ormai convinti dell'assoluta superiorità della loro nazione.

Il territorio principalmente rivendicato è ovviamente quello dell'isola di Taiwan, sede del governo della Repubblica Cinese formalmente impegnato in una guerra civile da più di cinquanta anni con il governo di Pechino. Negli ultimi anni sembrava che si potesse arrivare ad un accordo diplomatico tra le due parti. C'è stata però una rottura nel 2013 quando è stato eletto un governo nazionalista a Taiwan che è tornato a rivendicare l'intera Cina, la risposta di Pechino è stata durissima con un cambio di linee politica enorme.

Oltre Taiwan, il governo della RPC rivendica come propri la Mongolia (staccatasi dalla Cina nel 1911 con la caduta dell'Impero) e vuole assolutamente porre il proprio protettorato sul Vietnam, la Thailandia, Laos, Cambogia e sulla Corea. Il Vietnam è largamente influenzato dalla cultura cinese, inoltre è uno stato comunista ma è quello meno allineato alle posizioni di Pechino. Il senso nazionale Vietnamita è tutto fondato sulla retorica anticinese sviluppatasi nel tardo medioevo. Questi contrasti storici-culturali hanno portato negli anni 70 ad uno scontro militare breve ma molto intenso. Ovviamente vi sono anche questioni economiche molto importanti in ballo, infatti entrambe le nazioni rivendicano le isole Paracelso estremamente ricche del greggio, risorsa indispensabile per la Cina che vede gli Stati Uniti lottare per impedirgli di mettere mano su fonti stabili di petrolio e ad affidarsi al petrolio acquistato sul mercato a prezzo maggiorato [...]
 

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Articolo del 2018

La nuova decolonizzazione.

Durante gli anni 60 e 70 abbiamo assistito al fenomeno subito etichettato come "decolonizzazione". In Africa le potenze europee compreso che i costi materiali erano maggiori delle entrate in termini di prestigio, hanno (chi più chi meno) velocemente abbandonato il continente a se stesso.

Il vuoto è stato subito riempito dai maggiori attori sulla scena mondiale, Stati Uniti e Unione Sovietica che, con metodi e fini diversi hanno influenzato i nuovi stati africani. Basti pensare allo Zaire filo-USA e all'Angola comunista e subito si delinea un quadro molto chiaro.

Finita la Guerra Fredda e finita l'esperienza dell'URSS com'è cambiato il continente? In pochi anni gli Stati Uniti hanno abbandonato le loro roccaforti, ben più interessati alla partita che si stava svolgendo alle porte dell'ex nemico, Jugoslvia e Euopa orientale.

ilenziosamente sono arrivate due potenze (che qualcuno ancora si ostina a non riconoscere come tali) India e Cina.

Queste partivano avvantaggiate rispetto alle vecchie potenze europee o comunque occidentali per un fatto storico semplicissimo, non erano colonizzatori ma ex-colonizzati. Non importava quali metodi utilizzassero, la loro retorica anti-colonialismo funzionava perfettamente. Ma gli eventi di quest'ultimo anno ci hanno dimostrato che la potenza asiatica si reggeva su fondamenta d'argilla.

Com'è cambiato il quadro africano? L'Africa si è semplicemente ripresa l'Africa. Almeno sei piccole potenze hanno subito fatto proprie le spoglie di chi andava via.

Il Sudafrica si pone come uno dei principali candidati alla guida del sud del continente ma è incalzato ferocemente dall'Angola specialmente nell'arena che è la Namibia.

La Nigeria nonostante lo stop agli aiuti cinesi è una delle economie più avanzate dell'est ed assieme al Sudan una di quelle che fonda la propria potenza sul mercato del petrolio, sarà indubbiamente loro interesse fermare il progetto nord-europeo sulle energie rinnovabili in Africa.

