Battaglie turno 1

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[size=1.45em]La grande battaglia della bassa svevia:[/size]


[size=1.35em]Forze in campo: vandali e romani d'occidente contro svevi[/size]


Dopo diversi accordi sottobanco i vandali e i romani si sono accordati per una soluzione comune al problema svevo. L'esercito vandalico al completo, forte di 10mila uomini, scende nella bassa svevia, attraversandone le fitte foreste e saccheggiando qualche villaggio, senza incontrare alcuna resistenza. I romani, con 5000 uomini si congiungono rapidamente all'esercito alleato e poi, uniti, marciano verso est per stanare le armate sveve. Lo scontro decisivo si ha tra i fitti alberi delle foreste germaniche, dove l'esercito svevo al completo, comandato dallo stesso re, si accinge a sbarrare il passo al nemico.
La situazione è resta difficoltosa non solo dal grande numero di alberi ma soprattutto da una fortissima pioggia battente che da quattro giorni vessava entrambi gli schieramenti. La cavalleria leggera alana dei romani si accorge in tempo della presenza degli svevi e può dare l'allarme. Così le due armate si dispongono e danno inizio alla mattanza.
Re Rechila arringa le truppe, il generale romano Lucullo da coraggio ai suoi mentre Gunderico, figlio prediletto del re vandalo, si posiziona con i suoi fanti pesanti lanciando un terrificante urlo di guerra.


[size=1.45em]La battaglia:[/size]

[size=1em]I primi ad avanzare sono gli arcieri degli svevi ed i loro tiratori, che si dirigono contro lo schieramento vandalico visto che, stranamente, Gunderico ha ordinato di lasciare i propri tiratori nelle retrovie.
La pioggia e gli alberi però giocano a suo favore ed infatti le truppe vandaliche subiscono pochissime perdite. i romani dal canto loro muovono in avanti i propri tiratori, sperando di cogliere il nemico sul fianco. L'operazione riesce ma anche qui i risultati sono scarsissimi.
Allora re Rechila cambia tattica e, dopo aver ordinato ai suoi di ripiegare, lancia un assalto frontale contro l'esercito vandalico

Il centro dello schieramento vandalico, composto da fanti pesanti, regge perfettamente all'urto delle bande da guerra sveve e così comincia la loro carneficina. Ai lati le bande da guerra vandaliche sono ingaggiate dai lancieri svevi, superiori di numero, mentre la cavalleria sveva si lancia contro i tiratori romani, tentando faticosamente di disperderli. I romani rispondono con l'invio sul campo dei loro cavalieri, inferiori rispetto a quelli svevi. e poi spostano i fanti pesanti contro il fianco sinistro degli svevi, cercando di travolgerne i tiratori nelle retrovie.
L'operazione viene vista ed intercettata dalla fanteria pesante di re Rechila, numericamente superiore.

La battaglia continua per ore nel sangue e nella pioggia.
Ad un certo punto il centro svevo cede di schianto e le sue bande da guerra si precipitano vorticosamente in ritirata incalzate dai fanti di Gunderico. Non va però così bene alle ali. Infatti le bande da guerra vandaliche vengono messe in rotta dalla superiorità dei lancieri svevi, nonostante il gruppo a sinistra riesca praticamente ad ucciderne la metà.

Intanto la cavalleria romana viene messa in rotta dalle truppe sveve. Durante la ritirata un colpo di lancia colpisce alla schiena il generale Lucullo, che cade di schianto, causando grande paura nei suoi.
Le fanterie pesanti romane e sveve continuano ad affrontarsi per diverso tempo, infliggendosi perdite considerevoli. Alla fine sono i romani a cedere, ripiegando disperatamente ma agli svevi non è andata certo meglio visto che hanno perso quasi la metà dei propri effettivi.

Ora si giunge alle fasi finali: la fanteria pesante vandalica si unisce ai lanceri freschi e ai tiratori, mentre le poche truppe romane ancora in campo (circa 1200 tiratori) si spostano sul lato destro dei vandali come supporto.
Gli svevi avanzano con i loro fanti pesanti contro il centro dello schieramento vandalico, mentre la cavalleria si lancia sul fianco dei tiratori e i lanceri svevi contro quelli vandali.

