Fianna ascoltò in religioso silenzio quando aveva da dire Ariel, trovandosi sinceramente coinvolta in quel racconto che mai aveva udito prima. Le venne spontaneo pensare che ben pochi, specie al nord, avrebbero avuto cuore di lasciarsi catturare da una simile storia e, ancora meno, di capirne il vero significato. Le arpie, eccezion fatta per il Minnonar, erano viste non benissimo lassù, dove sempre avevano avuto astio come risposta a qualsiasi tentativo di dialogo - quando non di guerra - e tutti avrebbero preso quella rivelazione come un ennesimo segno. Ecco che le arpie erano nate dal desiderio di uccidere, nate come capriccio di una divinità aggressiva e rancorosa che giocava a distruggere il bello fatto dagli altri. Già le sentiva, quelle voci, Fianna. Se le sentiva in testa perché lei stessa, fino a dieci anni prima, sarebbe stata la prima a dirle apertamente senza nemmeno soppesarle più di tanto. Se le sentiva perché capiva bene quanto sforzo ci volesse per andare oltre l'apparenza, oltre quel senso d'iniziale smarrimento e paura che una leggenda del genere offriva ai suoi ascoltatori. Eppure, una volta che la figlia ebbe finito, Fianna tutto sentiva fuorché ostilità nei confronti di Sheika. Non poteva apprezzarne la morale, né l'indole forse, ma poteva ben capirne i perché ed i percome, poteva sentirsi affine a lei in quel senso di costringente impotenza che l'aveva dovuta quasi ghermire sotto l'imposizione di Apsu.
Per un attimo quell'orrenda statua, che d'incubi avrebbe riempito i sogni dei più, le parve sorprendentemente umana.
«Molti potrebbero dirti che quello di Sheika è un atto intrinsecamente malvagio, sai?» prese a dirle. «Un modo beffardo per rendere il mondo un posto peggiore di quello voluto dalla musica corale degli altri divini. Una stortura nello spartito perfetto voluto dai nostri creatori tutti.» inclinò la testa a guardare Ariel. «Qualcuno potrebbe arguire che la nascita stesse delle arpie è da attribuirsi a poco più che una ripicca contro gli altri Dei, un modo per dire che, alla fine, ha avuto lei la meglio scatenando nel mondo il flagello che avrebbe distrutto e predato tutto quanto fatto.» annuì appena alle sue parole. «E rideva, rideva, mentre tutto quel che di bello c'era veniva ghermito dalle sue figlie. Qualcosa del genere. Non devo nemmeno sforzarmi molto per immaginare cosa ne potrebbe pensare una persona esterna, qualcuno che non ha avuto né modo né tempo di rendersi conto di tante, piccole cose.» fece una breve pausa. «Una persona più semplice il cui unico scopo è guardare dinnanzi a sé, al suo piccolo orto di casa. E' così semplice sfociare nell'odiare qualcosa del genere.» alzò gli occhi a guardare la statua di Sheika.
«Eppure... sento che che questa sarebbe solo un'interpretazione semplicistica della cosa. Un banale voler vedere le cose per male a tutti i costi, senza curarsi del contesto, di tutto quello che v'è attorno.» proseguì. «Sheika cacciava e predava perché quello era il suo senso, privata di quello ella non era altro che l'immagine, lo spettro di sé stessa. Quanto mai avrebbe potuto uccidere? Quanto mai avrebbe davvero potuto nuocere alle infinite schiere di bestie, mortali e semi immortali che popolavano il mondo al tempo? Ben poco. Ben meno di quanto noialtri facciamo ogni giorno con le nostre guerre, coi nostri conflitti, con la nostra malignità.» sorrise amaramente. «Provo enorme compassione per lei, invero. Ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa sentirsi le mani legate, non poter essere chi si è, bloccati in un mondo che non capisce affatto chi sei e cosa vuoi fare. Un mondo che ti giudica solo per ciò che sei. Sheika era la sua caccia, quel brivido di vita che la rendeva serena. Sheika si era messa al pari degli altri per dimostrare a se stessa il suo valore.» si morse appena il labbro inferiore, pensosa. Le ricordava così tanto se stessa, Sheika. Le ricordava bene quel senso di solitudine e inquietezza d'animo che aveva provato al secolo, quando nelle calde regioni dei Naga si era accampata coi suoi uomini guardando le stelle, sentendosi perduta. Nessuno aveva ascoltato le sue suppliche, nessuno voleva vedere quella che per lei era la verità: solo orecchie sorde e squallide lamentale avevano accompagnato le sue peregrinazioni. Oh si, sentiva Sheika molto più vicina di quanto mai avrebbe potuto sentire un dio diverso da Gallean.
«Voi siete la sublimazione di quel desiderio, siete qui per far sì che il divieto di Apsu a Sheika rimanga rispettato e allo stesso tempo ella possa sentirsi appagata nella sua caccia.» guardò ancora la statua, poi si voltò a fissare Ariel. «Fa meno paura nell'aspetto quando scopri che ha sofferto l'impossibilità d'essere chi era davvero. Talvolta giudichiamo a sproposito e troppo avventatamente le persone, gli dei, chiunque.» carezzò di nuovo la figlia sul capo. «Grazie per avermi fatto conoscere questa storia. E sono sicura che Sheika saprà apprezzare il tuo rito di passaggio. Esattamente come lo sarò io.»