Battaglie turno 11

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Vele e cannoni:

Forze in campo: ufficialmente, flotta di Tunisi e Mamelucchi contro flotta regia di Portogallo e Spagna.

L'ammiraglio spagnolo Juan del Castillo si trovava al largo delle coste di Fez, in attesa di imbarcare le proprie truppe. Con loro vi era anche la piccola flotta portoghese, ormeggiata poco distante.
Il panico si diffuse rapidamente quando le vedette segnalarono l'arrivo di un'imponente flotta. Ci vollero pochi istanti per scorgere la bandiera gialla dei Mamelucchi, unita ad altri simboli dell'Islam.
Juan fece unire le due flotte e dispose le navi per la guerra ma la battaglia sembrava difficilissima fin da subito, mentre le flotte cristiane potevano su meno di 100 navi, i musulmani ne schieravano almeno 220, compresi alcuni gruppi di galee di fattura italica.
Il mare calmo si sarebbe presto trasformato in un lago di sangue.

La battaglia:

Juan cercò di recuperare lo svantaggio della superiorità numerica incanalando le proprie forze, con esterne le galee italiche, verso lo stretto di Gibilterra per rendere le manovre delle navi musulmane più difficili e faticose. La mossa però non diede i risultati sperati, infatto i Mamelucchi si mossero più rapidamente del previsto e arrivarono a contatto con la flotta cristiana in pochi minuti.
Volarono le prime salve di freccie, cannoni e i primi tentativi di abbordaggio. La superiorità del fuoco musulmano si faceva sentire terribilmente nonostante i marinai porghesi disponessero di una flotta meglio armata e soprattuto delle potentissime caravelle.
Queste ultime furono la speranza della flotta cristiana e furono usate come perno di sfondamento una volta perdute le galee più esterne. In un'azione molto coraggiosa i cristiani si lanciarono a cuneo contro lo schieramento musulmano, sperando di spezzarlo in due grossi tronconi.
I numerosi cannoni delle caravelle sortirono il loro effetto e, complice la scarsa manovra, diverse galee nemiche furono irrimediabilmente danneggiate.
La situazione mutò però rapidamente in una fase di stallo, con i cristiani che non riuscirono a sfondare ma le forze musulmane non poterono respingerli efficacemente.
Allora i Mamelucchi tentarono un attacco sui lati, compiendo una manovra ad est molto stretta lungo la costa. La mossa colse di sorpresa le stanche galee spagnole che tentarono di schiacciare i nemici contro gli scogli della costa ma non riuscirono a trovare la forza necessaria a causa del numero esiguo.
Dopo alcune ore la situazione dei cristiani stava diventando tragica. Le caravelle erano in procinto di essere circondate, tanto che dovettero ripiegare frettolosamente. La galee erano poche rispetto ai nemici e decisamente stanche, mentre i trasporti davano il supporto che potevano, Juan del Castillo si domandava se a questo punto non fosse il caso di ripiegare per evitare ulteriori perdite.
Sul lato sinistro alcune galee musulmane speronarono la controparte cristiana ed iniziarono un diffuso abbordaggio. I cristiani si difesero come leoni e mantennero le loro posizioni con fierezza, sacrificandosi fino all'ultimo uomo.
Era chiaro come una vittoria netta in questa battaglia fosse impossibile, perciò l'ammiraglio comandò la ritirata generale verso il porto di Lisbona, riuscendo a malapena a salvare quanto gli rimaneva.

Esito:
Vittoria netta della coalizione musulmana.
I Portoghesi perdono 9 galee 8 caravelle e 1 trasporto.
Gli Spagnoli perdono 4 trasporti, 7 galee italiche e 8 galee.
I Musulmani perdono una quarantina di galee, 4 galee italiche, 2 trasporti
 

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L'assalto a Fez:

Forze in campo: Ufficialmente, coalizione musulmana di Mamelucchi, Tunisi, Marocco e Sus contro esercito regolare di Portogallo e Spagna.

