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l decreto Cura Italia prevede, a partire dal 17 marzo 2020 (data della sua entrata in vigore) e per i successivi 60 giorni, e cioè fino al 15 maggio 2020 compreso, che il datore di lavoro non possa avviare nuove procedure di licenziamento collettivo e sospende quelle pendenti e avviate dopo il 23 febbraio 2020. Dispone anche che il datore di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti in forza, non possa effettuare alcun licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Da un’approfondita lettura della norma emerge, però, qualche incongruenza che rischia di generare facili incomprensioni…

Stiamo assistendo, ormai da alcune settimane, a una fitta decretazione sedicente antivirale. Compito non facile, beninteso. I provvedimenti si susseguono a ritmo incalzante, fonti normative (decreti legge) e atti amministrativi (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, Decreti Ministeriali e Ordinanze contingibili ed urgenti di Governatori e Sindaci) dispongono, con scadenze temporali brevi e diverse, sulle stesse fattispecie, sovrapponendosi senza evidenti gerarchie, tanto da rendere necessario un decreto ad hoc per stabilire i reciproci confini normativi (D.L. n. 19/2020). Nondimeno, per le conseguenze pratiche che le nuove disposizioni producono, era lecito confidare in una ben superiore qualità redazionale.
E non ci riferiamo solo a qualche zoppia linguistica di troppo e ad una semantica talvolta ambigua, a difetti nel coordinamento o nei richiami normativi, quanto piuttosto a veri e propri passi “falsi o errori giuridici” come ad esempio nel caso della rubrica dell’art. 46 del D.L. n. 18/2020: “Sospensione dei termini per l’impugnazione del licenziamento”, del tutto incongruente rispetto al suo contenuto che riguarda il divieto o la sospensione delle procedure di licenziamento economico-organizzativo e non già l’impugnazione della misura espulsiva.
Ciò premesso e impregiudicata la massima giuridica “Rubrica legis non est lex”, non resta che addentrarci nell’analisi del provvedimento.
Il precetto sancisce che, “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
In via di estrema sintesi la norma può essere così schematizzata: a partire dalla data di entrata in vigore del Decreto, ossia il 17 marzo 2020 (così come sancito ex art. 127) e per i successivi 60 giorni e cioè, fino al 15 maggio 2020 compreso:
a. il datore di lavoro non può avviare nuove procedure di licenziamento collettivo;
b. sono sospese le procedure di licenziamento collettivo pendenti e avviate dopo il 23 febbraio 2020;
c. a prescindere dal numero dei dipendenti in forza, il datore di lavoro non può effettuare alcun licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Da una prima lettura, è possibile individuare alcuni spunti di riflessione, distinguendo l’impatto della norma emergenziale, sulla disciplina dei licenziamenti collettivi e su quella dei licenziamenti individuali.
Il riferimento agli artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223/1991 riguarda:
· il licenziamento collettivo dei lavoratori sospesi a seguito dell’ammissione dell'impresa al trattamento straordinario di integrazione salariale, nel caso in cui nel corso di attuazione del programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale, essa non sia in grado di garantire il reimpiego a tutti e di non poter ricorrere a misure alternative (ex mobilità);
· il licenziamento collettivo per riduzione del personale (da parte di datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti, e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni).
Il primo dubbio interpretativo emerge in ordine alla disciplina applicabile alle procedure di licenziamento collettivo avviate prima del 23 febbraio, in ragione di circostanze del tutto avulse dall’emergenza sanitaria in corso (ad esempio, per la decisione datoriale di cessare l’attività e disporre la chiusura aziendale).
Interpretando la norma alla luce del suo tenore letterale e della ratio sottesa al decreto legge in commento, ossia contrastare gli effetti economico-occupazionali del COVID-19, è ragionevole ritenere che nelle ipotesi di cui sopra non si dovrebbe determinare alcuna sospensione della procedura e dei possibili conseguenti licenziamenti.
Tali procedure, infatti, poiché avviate prima del 23 febbraio 2020, data che farebbe operare una sorta di presunzione, “in re ipsa”, del collegamento con l’emergenza sanitaria in corso, possono reputarsi estranee all’emergenza sanitaria che il Decreto vuole contrastare.
Non pare, pertanto, che alle procedure collettive anteriori la fatidica data dell’epifania virale, ma, a quella stessa data, non ancora sfociate nel licenziamento, si possa estendere il divieto di recesso previsto sub c), il quale, invece, sembra applicabile, come si dirà in seguito, ai soli licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo (ma, ovviamente, non per giustificato motivo soggettivo) e ciò anche in virtù dell’espresso richiamo all’art. 3, ultima parte, della legge n 604/1966, che per l’appunto detta la disciplina di questi ultimi.