Nel nord la situazione non è affatto semplice, la svolta islamica della Libia alleatasi con i jihadisti arabi pone in seria difficoltà la posizione di Egitto ed Algeria, due nazioni che da sempre soffrono il basso consenso interno dovuto alle loro politiche laicizzanti [...]
 

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Articolo del 2020

Mosca - la Russia di oggi a pochi anni dalla fine ufficiale della seconda guerra civile è tutt'altro che un paese pacificato. Come un moderno Kolchak, il fantomatico Segretario Generale della "Nuova URSS" Vasili Pushkin, sta nel suo bunker in Siberia circondato dai suoi fedelissimi compagni aspettando l'ora della battaglia.

Nostri informatori ci dicono che delira di masse che si solleveranno a causa della crisi economica, di marce operaie su Mosca, di cellule operanti nelle fabbriche. Come se la situazione non fosse quella del 2020 ma quella di cento anni fa.

Mentre la maggior parte del mondo ignora anche l'esistenza di questa auto-proclamata nuova Urss nelle campagne della Russia Europea si muovono i fedelissimi dell'ex presidente in esilio in Svizzera. Compiono attacchi contro le forze di sicurezza e razzie contro i contadini muovendosi negli ampi spazi Russi come fantasmi. Le forze armate di Mosca non sembrano colpirli ed agiscono indisturbati. Il numero dei loro attacchi è duplicato rispetto all'anno appena passato, complice il fatto che la democrazia per cui si battevano i soldati dell'Unione Russa non è mai arrivata. Quella che sembrava una lotta per la libertà e la legalità è diventata alla fine unicamente una lotta per la vittoria delle forze militari su quelle civili.

Al sud invece gli Osseti e gli Abkazi si sentono traditi da quella che consideravano la loro madre patria. Dopo due guerre sanguinosissime per la loro libertà la Russia li ha liquidati con una semplice firma su un foglio di carta pur di avere l'appoggio Georgiano. Non giungono notizie dal paese caucasico ma è sicuro che la loro situazione sia assolutamente insostenibile, al pari forse di un vero e proprio genocidio.

Mentre il governo regala isole e territori ad altre nazioni la Russia affonda di nuovo dopo un decennio di gloria. Forse ha ragione Pushkin, si stava meglio quando la nostra bandiera non aveva il bianco e il blu?
 

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Articolo del 2021

Cairo - Il Grande Medioriente è sempre più diviso in blocchi. Sono quattro quelli principali, possiamo individuare una grande area figlia della diplomazia Israeliana che circonda lo stato ebraico, una sorta di stati cuscinetto amichevoli (ma spesso ambigui) che la proteggono dall'accerchiamento. Egitto e Giordania sono due paesi con ormai decenni di storia di collaborazione con Gerusalemme ma da poco si è aggiunto un governo Palestinese che ha accettato nella sostanza uno scambio di territori poco equo, questo governo controlla la Striscia di Gaza unicamente sotto un regime di occupazione. Gaza è da anni roccaforte delle milizie filo-iraniana che avevano accerchiato Israele ma un'operazione militare di violenza inaudita li ha sradicati. Stessa sorte alle milizie sciite del Libano del sud territorio ormai sotto occupazione militare aiutati dal governo prettamente cristiano e sunnita che controlla Beirut ed il nord del paese.

Possiamo poi individuare un asse "persiano" che raccoglie i paesi a maggioranza sciiti (Iran, Iraq), governati da un'elite sciita (Siria) oppure culturalmente legati al mondo persiano (Daristan/Afghanistan del nord). In questa sfera di influenza si annoverava anche il Libano ma le operazioni militari israeliane hanno rotto l'unità di questo asse che punta dritto verso il Mediterraneo.

Terzo blocco è quello "reazionario" delle monarchie del Golfo strette tra la rivoluzione della penisola araba e dell'Iran. Paesi che si reggono ormai unicamente sulla ricchezza del petrolio che ben olia apparati repressivi ben strutturati e la potenza militare e politica degli Stati Uniti d'America.