Poco dopo la grande battaglia navale di Fez la forze cristiane di terra sentivano che sarebbe successo qualcosa. Passarono solamente due giorni, poi giunsero gli eserciti musulmani da oriente, supportati dalle forze marocchine a sud per un totale di circa 30.000 uomini.
Le forze cristiane non ebbero nemmeno il tempo di fortificarsi e dovettero dare battaglia alla vecchia maniera, su un campo aperto sotto la cocente calura dell'estate marocchina. Gli spagnoli, senza i rinforzi dalla madrepartira, erano ridotti a poche migliaia e demoralizzati. I portoghesi presero il comando dell'esercito unito sotto il vessillo del capitano Ernesto d'Aviz, brillante cadetto appena uscito dalla scuola militare.
Unica fortuna delle truppe cristiane erano i nuovi archibugi ridotti spagnoli, anche se molto ridotti in numero. Le forze cristiane contavano circa la metà di quelle musulmane.

La battaglia:

Ernesto, conscio della superiorità delle proprie turppe da tiro, decise di tentare il tutto per tutto tenendo lontane le truppe musulmane. I tiratori a cavallo si lanciarono per sfoltire le file nemiche, con un esito abbastanza misero purtroppo.
Le truppe musulmane caricarono rapidamente su due lati, consci di schiacciare il nemico in una morsa a tenaglia, supportati dalla cavalleria leggera che cercò di ingaggiare i rapidi tiratori a cavallo iberici.
Nonostante il tiro degli arcieri le truppe musulmane si muovevano molto velocemente in un territorio in cui erano adatte e una volta arrivate a portata di tiro degli archibugi contavano ancora il grosso degli effettivi, con circa 2000 morti.
Le salve di proiettili si rivelarono molto più efficaci e facero cadere a tare diverse centinaia di nemici. Bisognava guadagnare ancora del tempo, quindi Ernesto radunò la cavalleria e si lanciò in una carica laterale contro il nemico. Fortunatamente la mossa non fu intercettata.
La carica della cavalleria mista riuscì a mettere in fuga circa 3000 soldati di scarsa qualità e a prendere abbastanza tempo per far tirare una nuova salva di proiettili moderatamente efficace. Nonostante questo le truppe musulmane si stavano avvicinando con grande rapidità, perciò, dopo un'ultima salva furono messi esterni i miliziani, i picchieri e i fanti pesanti mentre i fanti leggeri vennero lasciati mobili a tappare eventuali buchi.
Lo scontro corpo a corpo inizialmente fu favorevole ai cristiani che fecero parecchi morti, purtroppo però le truppe spagnole e portoghesi erano ancora in netta inferiorità numerica per riuscire a scacciare il nemico.
La cavalleria musulmana tentò un aggiramento e non venne fermata in tempo dai picchieri, sicchè si schiantò contro gli archibugieri nelle retrovie, creando grande panico. Ernesto e i suoi riuscirono a malapena a ricacciarli, con grande fatica per l'esiguità dei loro.
A dargli manforte giunsero i tiratori a cavallo ormai privi di proiettili che colpirono sul lato alcuni fanti leggeri, causando circa 800 perdite.
Nonostante tutto i musulmani continuavano ad avanzare e a spingere, ed ogni perdita per i cristiani era terribilmente tragica.
Il morale era a terra ma i difensori sapevano che per loro non esisteva ritirata, senza più la flotta sarebbe stata la vittoria o la morte, quindi incitati da Ernesto decisero di continuare ad oltranza.
La battaglia durò ancora diverse ore e gli iberici non sembravano intenzionati a cedere nemmeno un palmo di terreno. Ridotti ormai a poche dozzine di uomini, convennero di risolvere il tutto in un'ultima, disperata carica della cavalleria e dei pochi fanti rimasti.
Nonostante la buona voltà la mossa non serì a ribaltare la sorti: i valorosi soldati furono circondati e scannati fino all'ultimo. Su Fez venne issata la bandiera gialla dei Mamelucchi pochi minuti dopo.

Esito:
Vittoria di misura della coalizione musulmana.
La coalizione musulmana perde poco più di 20.000 effettivi.
La coalizione cristiana perde tutto il proprio esercito.
 

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Ferro e fiamme su Varsavia:

Forze in campo: esercito del Margiaviro di Brandeburgo, della Lega Anseatica e della Prussia contro esercito della Polonia-Lituania e della Repubblica di Pskov:

Il vecchio generale Frantz Von Neumak comandava nuovamente l'esercito unito contro la Polonia. Le sue fila si erano ingrossate con l'arrivo delle truppe anseatiche ed ora le sue forze contavano circa 30.000 effettivi, pronti per invadere la città di Varsavia, ricco crocevia di mercanti e principale centro abitato del nord polacco.
Le truppe polacche, guidate dal generale lituano Ladislao, si erano arroccate fuori dalla cittadina, con una forza di oltre 30.000 uomini, ingrandita dall'arrivo dei primi contingenti della Repubblica di Pskov.
Le truppe alleate di Novgord non erano arrivate, Ladislao non sapeva che erano state intercettate dalla potentissima flotta anseatica.
Una giornata di forte vento faceva presagire una battaglia all'ultimo uomo.