Anche per quanto riguarda l’effettiva portata del “divieto di recesso” sub c), le perplessità non mancano.
È, infatti, possibile ritenere, come sopra accennato, che tale proibizione sia riferibile ai soli licenziamenti individuali, e ciò sia perché essa segue la disciplina espressamente dettata per i licenziamenti collettivi, sia perché, come appena rilevato, richiama espressamente l’art. 3 della legge n 604/1966, la quale, all’art. 11, sancisce che la materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è esclusa dalle disposizioni in essa contenute.
Pare dunque che tale norma debba intendersi nel senso che al datore di lavoro è fatto divieto, tra il 17 marzo 2020 e il 16 maggio 2020:
· sia di avviare nuove procedure di licenziamento individuale per g.m.o.;
· sia di concludere le procedure di licenziamento individuale per g.m.o. pendenti alla data del 17 marzo 2020.
Tale affermazione discende dall’interpretazione letterale della disposizione, la quale impone, tout court, un “divieto di recesso” per g. m. o. valido in generale, senza che possano essere operate distinzioni tra le procedure di licenziamento individuale da avviare e quelle già in corso, entrambe da ritenersi parimenti precluse.
Di particolare interesse appare l’applicabilità o meno dell’art. 46 del D.L. n. 18/2020 anche al licenziamento del dirigente.
Sul punto meritano di essere svolte due distinte analisi in relazione ai licenziamenti collettivi e ai licenziamenti individuali.
Con riferimento ai licenziamenti collettivi non sembra occorrano particolari approfondimenti, sicché, di conseguenza, tra il 17 marzo e il 16 maggio 2020, i dirigenti (senza alcuna distinzione), al pari di tutti gli altri lavoratori, non potranno essere coinvolti in procedure di licenziamento collettivo, nel senso, rispettivamente, del divieto di avvio di nuove procedure e della sospensione di quelle pendenti e avviate dopo il 23 febbraio 2020.
Un ragionamento necessariamente diverso si profila, invece, in relazione all’ipotesi di licenziamento individuale del dirigente.
A tal proposito, anche alla luce della consolidata giurisprudenza sull’argomento, il “divieto di recesso” nei confronti del dirigente appare a prima vista riconducibile e due distinte ipotesi:
· la prima ipotesi induce a ritenerlo inapplicabile ai dirigenti “apicali”, che pertanto potrebbero essere licenziati secondo la nozione di giustificatezza e ciò in quanto godono delle tutele contrattuali ma non di quelle della L. n. 604/1966, espressamente richiamata nella norma in commento;
· la seconda ipotesi, viceversa, induce a ritenerlo applicabile nei confronti dei dirigenti “non apicali”, i “pseudo-dirigenti”, e ciò in quanto destinatari, per consolidata giurisprudenza, delle tutele della L. n. 604/1966.
Il divieto di licenziamento di cui all’art. 46 del D.L. n. 18/2020, si riconduce, nonostante la temporaneità del precetto, all’interno delle ipotesi di nullità del licenziamento previste dalla legge (art. 1418, commi 1 o 3 c.c. e non per frode alla legge ai sensi degli artt. 1343 e 1418, comma 2 c.c.) o nelle quali il licenziamento è intimato per un motivo illecito determinante (ex art. 1345 c.c.).
Anche nel caso del divieto di licenziamento in esame, che potremmo definire da Covid-19, si applicherà, ex art. 18, comma 1, St. Lav. (licenziamento riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 c.c.) nonché ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 (licenziamento riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge), la reintegrazione nel posto di lavoro oltre all’indennità risarcitoria piena a prescindere dal numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro.
In conclusione, non può evitarsi di ricordare che, pur non essendo espressamente affermata quale ulteriore ipotesi vietata di licenziamento individuale per g.m.o. di cui all’art. 46 del D.L. n. 18/2020, anche il licenziamento per superamento del periodo di comporto che avvenisse conteggiando la malattia o la quarantena equiparata a malattia per Covid-19, risulterebbe affetto da nullità e ciò in quanto, secondo la lettera dell’articolo 26, comma 1, del D.L. n. 18/2020, tale malattia (o equiparazione ad essa) è riconducibile, evidentemente anche in ragione della straordinarietà dell’emergenza patologica, a cause che consentono l’esclusione delle assenze di malattia dal periodo di comporto, come, ad esempio, l’infortunio sul lavoro (ricordiamo, in tal senso, che l’art. 42, comma 2 del D.L. n. 18/2020, stabilisce che nei casi accertati di infezione da coronavirus contratta in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato) o le gravi patologie previste dal CCNL.
E’ possibile ritenere, in conclusione, che se il divieto di licenziamento oggettivo-economico non verrà reiterato, cosa che si ritiene più che probabile, dal 16 maggio si assisterà, purtroppo, ad una lunga serie di licenziamenti per g.m.o., soprattutto nei settori produttivi più esposti alla crisi economica determinata dall’emergenza Covid-19, ossia quelli che da più tempo sono impossibilitati a produrre e vendere i propri beni e servizi.


