Last Century
Ninja Skilled!
«Sei sicuro di quello che vai facendo?» domandò Fianna, poggiando le mani al balcone dal quale stava ammirando il paesaggio oltre le mura di Ainatur.
«Qualcosa mi dice che non prestavi attenzione durante le lezioni di filosofia. Ricordi quali sono i tre mestieri impossibili?» sorridendo, vagamente divertito, Carnil le si avvicinò mettendosi a guardare il medesimo orizzonte.
«No, ma immagino che me li dirai tu adesso.» fece un piccola smorfia.
«Educare, curare e governare. Quindi no, non sono sicuro di quello che vado facendo come non dovrebbe esserlo nessun regnante sano di mente. Questionarsi è importante, criticarsi è importante.»
«Sì ma se poi ti uccidono cosa resterà a questo paese? Immagina poi la figuraccia davanti ai nostri alleati se le cose dovessero mettersi male.» rispose, stizzita, sbuffando.
«Resteresti comunque tu. E anche mio figlio se è per quello, per quanto sia ancora giovane. Sono comunque fiducioso di quello che mi aspetta... del resto io non sono Elenwen.» lo disse con una certa naturalezza, come se non sentisse nemmeno il legame di sangue che, seppur vago, lo univa alla defunta regina eldar. Si era dispiaciuto a sufficienza di quell'evento, restare a tormentarsi non l'avrebbe portato da nessuna parte, senza contare che i modi della sovrana non erano stati tra i più piacevoli.
«Quella era più stupida delle mosche.» borbottò. «Va bene, ho capito l'antifona, non sono scema. Cerca solo di stare attento. E portati dietro almeno Maiev, assieme ad un manipolo di soldati.»
Il principe scosse lievemente la testa, divertito e allo stesso tempo felice di vedere quella premura nei suoi confronti.
«Credi che le arpie di stanza ad Almarillan cercheranno di uccidermi?»
«No, no Carnil. Mi preoccupa che lo faccia qualcun'altro. Questo è un momento delicato e tanti hanno gli occhi puntati su di noi. E molti di questi occhi sono accompagnati da lame affilate.» sentenziò, seria in viso.
Vedendola in quelle condizione l'eldar allungò una mano poggiandola sulla spalla della principessa. Voleva rincuorarla e confortarla ma, caso raro per un diplomatico come lui, quella volta faticava a farsi sovvenire le parole giuste. Aveva il suo fondato timore su quello che lo aspettava fuori dai confini sicuri del suo piccolo rimasuglio di regno, ma non poteva né tirarsi indietro né aspettare la fine chiuso tra le mura di casa. Quella era una cosa che troppi nobili eldar avevano fatto e lui, tra tanti, non voleva figurare come un codardo.
«È il fardello della corona. Regnare non significa sedere su un trono dettando vita e morte di un regno, né banchettare con i delegati stranieri o pianificare guerre attorno ad un tavolo.» un sorriso, più amaro, si delineò sotto la folta e curata barba dell'elfo.
«Significa assumersi le responsabilità del proprio popolo. Ogni scelta, ogni parola che noi reali diciamo è per conto dei nostri sudditi. Non possiamo chiedere a decine di eldar di imbracciare le armi per combattere le nostre guerre, se non siamo disposti a dividere il fardello del fallimento con loro.»
«Ma se tu muori, il regno muore!» ribatté, con forza.
«No, Fianna, no.» si infilò una mano dentro al mantello estraendone una piccola tiara d'argento. «Sai cosa è questa?» domandò.
«È la tua corona?» rispose subito, senza nemmeno bisogno di guardarla.
«Sì, è la mia piccola corona da principe. Me l'ha data mio padre quando ha abdicato... ma non l'ho mai indossata volentieri.» confessò.
«Ma è tua, ti spetta di diritto. Dovresti indossarla con orgoglio davanti ai delegati ad Almarillan.»
Lui prese il gioiello e lo posò sul capo della cugina, lentamente. La lucentezza dell'argento si sposava quasi perfettamente col candore dei capelli di lei, rilucendo come una stella.
«Non è la spada che ti rende un cavaliere, non è la bacchetta che ti rende un mago, non è la fede che ti rende pastore. Non è la corona, Fianna, che ti rende Re.»
Lei lo guardò negli occhi per un lungo istante, senza dire niente. Capiva, capiva molto bene dentro di sé quello che le stava venendo detto, l'importanza di quel gesto, il significato più profondo di quelle parole. Lui non aveva paura di perdere il potere, né di perdere la vita, quello di cui aveva paura era di perdere sé stesso e, con sé, anche tutto quello in cui credeva. Non avrebbe commesso l'errore di credersi migliore di chi aveva attorno, non aveva educato così suo figlio e non avrebbe educato così il suo futuro regno.