La fanteria vandalica subisce perdite pesantissime, tanto che è quasi in procinto di rompere le righe, quando, per immensa fortuna, una spada vandala colpisce alla gola re Rechila, uccidendolo. La cosa terrorizza i fanti pesanti svevi che abbandonano il campo dandosi alla fuga. Li seguono poco dopo i lanceri, nonostante fossero prima riusciti a scacciare quelli vandalici.
La cavalleria sueba lancerà un paio di cariche con un certo effetto, disperdendo prima i tiratori romani e poi lanciandosi contro quelli vandalici. Tuttavia, nonostante il successo pare ormai chiaro che il campo sia in mano ai vandali.
I cavalieri si ritirano ordinatamente, coprendo le truppe in fuga.
I Vandali e i romani superstiti gridano di gioia per la vittoria e picchiano sugli scudi in onore di Gunderico, il loro generale.


[/size][size=1.45em]Esito:[/size][size=1em]
Vittoria di misura della coalizione vandalico romana
I suebi lasciano sul campo: 1200 fanti pesanti, 1900 lancieri, 1230 cavalieri leggeri, 88 arcieri, 90 tiratori e 1112 soldati della banda da guerra, oltre che il loro re.
i romani lasciano sul campo il loro generale, più di mille fanti pesanti, circa 1200 tiratori e 700 cavalieri leggeri.
I vandali lasciano sul campo: 1420 soldati della banda da guerra, 400 lancieri, 1010 tiratori, 440 fanti leggeri e 1207 fanti pesanti
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Il massacro della Dacia

Forze in campo: Federazione unna contro Federazione dei Carpici

Poco si sa di questa battaglia. Sicuramente l'esercito unno ha invaso le provincie carpice ad est, quelle terre che i romani chiamano Dacia. I Carpici, forti di un esercito superiore per numero e confidando nella loro leggendaria fanteria pesante hanno dato battaglia agli Unni in una pianura stepposa, durante un giorno di pallido sole.
Gli arcieri a cavallo unni hanno facilmente avuto la meglio sulle lente e corazzate truppe dei carpici e, una volta svuotate le faretre, li hanno caricati lateralmente causando il panico generale.
I superstiti si sono arroccati nelle province occidentali ancora in loro possesso ed hanno annunciato che resisteranno fino alla vittoria o moriranno combattendo.

Esito: probabile vittoria schiacciante degli Unni.
I Carpici lasciano sul campo: secondo i romani d'Oriente 7000 uomini, secondo gli Unni 15mila, secondo gli Iazigi 10-14mila, secondo i Marcomanni 18mia uomini.
Gli Unni lasciano sul campo: secondo i romani d'Oriente 4000 uomini e il figlio di Donato, secondo gli Unni 286 cavalieri, secondo gli Iazigi 3300 uomini, secondo i Marcomanni 3990 uomini, secondo i longobardi 5234 uomini.
 

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La battaglia per la Frisia

Forze in campo: tribù franca contro tribù frisa

Un bel giorno di primavera del 405 le truppe franche inviano una rozza dichiarazione di guerra ai frisi, seguita da un'autentica invasione. L'esercito franco, comandato dal nobile re Faramondo, seguito dal fidato luogotenente Berto è al completo, forte di poco meno di 15mila uomini, comprendendo soprattutto la leggendaria cavalleria pesante franca.
I frisi inizialmente cedono terreno tentando di organizzarsi. Sono stanchi per i raid effettuati e subiti, inoltre hanno lo svantaggio di non possedere cavalieri pesanti e di essere in inferiorità numerica. Anche il terreno pianeggiante delle Frisia non è di certo d'aiuto.
Re Clodo raduna tutti i suoi effettivi, 9000 uomini e poi parte alla volta degli invasori, confidando nella sua arguzia e nella forza dei suoi guerrieri.
La battaglia decisiva si ha in una pianura poco distante dal mare della frisia, in un giorno ventosissimo dove ogni dardo ed ogni freccia perde il controllo e la traiettoria.

La battaglia:

La cavalleria pesante copre le ali più esterne, i fanti pesanti franchi coprono il centro mentre lanceri e bande da guerra rimangono nelle retrovie. Agli arcieri e ai tiratori viene ordinato di bersagliare gli avversari ma vedendo quanto è forte il vento re Faramondo si convince a lasciar perdere e inviarli nelle retrovie.
Re Clodo schiera in prima linea le bande da guerra e la fanteria leggera, dietro i fanti pesanti, la cavalleria leggera e i preziosissimi lancieri. I tiratori vengono inviati nelle retrovie.