Ultimo blocco è quello "jihadista" che forma un serpente che tenta di accerchiare sia l'asse persiano che quello israeliano, è formato da paesi in prevalenza sunniti che vedono nella Rivoluzione Araba un esempio da seguire. L'unità di questo lungo serpente è rotto però dal caos in Sudan e potrebbe rivelarsi un clamoroso flop nei suoi obiettivi strategici dopo aver terrorizzato per mezzo decennio i paesi occidentali.

Attori esterni ma non per questo meno importanti sono il TDE e la NATO che possiedono interessi economici e presenza militare in grado poter sovvertire da un momento all'altro la situazione Mediorientale. Ma attualmente nessun governo sembra avere la forza tale di poter riaprire i giochi occidentali in quest'area del mondo. Ormai il Medioriente fa il suo corso e segue la sua storia autonomamente.

Ultimo attore incognito è quello del Kurdistan i cui sviluppi non sono ancora chiari e solo il tempo potrà quantificare il suo peso reale.


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Dopo i grandi sconvolgimenti avvenuti in Russia e nel mondo torna nel 2026 (dopo 5 anni dall'ultima) un nuovo numero di Mir. La vecchia redazione è totalmente sostituita da una nuova meno politicamente allineata e più professionale, eredita in sostanza solo il nome.

Prima pubblicazione è un articolo sui Balcani



La sfida regionale dei Balcani.


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(cliccare sulla mappa per ingrandirla)

Nei balcani di oggi notiamo sempre più un incrociarsi di direttrici d'influenza, quattro in particolare si incontrano/scontrano nella regione:

Marsiglia - Tirana - Ankara
Gli interessi degli Stati Uniti del Mediterraneo sono ovviamente legati alla sua politica di unione tra le varie sponde del Mare Nostrum, la sua influenza nei Balcani è quindi limitata ad una stabilizzazione che permette di tenere libere le vie di comunicazioni e quelle economiche fino ai suoi nuovi possedimenti in Libano passando ovviamente per la Turchia.

Berlino - Praga - Bratislava - Budapest - Zagabria - Atene
L'interesse della Germania è ovviamente l'accesso al Mar Mediterraneo passando attraverso il mondo della ritrovata "Europa Centrale" dopo gli anni sovietici dell'Europa Orientale. Questa politica si scontra in modo evidente con l'altro attore di lingua tedesca, l'Austria ed ovviamente con il detentore della tradizione "slava", la FRB.

Mosca - Chisinau - Belgrado
L'indirizzo politico di Mosca verso i Balcani è ovviamente la proiezione di una influenza cultura prima di tutto slava ma anche ortodossa. Dopo gli anni della guerra civile è una influenza del tutto secondaria ma lo scenario è in continua evoluzione e potrebbe riservare delle sorprese.

Vienna - Lubiana - Trieste
L'Austria non è disposta a cedere la sua area d'influenza culturale "asburgica" al gigante tedesco e per questo si sta ritagliando un suo spazio con il cuore dei Balcani "austriaci": Slovenia e Trieste dove punta ad investire in enormi programmi navali.

Incognita è la potenza regionale locale, la Federazione delle Repubbliche Balcaniche; dopo un passato unificatore all'insegna del nazionalismo slavo contro i secessionismi albanesi il paese volta pagina e cambia faccia presentandosi come un ponte tra il mondo slavo e l'Europea occidentale. Si trova però in mezzo a movimenti centrifughi enormi come il recente inciampo diplomatico con la Romania (che ha accusato Belgrado di aver inviato nel paese spie al fine di minare l'unità dello stato) e la questione aperta con la Grecia a proposito dell'eredità culturale della Macedonia. Ha però dei canali preferenziali con l'Ungheria con la quale potrebbe bloccare l'influenza tedesca nell'area e con la Bulgaria pronta ad allearsi con il paese che sta sfidando la Grecia, sua eterna rivale nella regione.