«Se io muoio muore un elfo, non muore il regno. Il regno continuerà a vivere fintanto che chi vi abita si sentirà parte di esso. Cambiano le bandiere, cambiano i nomi... cambiano le genti e la vita va avanti imparando dai propri errori.» chiuse gli occhi, lasciando che la brezza gli carezzasse dolcemente il viso.
«Nel primo cassetto della mia scrivania c'è un documento che stavo scrivendo. Si tratta di un primo abbozzo di costituzione per il futuro regno, lo avevo promesso ai delegati delle Province Unite... se non dovessi tornare vorrei che tu lo consegnassi a mio figlio Ailas.»
«Non dire così... va bene essere disfattisti ma non c'è motivo, Carnil, io...» colpita da quelle parole l'elfa titubò.
«Se dovesse accadere, Fianna, dovrai portare i miei saluti ad Ailas. L'ho mandato a conoscere la sua futura compagna e non ho cuore di dirgli quello che sto andando a fare. Diciamo che non voglio questioni in sospeso quando arriverò alle porte di Almarillan.» la guardò. «Puoi farlo per me, cuginetta?» sorrise.
Lei abbassò gli occhi, sospirando profondamente, più triste di quanto non avrebbe voluto apparire.
«Sì. Sì promesso.» si morse il labbro inferiore, alzando la testa a guardare di nuovo Ainatur. «Stai attento per favore.»
«Farò del mio meglio.» annuì. «Promesso.»
Si era fatto annunciare senza troppe cerimonie, arrivando con un ristrettissimo gruppo di guardie giusto sufficienti a proteggerlo da eventuali malviventi, fermando il suo incedere alle porte della città. Con lui c'era la fidata Maiev che, come da consiglio di Fianna, oramai era diventata praticamente la sua ombra. Per l'occasione si era anche messo l'armatura da parata, più per il vezzo di presentarsi in maniera elegante che per qualche motivo specifico: voleva conservare un minimo di dignità per la sua gente, presentandosi non come un vinto in catene ma come un umile depositario del futuro della nazione.
Aveva mandato un emissario anche dal Duca, informandolo delle novità e notificandogli un invito a presenziare alla riunione. Visto e considerato tutto era il minimo che potesse fare per non indispettire il Ducato. La vista della capitale era ben diversa da come la ricordava, anche l'aria vibrava in maniera diversa, come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in atto; qualcosa di oscuro. Non ci badò troppo, ricacciando quella sensazione in profondità. A quel punto non gli restava che aspettare di essere ricevuto.
«Qualcosa mi dice che non prestavi attenzione durante le lezioni di filosofia. Ricordi quali sono i tre mestieri impossibili?» sorridendo, vagamente divertito, Carnil le si avvicinò mettendosi a guardare il medesimo orizzonte.
«No, ma immagino che me li dirai tu adesso.» fece un piccola smorfia.
«Educare, curare e governare. Quindi no, non sono sicuro di quello che vado facendo come non dovrebbe esserlo nessun regnante sano di mente. Questionarsi è importante, criticarsi è importante.»
«Sì ma se poi ti uccidono cosa resterà a questo paese? Immagina poi la figuraccia davanti ai nostri alleati se le cose dovessero mettersi male.» rispose, stizzita, sbuffando.
«Resteresti comunque tu. E anche mio figlio se è per quello, per quanto sia ancora giovane. Sono comunque fiducioso di quello che mi aspetta... del resto io non sono Elenwen.» lo disse con una certa naturalezza, come se non sentisse nemmeno il legame di sangue che, seppur vago, lo univa alla defunta regina eldar. Si era dispiaciuto a sufficienza di quell'evento, restare a tormentarsi non l'avrebbe portato da nessuna parte, senza contare che i modi della sovrana non erano stati tra i più piacevoli.
«Quella era più stupida delle mosche.» borbottò. «Va bene, ho capito l'antifona, non sono scema. Cerca solo di stare attento. E portati dietro almeno Maiev, assieme ad un manipolo di soldati.»
Il principe scosse lievemente la testa, divertito e allo stesso tempo felice di vedere quella premura nei suoi confronti.
«Credi che le arpie di stanza ad Almarillan cercheranno di uccidermi?»
«No, no Carnil. Mi preoccupa che lo faccia qualcun'altro. Questo è un momento delicato e tanti hanno gli occhi puntati su di noi. E molti di questi occhi sono accompagnati da lame affilate.» sentenziò, seria in viso.
Vedendola in quelle condizione l'eldar allungò una mano poggiandola sulla spalla della principessa. Voleva rincuorarla e confortarla ma, caso raro per un diplomatico come lui, quella volta faticava a farsi sovvenire le parole giuste. Aveva il suo fondato timore su quello che lo aspettava fuori dai confini sicuri del suo piccolo rimasuglio di regno, ma non poteva né tirarsi indietro né aspettare la fine chiuso tra le mura di casa. Quella era una cosa che troppi nobili eldar avevano fatto e lui, tra tanti, non voleva figurare come un codardo.