L'esercito franco avanza con passo cadenzato. La fanteria pesante si dispone a cuneo, dando l'idea di voler sfondare direttamente le bande da guerra frise. Re Clodio però, riflettendo, comprende che si tratta di una proverbiale trappola, intuendo che il nerbo dell'assalto sarà la cavalleria pesante. Così finge di cadere nel tranello e ordina a tutta la prima linea di caricare il centro dello schieramento franco. Le bande da guerra impattano contro il muro dei fanti pesanti per prime subendo perdite pesantissime. Quando è il momento dei lancieri questi deviano rapidamente a sinistra e si lanciano in uno scontro frontale contro la cavalleria pesante, seguiti da una banda da guerra. La fanteria leggera frisa fa lo stesso, carica frontalmente i cavalieri pesanti franchi annullando così i vantaggi della loro carica.

I lanceri impattano contro la cavalleria e sono danni enormi per entrambi. Sorprendentemente sono i primi a riuscire a cavarsela, mandando in rotta la fiera nobiltà franca. In questo scontro muore anche Berto, colpito all'addome da una punta di lancia. Sul lato destro invece le cose vanno in modo diametralmente opposto: i frisi combattono come leoni ed infliggono perdite rilevanti ai cavalieri franchi ma non c'è niente da fare, questi hanno la meglio e li mandano in rotta.
Al centro le bande da guerra crollano e si danno alla fuga ma il loro vuoto viene riempito immediatamente dai fanti pesanti di re Clodio. Anche il vuoto lasciato dai fanti leggeri viene riempito dalla carica della cavalleria leggera frisa che impatta contro quella franca.
Se lo scontro continuasse in questo modo i frisi avrebbero ancora una possibilità ma, sentendosi pressato, re Faramondo ordina l'attacco a destra di 4000 soldati della banda da guerra franca e a sinistra di mille lancieri.
La cavalleria leggera frisia viene facilmente sopraffatta e i pochi superstiti si danno alla fuga. I lancieri frisi resistono stoicamente per diversi minuti ma alla fine le perdite subite si rivelano troppe e devono abbandonare il campo, in preda al terrore. Rimangono solamente i fanti pesanti di re Clodio a combattere. Questi danno sfogo a tutta la loro furia e, in un'ultima e disperata spinta in avanti riescono a travolgere i fanti franchi, colpendo a morte lo stesso re Faramondo.
Clodo può morire con una certa soddisfazione, colpito al fianco dai cavalieri franchi, conscio di essersi fatto onore e di aver lottato fino all'ultimo.

Esito:
Vittoria netta dei Franchi
I Franchi lasciano sul campo 963 fanti pesanti, 570 soldati della banda da guerra, 708 cavalieri pesanti, 280 lancieri il re Faramondo e il luogotenente Berto.
I Frisi lasciano sul campo: 800 cavalieri leggeri, 1000 fanti pesanti, 1888 soldati della banda da guerra, 720 lancieri, 810 fanti leggeri e il re Clodio
 

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Battaglia per la terra dei quadi:

Forze in campo: tribù longobarda e ribelli quadi di Aio contro tribù marcomanna e lealisti di Ulfila.

Dopo aver accolto la richiesta di aiuto di alcuni fuggischi Quadi, re Lamissione il Coraggioso si mette alla testa del suo esercito ed invade la terra dei quadi, sotto giogo marcomanno. Qui riceve l'applauso della popolazione locale e vede ingrossarsi le sue file con oltre 4000 soldati quadi, convinti che sia giunta l'ora del loro riscatto.
I Marcomanni simuovono assai lentamente poichè prima devono trovare un nuovo sovrano. Nominano temporaneamente come re il generale Wulfgar e quindi si dirigono verso sud a contrastare gli invasori.
L'esercito longobardo è forte di circa 18mila uomini ed è comandato, oltre che da re Lamissone, dal giovane e valente erede Leti della fara letingia.
I Marcomanni schierano 20mila uomini al comando di Wulfgar e come vice pongono il quado Ulfila,di una fara lealista.
Lo scontro avviene ai margini di una foresta, su un terreno fangoso e molle, gonfiato da 12 giorni di piogge torrenziali e dall'umidità.