Intanto gli Stati Uniti d'America continuano ad avere una grossa presenza militare nell'area con Creta che è ormai divenuto principale centro strategico statunitense nel Mediterraneo.

Tutti i pezzi sono schierati sul tavolo e la nuova partita per i Balcani è aperta!
 

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La partita dell'Oceano Indiano.

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(cliccare sulla mappa per ingrandirla)

Attorno ai choke-point (stretti di rilevanza strategica) di Suez, Bab el-Mandeb e di Malacca si sta sviluppando la partita per il controllo dell'Oceano Indiano e quindi del mercato energetico asiatico e dell'Africa orientale.

CINA
Principale attore di tale partita è indubbiamente la Cina e la politica navale del KMT che sarà indubbiamente potenziata dal nuovo presidente-ammiraglio Zheng He, profondo conoscitore dell'argomento.

Con la mediazione tra Sudan ed Egitto, la Cina può ambire a controllare la riva occidentale del Mar Nero e l'accesso al Mediterraneo con Suez.

Inoltre ormai possiede punte avanzate con Sri Lanka, Myanmar e Mozambico che mettono in totale sicurezza il suo impero navale.

REGNO UNITO
L'intervento diretto in Etiopia e nel Sudan hanno permesso a Londra di creare un proprio asse nell'Africa orientale che garantisce le forniture petrolifere al paese.

Il controllo della base navale di Gibuti mette in sicurezza le rotte nel Mar Rosso e la profonda penetrazione in Bangladesh pone le basi per un containment anti-cinese.

STATI UNITI D'AMERICA
Washington controlla in modo piuttosto saldo l'area del Golfo Persico grazie alla vittoria delle forze monarchiche in Iran. Questa vittoria permette di liberare le forze poste a controllare lo stretto di Hormuz permettendo agli USA di ritornare nella partita.

SUDAFRICA
Grazie all'alleanza strategica con l'Australia, il paese africano è un nuovo protagonista di questa partita. Controlla ormai uno spazio geopolitico piuttosto vasto grazie in particolare all'intervento in Somalia al fianco del governo di transizione.

ISRAELE
Tel-Aviv da diversi anni porta avanti una penetrazione politica ed economica nel Corno d'Africa, proprio qui si trova l'unica base militare all'estero dell'IDF posta a controllo dell'ingresso del Mar Rosso.
 

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Armi, droga, estremismi ed instabilità


Due eventi hanno sconvolto gli equilibri mondiali durante lo scorso decennio ed aperto un Vaso di Pandora inimmaginabile fino a poco tempo prima: la guerra civile russa e la rivoluzione islamica in Arabia.

Guerra civile Russa

Le cause della guerra sono ufficialmente da ritrovarsi nella crisi costituzionale del 2012. Il presidente Berkut modifica la costituzione per essere rieletto, per parte delle forze armate era il tentativo di instaurare una dittatura a vita nel paese. Queste si divisero tra leali alla nuova costituzione e quelli leali alla vecchia carta riuniti attorno al generale Serov.

Nessuna delle due fazioni è uscita vittoriosa dalla guerra ed oggi il nostro paese è governato da una nuova classe politica meno provinciale, aperta realmente al mondo che ha determinato la chiusura definitiva dell'era post-sovietica ed ha inaugurato una nuova fase.

Le conseguenze di oltre dieci anni di guerra hanno travalicato i confini della Russia. Principalmente il deteriorarsi del quadro di sicurezza regionale ha creato nuove rotte per traffici illegali. Le armi presenti sul mercato nero russo hanno preso due direzioni portate da diversi gruppi criminali, mafiosi, paramilitari e forse anche di settori dei due governi in guerra:

Asia Centrale
Qui le armi sono state pagate invece che in denaro in droga, risorsa di cui la regione è ricca. Le armi possono essere state rivendute o consegnate a numeri gruppi militanti in giro per il mondo. E' sicura la presenza di lotti di armi russe trafugate durante la guerra nelle Filippine, in Kashmir, in India, Somalia, Arabia, Chad, Sudan, Darfur, Algeria, Nigeria, Mali, Indonesia e perfino in Perù nelle mani di guerriglieri comunisti.

