[Accompagnatrici] In missione per conto di Dio

"Ok, avanti un terzo.. rallenta, rallenta.. quella valle lì, la vedi sul Cortex?"
"Si, vista. Che letture dà il Dradisì"
"Negative, i riverberi di quelle astronavi giganti confondono tutto lo schermo. La rotta è in settaggio Gamma-Sei."
"Capitano, ho un debole tracciato radio. Ultrabianco, appena entro la scala, distanza valutata.. duemilasettecento, in diminuzione."
"Sono loro. Mi raccomando, buca l'atmosfera in volo radente, non voglio esplosioni che ci facciano risaltare come un maiale nell'Apogeo di Ipatia."
"Capitano, con tutto il rispetto, si fotta. Conosco il mio mestiere meglio di come suo padre conosceva sua madre: saremo al punto di incontro in meno di due ore, come da accordi, e senza che nessuno ci noti."


Il capitano Mika Aaltonen sospirò, soddisfatto di come stava andando la "missione", come la chiamava lui. Il suo equipaggio ridotto all'osso stava lavorando bene, come serviva in un trasporto bagnato come quello, concentrato sulle consolle per osservare eventuali segnali di pericolo. Il pensiero di un faser che colpiva la gondola bastava come stimolo a non lasciarsi sfuggire nulla.

"Capitano. Devo parlare."

La figura femminile alla spalle di Aaltonen raggiungeva al massimo il metro e sessanta, e l'aspetto efebico la faceva apparire come indifesa.
Quella voce però.. così profonda, morbida, seducente. Una voce capace di rapire il cuore di un uomo, se non stava attento.

"Mia signora.. come avete sentito, meno di due ore e saremo a destinazione. Le serve aiuto con i bagagli? I suoi compagni sono pronti?"
"Non qui capitano. Mi segua nella mia cabina, la prego."


Si voltò, camminando quasi come se fosse senza peso, e il capitano si sorprese a seguirla come un cagnolino. Il corridoio terminò davanti alla porta, e quando la mano di lei toccò lievemente il pulsante di apertura, in Aaltonen ormai era maturato il profondo desiderio di soddisfare ogni sua richiesta, nella speranza di averla per se per qualche istante.

[...]

L'atterraggio della Kiku fece alzare dalla superficie del pianeta una piccola nuvola di polvere. Le figure che attendevano pazienti erano avvolte da pesanti tute, in modo da poter sopportare la pressione e la mancanza di ossigeno.
Quando finalmente con sibilo la porta di carico si aprì, si misero alacremente all'opera, salendo subito a bordo per depositare pesanti casse che avevano accumulato sotto un tendone olomimetico. Il loro capo si avvicinò alla figura imponente del capitano Aaltonen, sogghignando dietro la visiera.

"Viaggio duro, mister Gold?"
"Non più del solito, mister Iron. Vedo che la merce c'è tutta."
"Come sempre, lo sa che di me si può fidare."
"No. Non come sempre."


Il sibilo dei laser fu lievissimo. In un attimo i sette uomini che stavano caricando e il loro capo caddero, morti prima di toccare il terreno, senza riuscire a dire una parola. La donna guidò fuori gli altri sei passeggeri, le armi calde nelle fondine, e fece cenno di sbarcare due pesanti casse. Il capitano era certo che ci fosse oro, lì dentro, ma ormai non gli importava più nulla di quella schifosa missione.

"Capitano, sembra che il nostro viaggio insieme si sia appena concluso. Saremo qui tra un mese, come al solito, per il prossimo carico."
"La loro astronave.."
"E' dietro quella collina, camuffata. Lo so, i miei l'hanno tracciata mentre stavamo atterrando."
"Bene. Voglio dire, ottimo lavoro. Allora arrivederci, Agente Dio."


Un sorriso, un barlume di umanità dietro lo spesso tiritio della visiera.

"Mi chiami miss Iron, la prego."
 
Alto