La battaglia:

L'esercito tedesco, prevalentemente da tiro, dispose i picchieri sulle ali e le truppe armate di lancia in modo da intercettare eventuali cariche di cavalleria polacca. Almeno metà delle truppe erano armate di archibugi o di balestre, perciò era vitale mantenere la distanza.
Sfortunatamente Ladislao si accorse del fatto e puntò tutto ad azzerare la lunghezza del campo di battaglia con un'avanzamento generale delle proprie truppe. Per primi i miliziani, sarebbero stati sacrificati alla Causa.
Volarono le prime scariche di dardi e proiettili, i miliziani caddero come mosche o furono feriti gravemente. Di tanto in tanto i Polacchi lanciavano finte cariche di cavalleria o rispondevano al fuoco con i loro archi, cercando di spezzare la linea di tiro nemica ma nonostante tutti i buoni propositi la disciplina dei tedeschi sembrava non cedere di fronte a nulla.
Con il passare dei minuti i miliziani furono sostituiti alla fanteria e agli arcieri. Anche questi subirono forti perdite ma lo scopo dei polacchi nell'avanzare stava avendo successo. Frantz si accorse di quanto i suoi nemici si stessero avvicinando e decise di guadagnare maggiormente tempo caricando insieme ai suoi compagni teutoni con le poche truppe di cavalleria di cui disponeva.
L'improvvisa azione lasciò sorpresi i polacchi, che rallentarono improvvisamente e non riuscirono ad intrappolare il nemico, che fuggì nelle retrovie lasciando a terra poco meno di un migliaio di fanti leggeri lituani.
Coperta la ritirata della cavalleria con il ferro degli archibugi, i tedeschi stavano diventando rapidamente i padroni del campo di battaglia.
Tuttavia la distanza fra le due armate si era colmata a tal punto da poter tentare una carica. Un terremoto squarciò la terra, quando 13.000 cavalieri, fra pesanti e leggeri, si lanciarono contro le truppe germaniche in due grossi tronconi, a destra e a sinistra, mentre il centro caricava a piedi.
Il lato destro fu investito da una pioggia di proiettili che lasciò a terra 400 cavalieri e ne rallentò l'avanzata, il sinistro si dimostrò troppo lento nel ricaricare e permise alle truppe polacche di giungere nel tanto sperato corpo a corpo.
Nonostante il coraggio dei picchieri la forza e l'impeto della cavalleria pesante fu devastante, tanto che in pochissimi minuti la situazione si riequilibrò. Le formazioni si interruppero e tutto divenne tipico di una battaglia dove conta più il coraggio individuale che la tattica.
In quel grumo di cadaveri, moribondi e combattenti la cavalleria pesante non seppe muoversi con sufficiente agilità da spezzare l'esercito nemico e il tentativo di una seconda carica fu vanificato dalla rapida reazione dei lancieri anseatici.
Contro ogni più drammatica previsione i cavalieri polacchi venivano falciati senza troppi problemi anche dai semplici miliziani, mentre l'arrivo dei fiacchi e demoralizzati rinforzi appiedati non fece che peggiorare la situazione. Cercando una via di fuga i polacchi non fecero altro che massacrare i loro stessi soldati, continuamente incalzati dalle truppe tedesche. Lo stesso Ladislao cadde colpito da una picca, mentre Frantz comandava agilmente i suoi dalla propria cavalcatura, al riparo.
L'esercito polacco, sconvolto, ordinò la ritirata generale.
Nonostante la vittoria le truppe tedesche, che avevano programmato di scendere fino a Cracovia, furono costrette a fermarsi a Varsavia per la troppe perdite.

Esito:

Vittoria di misura della coalizione germanica:
La coalizione polacca lascia sul campo: circa 18.000 uomini.
La coalizione germanica lascia sul campo: circa 14.000 uomini, due reggimenti di picchieri e uno di lancieri totalmente distrutti
 
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