Europa
La droga raccolta in Asia Centrale è stata venduta principalmente sul mercato europeo. Pare che quello asiatico sia stato poco profittevole per i gruppi criminali russi a fronte dell'invasione di detto mercato di sostanza chimiche più aggressive come la ormai famosa "zarina".

La droga spacciata in Europa ha fornito ai gruppi criminali e paramilitari i finanziamenti illecili con i quali hanno potuto far fronte alla fine del conflitto ed alle operazioni di rastrellamento dei magazzini di armi portate avanti dalle forze armate della ricostituita Federazione Russa. In questo modo gli investimenti criminali sono diventati differenziati. Secondo una stima dell'ONU il 4% del PIL russo è sorretto da questi finanziamenti, una fetta enorme che il governo non ha interesse a colpire.

In Europa sono state segnalate anche la vendita di armi dalla Russia e dalla Bielorussia, principalmente da e per gruppi di paramilitari politicizzati. Armi russe sono state trovate nei magazzini illeciti di gruppi neo-nazisti tedeschi e polacchi. E' da anni che questi gruppi propagandano una "insurrezione nazionalista in Europa". Questo evento è considerato del tutto improbabile ma è sintomo di una piccola capacità militare di tali organizzazioni che però fino ad oggi non hanno mai utilizzato.
 

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Zheng He, il dittatore che fa comodo al mondo


Parliamoci chiaramente, quello di Zheng He è un golpe bello e buono. Seppur incruento è un ribaltamento del tutto illegale dell'ordine costituzionale e democratico della Cina. Perché però nessuno ha alzato la voce? Motivi economici? Paura dell'arsenale nucleare cinese? Assolutamente no.

Zheng He è un dittatore comodo, estremamente comodo. Le sue politiche infatti vanno a rallentare una democratizzazione della Cina che rischia di destabilizzare l'intero mondo. In particolare le sue politiche per il controllo della residenza dei cittadini cinesi.

Stasticamente nell'Europa occidentale ogni anno un singolo cittadino consuma circa 25 barili di petrolio in energia. Nella Cina orientale, sulla costa dove si concentra la ricchezza, un cinese consumava sotto la PRC 19 barili di petrolio mentre nell'occidente del paese rurale ne consumava appena 2.

Con la caduta della PRC un gran numero di contadini, legati fino a poco tempo prima alla propria terra d'origine con leggi che qualsiasi cittadino occidentale farebbe fatica anche solo a concepire, è emigrato verso la costa dove vi è profonda ricchezza.

Sulla costa i consumi, così come le opportunità, sono decisamente maggiori ed in pochi anni la richiesta energetica urbana è passata da 19 barili pro-capite a 24. Praticamente poco al di sotto dei livelli di consumo dell'Europa.

La nuova Cina demoratica ha quindi visto impennare il proprio fabbisogno di energia. Se da un lato sono stati avviati progetti nucleari vastissimi dall'altro la nuova richiesta è andata a pesare sui pesi produttori di greggio.

La breve guerra tra Vietnam e Cina per il controllo delle isole Paracelso è legata indubbiamente a questo quadro. La tensione con il Pakistan per il controllo dell'area del Turkestan e quindi della via per l'Asia Centrale ricca di petrolio è una diretta conseguenza dell'aumento della richiesta petrolifera.

Nota è inoltre l'instabilità del Medioriente di fronte a queste nuove richieste energetiche con la Persia che ha visto il suo regime anti-statunitense cadere e la repentina morte violenta dei paesi del cosidetto blocco jihadista di cui solo Yemen e Niger rimangono in piedi, non a caso visto che non sono grandi produttori di petrolio.