«È il fardello della corona. Regnare non significa sedere su un trono dettando vita e morte di un regno, né banchettare con i delegati stranieri o pianificare guerre attorno ad un tavolo.» un sorriso, più amaro, si delineò sotto la folta e curata barba dell'elfo.
«Significa assumersi le responsabilità del proprio popolo. Ogni scelta, ogni parola che noi reali diciamo è per conto dei nostri sudditi. Non possiamo chiedere a decine di eldar di imbracciare le armi per combattere le nostre guerre, se non siamo disposti a dividere il fardello del fallimento con loro.»
«Ma se tu muori, il regno muore!» ribatté, con forza.
«No, Fianna, no.» si infilò una mano dentro al mantello estraendone una piccola tiara d'argento. «Sai cosa è questa?» domandò.
«È la tua corona?» rispose subito, senza nemmeno bisogno di guardarla.
«Sì, è la mia piccola corona da principe. Me l'ha data mio padre quando ha abdicato... ma non l'ho mai indossata volentieri.» confessò.
«Ma è tua, ti spetta di diritto. Dovresti indossarla con orgoglio davanti ai delegati ad Almarillan.»
Lui prese il gioiello e lo posò sul capo della cugina, lentamente. La lucentezza dell'argento si sposava quasi perfettamente col candore dei capelli di lei, rilucendo come una stella.
«Non è la spada che ti rende un cavaliere, non è la bacchetta che ti rende un mago, non è la fede che ti rende pastore. Non è la corona, Fianna, che ti rende Re.»
Lei lo guardò negli occhi per un lungo istante, senza dire niente. Capiva, capiva molto bene dentro di sé quello che le stava venendo detto, l'importanza di quel gesto, il significato più profondo di quelle parole. Lui non aveva paura di perdere il potere, né di perdere la vita, quello di cui aveva paura era di perdere sé stesso e, con sé, anche tutto quello in cui credeva. Non avrebbe commesso l'errore di credersi migliore di chi aveva attorno, non aveva educato così suo figlio e non avrebbe educato così il suo futuro regno.
«Se io muoio muore un elfo, non muore il regno. Il regno continuerà a vivere fintanto che chi vi abita si sentirà parte di esso. Cambiano le bandiere, cambiano i nomi... cambiano le genti e la vita va avanti imparando dai propri errori.» chiuse gli occhi, lasciando che la brezza gli carezzasse dolcemente il viso.
«Nel primo cassetto della mia scrivania c'è un documento che stavo scrivendo. Si tratta di un primo abbozzo di costituzione per il futuro regno, lo avevo promesso ai delegati delle Province Unite... se non dovessi tornare vorrei che tu lo consegnassi a mio figlio Ailas.»
«Non dire così... va bene essere disfattisti ma non c'è motivo, Carnil, io...» colpita da quelle parole l'elfa titubò.
«Se dovesse accadere, Fianna, dovrai portare i miei saluti ad Ailas. L'ho mandato a conoscere la sua futura compagna e non ho cuore di dirgli quello che sto andando a fare. Diciamo che non voglio questioni in sospeso quando arriverò alle porte di Almarillan.» la guardò. «Puoi farlo per me, cuginetta?» sorrise.
Lei abbassò gli occhi, sospirando profondamente, più triste di quanto non avrebbe voluto apparire.
«Sì. Sì promesso.» si morse il labbro inferiore, alzando la testa a guardare di nuovo Ainatur. «Stai attento per favore.»
«Farò del mio meglio.» annuì. «Promesso.»
Alcuni giorni dopo, Almarillan, Territorio Occupato di Timodiel.
Si era fatto annunciare senza troppe cerimonie, arrivando con un ristrettissimo gruppo di guardie giusto sufficienti a proteggerlo da eventuali malviventi, fermando il suo incedere alle porte della città. Con lui c'era la fidata Maiev che, come da consiglio di Fianna, oramai era diventata praticamente la sua ombra. Per l'occasione si era anche messo l'armatura da parata, più per il vezzo di presentarsi in maniera elegante che per qualche motivo specifico: voleva conservare un minimo di dignità per la sua gente, presentandosi non come un vinto in catene ma come un umile depositario del futuro della nazione.
Aveva mandato un emissario anche dal Duca, informandolo delle novità e notificandogli un invito a presenziare alla riunione. Visto e considerato tutto era il minimo che potesse fare per non indispettire il Ducato. La vista della capitale era ben diversa da come la ricordava, anche l'aria vibrava in maniera diversa, come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in atto; qualcosa di oscuro. Non ci badò troppo, ricacciando quella sensazione in profondità. A quel punto non gli restava che aspettare di essere ricevuto.