battaglie turno 12

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Sangue e polvere da sparo:

Esercito pontificio contro esercito fiorentino e esercito milanese.

Sicuri di una vittoria facile i soldati papalini, circa 18.000 comandati dal generale romagnolo Alvise Sebastiano, mossero a marce forzate fino alla roccaforte di Ferrara. Qui attendevano i rinforzi veneti, perlomeno queste erano le indicazioni, ma dopo alcuni giorni dei loro alleati non vi era ancora alcuna traccia.
Nel frattempo le truppe fiorentine avevano avuto tutto il tempo necessario per trincerarsi e preparare la difesa. Circa 18.000 fiorentini comandati da Giuliano di Lorenzo de Medici e dal capitano di ventura Gaetano Scipioni erano determinati a resistere.
Una pioggia fittissima non avvantaggiava certo la cavalleria degli invasori.

La battaglia:

Le truppe papaline, tutto sommato ben addestrate, avanzarono in formazione lineare per rendere utili i loro numerosi archibugieri.
I fiorentini li accolsero subiro con una pioggia di quadrelli che fece qualche danno fra i miliziani, quindi organizzarono una serie di finte cariche di cavalleggeri per impaurire il nemico. La mossa ebbe un certo successo e per un paio di volte i papalini dovettero fermarsi e portare avanti i loro picchieri, inutilmente.
Mentre l'armata bianca avanzava i suoi miliziani si trasformavano in utile carne da macello e alla fine i soldati con archibugio poterono aprire il fuoco.
La pioggia non fu d'aiuto ma i picchieri nemici nelle prime linee caddero inizialmente a dozzine. Non muovendoli però i fiorentini rendevano futile una possibile carica di cavalleria nemica.
A questo punto anche le bocche di fuoco dei difensori si aprirono e benchè fossero molto meno numerose riuscivano a sparare ad una velocità sorprendentemente alta per gli standard delle truppe italiche.
La battaglia era comunque molto lenta e le truppe danneggiate contenute fino a quel momento. I papalini tentarono una carica laterale evitando la cavalleria nemica e riuscendo a colpire un fianco parzialmente scoperto ma dovettero rapidamente ripiegare con l'arrivo delle picche, causando poco meno di un migliaio di morti.
Tutto sommato le forze in campo erano ancora equilibrate quando il fianco destro del Papa fu sconvolto dall'arrivo delle truppe del Duca di Milano.
I milanesi, che contavano circa 13.000 uomini comandati dal giovane Massimiliano Sforza, leader di fanteria, tentarono di sfondare il fianco nemico con una carica di cavalleria che non andò in porto ma si fecero sentire vuotando proiettili e quadrelli sui nemici.
Anche loro avevano archibugi migliori, che tiravano molto più rapidamente e si ricaricavano meglio. I pontifici rischiavano in questo modo di essere accerchiati e tentarono di ripiegare verso sud rallentando l'avanzata nemica con alcune finte cariche. Sui milanesi la mossa fu produttiva e vennero rallentati a sufficienza da compattare l'esercito del Papa.
Dopo ormai alcune ore di combattimenti pareva chiaro che fosse giunto il momento dello scontro corpo a copro. I fiorentini continuavano ad usare la tattica mista da loro chiamata "picca e spara", impedendo cariche di cavalleria, mentre l'esercito leggero e mobile dei milanesi si muoveva abbastanza rapidamente da permettere ai fanti leggeri di colpire le salmerie pontificie.
A questo punto Alvise si lanciò in una carica a cuneo con i fanti leggeri, avendo ormai esaurito i cavalieri da tempo, per spezzare l'assalto milanese.
Le truppe del Duca, meglio equipaggiate, tennero testa senza eccessivo forzo mentre i fanti pesanti fiorentini uscivano allo scoperto. Forse impediti dalla pioggia persero parecchio tempo massacrando i miliziani ponitifici e diedero il tempo ad Alvise di raccogliere ciò che rimaneva dei suoi in una formazione a cerchio.
Era ormai chiaro che la netta inferiorità numerica e militare potesse permettere ai ponitifici solamente una fuga dignitosa.
Fortunatamente una manovra a tenaglia della fanteria combinata dei nemici fallì e le truppe papaline poterono incanalarsi fuori dal campo di battaglia conservando il grosso di ciò che gli rimaneva.