Siamo quindi di fronte a continue e vere e proprie "proxy war" tra la Cina che richiede nuove fonti di approviggionamento e l'occidente interessato a bloccare la crescita di Pechino e tenere per se il Medioriente.

La nuova Cina democratica quindi ha portato solo instabilità al mondo liberando una serie di forze contenute in un Vaso di Pandora che era ben sigillato sotto la PRC.

Zheng He quindi si inserisce in questo contesto. Reintroducendo il controllo governativo della popolazione quindi va a diminuire il fabbisogno di energia tenendo bassi i consumi e lo stile di vita dei cinesi mantenendo quindi la competività del paese senza dover attuare grandi riforme.

E' chiaro quindi il motivo per cui l'ammiraglio golpista fa comodo all'Occidente.
 

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La guerra in Tanzania? Guerra globale alle risorse.

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(cliccare sulla mappa per ingrandirla)

Un'anno fa avevamo parlato della sfida nell'Oceano Indiano per il controllo dei principali Choke Point. Durante quest'anno la sfida fatti a colpi di diplomazia ed influenza ha avuto un veloce cambio di rotta con alcuni importanti avvenimenti, la crisi e poi guerra in Tanzania in primo piano ma non solo.

L'arco petrolifero africano
Assistiamo così ad una lotta per la conquista delle risorse dell'area afro-asiatica. Le risorse in gioco sono principalmente due: petrolio e commercio.

La sfida alla conquista dell'arco petrolifero che si sviluppa dal Gabon passando per Guinea, UDRA, SCA e Sud Sudan è piuttosto evidente. La guerra in Tanzania è chiaramente una guerra per l'asse energetico Sud Sudan-Kenya che si collega facilmente all'instabilità nel nord dell'UDRA, alla guerra civile negli SCA ed ovviamente al golpe in Guinea Equatoriale.

Il medioriente è ormai terra di difficile conquista, con la Persia e le monarchie del Golfo saldamente dalla parte degli USA le altre superpotenze non possono che andare a cercare le ultime terre di conquista rimaste. [...]


Gli attori in gioco
Nel questo quadro della sfida per le risorse si inserisce la lotta per le rotte d'esportazione. Il tradizionale controllo dei choke point è sicuramente fondamentale da questo punto di vista, ma nuovi attori tentano nuove strade.

Corea, Giappone e Cina tentano il controllo dei mari attraverso investimenti in marine sempre più grandi ed efficienti nonché porti e punti d'appoggio dal quale proiettare la propria influenza. Si veda infatti la base navale giapponese in India, la politica di controllo dei porti della Corea ed il "filo di perle" cinese.

Il Sudafrica invece influenza i paesi vicini consapevole del fatto che non può aspirare nel breve periodo ad una proiezione della forza di tipo globale. Preferisce così stabilizzare la propria potenza regionale per divenire un tassello fondamentale in qualsiasi futuro dialogo.

La via più fantasiosa e indubbiamente quella tentata dalla Russia che, consapevole della propria debolezza in mari così lontani, ha deciso di cambiare le regole del gioco e trasportare l'asse di import-export tra Europa ed Asia dal mare alla terra dove può far valere il proprio peso.

Difficilmente però il progetto della Transasiatica potrà sostituire del tutto i commerci sul mare ed appare quindi più come una mossa per non restare fuori da questo Grande Gioco oceanico che non come una sfida alle altre potenze. [...]

Il Regno Unito
In questa lotta all'ultimo sangue il Regno Unito, verniciata da anni di una patina di progressismo, appare alla radice come una potenza conservatrice che tenta di salvare in ogni modo quello che rimane della sua influenza sulla principale riserva di risorse al mondo. Per questo post-impero le sfide però sono enormi e probabilmente impossibile da sostenere su scala globale. Nel prossimo futuro il Regno Unito sarà sicuramente costretto a cedere alle altre potenze parte del controllo sulle risorse d'Africa.
 
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