La battaglia:


Dopo aver arringatoi suoi con una proverbiale orazione, re Lamissone fa avanzare gli arcieri ed i tiratori. I Marcomanni rispondonocon l'invio di un ugual numero di forze.
I primi colpi si concludono in un sostanziale pareggio. I tiratori marcomanni subiscono forti perdite ma riescono a mandare in rotta quelli longobardi e per gli arcieri succede l'opposto.
Dopo le prime scaramucce re Lamissone da l'ordine di un'avanzata generale.
Il lato sinistro dei longobardi, composto dai lancieri, si schianta contro i lancieri marcomanni, superiori in numero di tre volte. Intanto i fanti leggeri longobardi tentano di aggirare lo schieramento puntando sul lato ma anche questi vengono intercettati da 3000 fanti leggeri marcomanni delle riserve.
Intanto al centro la banda da guerra comandata da Lamissone in persona si schianta contro le bande da guerra dello schieramento centrale marcomanno. Il lato sinistro, dove alberga la fanteria pesante longobarda, avanza lentamente e permette ai pochi arcieri rimasti di bersagliare la banda da guerra marcomanna.


Sul lato sinistro i primi a crollare sono i lancieri longobardi, ovviamente per la netta inferiorità numerica. La fanteria leggera invece resiste stoicamente nonostante un accerchiamento. Sarebbero stati tutti quanti uccisi se non fossero arrivati i berserker longobardi, comandanti da Leti in persona.
L'arrivo dei rinforzi ha un effetto totalmente dirompente. I pochi fanti superstiti vengono liberati e la fanteria marcomanna si trova immediatamente in difficoltà, subendo inoltre per il terreno molto faticoso.
Al centro le due bande da guerra, aiutate dagli ausiliari quadi combattono ferocemente. In una foga degna dei migliori racconti dei bardi i combattimenti proseguono lungamente con spaventose perdite da entrambe le parti. Re Lamissone è una delle prime vittime ma i longobardi non si disperano, incalzati dalle urla del generale Leti. Anche Wulfgar cade in combattimento e, nonostante le parole di Ulfila, i suoi si demoralizzano.
Il lato destro vede la fanteria pesante longobarda avvicinarsi alla cavalleria marcomanna. Questa tenta un aggiramento ma il fango rende difficoltoso il movimento dei cavalli che sono facile bersaglio degli arcieri. I fanti pesanti allora si dividono, una parte rimangono a guardia degli arcieri e una parte si muovono verso destra, prendendo sul fianco le bande da guerra marcomanne.
Intanto a sinistra i berserker mettono in rotta i fanti marcomanni, subendo comunque delle perdite più che lievi. Fortunatamente la batttaglia si fa pa più serrata e la bande da guerra possono aiutare i berserker e salvaguardare Leti, che subisce un taglio al braccio destro ma rimane inpiedi.
A questo punto i marcomanni mandano in campo la fanteria pesante, comandata da Ulfila, ad aiutare le bande da guerra.
Intanto i fanti pesanti reggono una carica della cavalleria leggera e mettono in fuga i restanti. Quindi si ricongiungono alla battaglia e, in una grandissima confusione, riescono a mettere in fuga quello che resta dell'esercito Marcomanno, grazie anche ad una nuova carica sul fianco destro.

Leti viene acclamato come vincitore della battaglia e acclamato con clamore di scudi re dei longobardi.
Ulfila, catturato, chiede perdono e giura la sottomissione al re longobardo e a chi lui eleggerà come re dei Quadi.

Esito:
Vittoria di misura dei Longobardi e dei Quadi ribelli.
I longobardi lasciano sul campo 948 fanti leggeri, 218 tiratori, 400 lancieri, 680 fanti pesanti, 8 cavalieri leggeri, 890 arcieri, 1935 soldati della banda da guerra, 143 berserker e il re Lamissone.
I Marcomanni lasciano sul campo: 600 tiratori, 488 arcieri, 1478 cavalieri leggeri, 2800 soldati della banda da guerra, 233 fanti pesanti, 1500 lancieri, 2456 fanti leggeri e il re Wulfila
I quadi (entrambi gli schieramenti) lasciano sul campo: circa 7000 soldati della banda da guerra
 
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