Esito:
Vittoria netta della coalizione fiorentino-milanese:
Le truppe pontificie lasciano sul campo circa 8000 uomini
Le truppe fiorentine lasciano sul campo circa 5000 uomini
Le truppe milanesi lasciano sul campo circa 1200 uomini
 

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L'attacco a tradimento:

Forze in campo: esercito dei rus di Novgorod e di Ryazan contro esercito del Khanato Sibir

Dopo alcune settimane di cammino in terre desolate e spoglie, il possente esercito Rus era giunto al limitare della cittadina di Arcangelo, durante una giornata calma e soleggiata. I 18.000 uomini, comandati dal generale Basilisco, si prepararono ad affrontare le difese dei sibiri, composte da oltre 20.000 uomini, un numero decisamente elevato rispetto alle aspettative dell'esercito invasore.

La battaglia:

Le truppe dei sibiri, prevalentemente composte da soldati a cavallo, si lanciarono immediatamente in una serie di cariche mordi e fuggi contro il pesante e lento esercito rus. Le freccie fecero un po' di danni fra i miliziani ma non abbastanza da costringerli alla resa. I cavalleggeri tentavano più e più volte di compiere manovre di aggiramento per colpire il nemico alle spalle ma purtroppo i 6000 picchieri dei rus rendevano la manovra assolutamente ardua.
Gli archibugieri rus, armati con i più moderni ritrovati bellicci, fecero fuoco non appena la cavalleria nemica si trovava a tiro, supportati anche dagli arcieri.
I primi tiri vecero parecchi danni e convincero i cavalieri pagani ad intensificare l'attacco con una doppia manovra a tenaglia supportata dalla carica della fanteria. Se fossero riusciti ad aggirare il muro di picche non avrebbero avuto rivali nel corpo a corpo.
Purtroppo i veloci ma poco corazzati cavalieri sibiri cadevano come mosche sotto i proiettili nemici e gli arcieri a loro supporto non riuscivano in nessun modo a cavare danni significativi. Alla fine il primo contatto si ebbe sul lato destro e fu fallimentare. Sul sinistro i cavalieri riuscirono a trovare un buco e tentarono di aprire una grossa falla per far cadere i nemici ma i 2000 picchieri li presenti facevano morti su morti con i poveri cavalieri sibiri, costringendoli ben presto a ripiegare per il panico eccessivo.
Lo scontro corpo a corpo fu immediatamente favorevole alle truppe rus corazzate che in breve tempo costrinsero il nemico alla fuga. I Sibir dovettero ripiegare per paura di perdere il loro esercito e abbandonarono Arcangelo.

Esito:
Vittoria schiacciante dei Rus:
La coalizione Rus lascia sul campo circa 2000 miliziani, 1000 archibugieri e 800 picchieri.
I Sibiri lasciano sul campo 3000 cavalleggeri, 1000 arcieri a cavallo, 2500 miliziani circa
 

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Recuperare la Dalmazia:

Forze in campo:Esercito della Serenissima contro esercito regio d'Ungheria.

Dopo aver sbarcato un forte esercito di circa 20.000 uomini, il Doge Pietro Lando Foscari, fieramente, avanzò in territorio ungherese venendo accolto con tutti gli onori da Ragusa e dalle cittadelle limitrove, puntando poi a liberare la ricca Zara e il porto di Spalato più a nord.
Non aveva però fatto i conti con l'armata ungherese, che era giunta per fermare l'invasione nemica. Stanchi ed amareggiati per la sconfitta appena subita, gli ungheresi non vedevano l'ora di sfogare le proprie lame sugli invasori, in una giornata leggermente ventialata.
Ladislao II comandava personalmente una potentissima armata di circa 40.000 effettivi. La battaglia si preannunciava dura sulle aspre colline dell'Adriatico.

La battaglia:

L'esercito veneto si trovò improvvisamente confuso sul da farsi e i vari comandanti litigarono sull'impiego della fanteria e degli ausiliari, perdendo tempo e permettendo agli ungheresi di posizionarsi in modo appropriato per dare battaglia.
Inizialmente le truppe ungheresi tentarono una serie di attacchi mordi e fuggi con le truppe da tiro, cui risposero i difensori veneziani. Lo scontro fu abbastanza equilibrato e i morti furono simili in numero da entrambe le parti.
Lo scontro continuò per diverso tempo e inspiegabilmente le truppe venete parevano riuscire a difendersi bene con le armi da tiro, costringendo addirittura alla fuga alcuni reparti nemici, inseguiti dai balestrieri a cavallo.
Conscio della propria superiorità numerica Ladislao II decise di lanciare un attacco a forchetta contro il nemico per annullare il suo vantaggio nelle lunghe distanze.
4000 cavalieri pesanti alla testa dello stesso re tentarono di bucare il fianco sinistro, mentre il destro veniva bersagliato dalla carica della fanteria combinata. Il centro fu adibito a carne da macello con l'invio di circa 9000 miliziani. Le ali restavano presidiate dai picchieri che seppero magistralmente impedire una carica improvvisa dei cavalli veneti, costringedoli a ripiegare per non venire infilzati.
Il lato sinistro fu ovviamente favorevole agli ungheresi che inflissero perdite spaventose al nemico, mandando in rotta diverse divisioni. Il fronte però venne mantenuto grazie all'audacia dei lancieri veneti che seppero tappare la falla al momento giusto. Il lato destro flesse leggermente a favore degli ungheresi che guadagnarono rapidamente terreno ma il peggio capitò al centro. Qui il numero enorme dei miliziani fu parzialmente fermato dalle salve di fuoco degli archibugi. Questi però, imbaldazati dal successo, non riuscirono a ripiegare in tempo e furono travolti, subendo parecchie perdite prima dell'arrivo della fanteria leggera.
I cavalieri pesanti tentarono poi una seconda carica che non diede i risultati sperati e li costrinse in un faticoso corpo a corpo con i veneti. Frattanto sul lato destro, nonostante il coraggio, la fanteria del dogato sentiva la netta superiorità numerica del nemico e cominciava a ripiegare. Al centro i miliziani facevano la loro figura tenendo impegnati i nemici.
La cavalleria dogale fu bloccata in un tentativo di aggiramento dalla calca e dal clamore della battaglia, ormai nel pieno del suo svolgimento e fallì l'assalto.
Nonostante la grande abilità dei veneti ormai il lato sinistro stava cedendo per la mancanza di effettivi. Il fianco destro, improvvisamente, cedette di schianto di fronte ad un assalto rinnovato degli ungheresi e così fece il centro, ormai duramente provato.
La battaglia era persa e i veneti stavano frettolosamente ripiegando in Montenegro rincorsi dalle truppe nemiche. Il Doge e i suoi pochi cavalieri rimasti decisero di immolarsi per la Repubblica per rallentare il nemico e permettere la fuga dell'esercito.
Ladislao II ottenne il suo trionfo e fu omaggiato con tutti gli onori da un esercito festante.

Esito:
Vittoria schiacciante dell'Ungheria
Gli ungheresi lasciano sul campo circa 7.000 uomini di cui 3000 miliziani
I veneti lasciano sul campo circa 11.000 uomini e il Doge
 

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Invasione delle Lowlands:

Forze in campo: Esercito inglese contro esercito scozzese.

Mentre una buona parte dell'esercito inglese premeva da nord, Jhon Seymur e i suoi 10.000 soldati passarono il confine da sud avvicinandosi alla fortezza di Lothian. Qui dovettero immediatamente fare i conti un con grosso bastione fortificato che si misero ad assediare. All'interno della fortezza il generale scozzese Angus Mcdust disponeva di circa 16.000 uomini e, dopo aver atteso che i nemici si logorassero per il lungo assedio, lanciò una poderosa sortita fuori dalle mura.

La battaglia:

L'esercito scozzese tentò un'avanzata rapida per arrivare rapidamente a contatto con il nemico e costringerlo alla fuga. Gli inglesi fecero fuoco con le loro truppe da tiro, poco numerose, e poi si prepararono ad uno scontro corpo a corpo. Gli scozzesi cominciarono da subito a martellare con la superiorità numerica dei loro lancieri, mentre sfruttarono i miliziani per alleggerire il carico del combattimento sulle ali.
Le truppe inglesi inizialmente cedettero ma poi seppero compensare l'inferiorità numerica chiudendosi a quadrato e continuando il combattimento in cui si distinsero in particolar modo i fanti pesanti.
Una carica della cavalleria scozzese fu fermata da un reparto di picchieri che la mise in rotta ma i fanti leggeri delle lowlands riuscirono a compiere una lunga manovra di accerchiamento rendendo impossibile ai loro nemici di uscire dal quadrato. Seymour a questo punto lanciò un attacco a cono per crearsi una via di fuga, purtroppo però la mossa fu vincente ma costò diverse centinaia di morti e non riuscì a spezzare le linee nemiche. In poche ore la battaglia stava già andando male per gli inglesi che presero la decisione di conservare il proprio esercito togliendo l'assedio di Lothian

Esito:
Vittoria di misura degli scozzesi:
Gli inglesi lasciano sul campo: circa 4000 uomini.
Gli scozzesi lasciano sul campo circa 3000 uomini.
 
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