https://www.ipsoa.it/documents/lavo...20/04/04/pasticciaccio-licenziamento-covid-19

WOT e KOT.
 

Epitaffio

SoHead Technician
a Milano risale l'indice dei contagiati. Qui da noi (che si è stato sempre abbastanza tranquilli con pochissimi casi e quasi tutti che rispettavano la quarantena) vedo più gente fuori/assembrata di prima
 

Wizard

Lonely Fapper
La pandemia ci sta lasciando e sebbene un pochino sia ancora qui con noi me ne sento un pochino orfano.

E io che sono astuto ho aspettato settimana scorsa per fare il sierologico, che ha dato risultato positivo sia per igm sia per igg, con la conseguenza che mentre tutti iniziano a fare grigliate e aperitivi, io mi godo ulteriori 14gg di isolamento domestico [emoji537]


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Mikhail Mengsk

MSPAINT OVERTYRANT
La fregatura del test è quella: SAI che se lo fai e ti trovano infetto lo prendi in culo tu in tutti i sensi possibili ed immaginabili. Lavorativamente, economicamente, socialmente. Al di là del non poter vedere gli amici, se sei un libero professionista o elemento essenziale per la tua ditta sai che se ti trovano positivo sei nei guai.

Con questa spada di Damocle sulla testa, chi se la sente di rischiare?
 

Wizard

Lonely Fapper
Infatti perfino il mio medico di base quando l'ho chiamato per chiedergli cosa fare mi ha letteralmente detto "che cazzo fate i sierologici! se me l'avessi detto prima... bravo ora stattene 15gg in casa".
Messa così in pratica il sistema disincentiva gli asintomatici a togliersi il dubbio. Senza contare che solo la Liguria, almeno in 3 delle sue 5 ASL, ha protocolli diversi: in quella genovese se sei positivo alle IgM devi fare un tampone e stop. In quella Savonese (la mia) se sei positivo alle IgM puoi decidere: o 14gg in isolamento volontario, oppure 2 tamponi che devono essere entrambi negativi. In quella imperiese ti fanno 1 solo tampone, ma anche se sei solo positivo alle IgG. Non ho idea di cosa facciano nelle ASL di Chiavari e La Spezia... ma è assurdo, come minchia fa il cittadino ad accettare con fiducia restrizioni e indicazioni sanitarie quando tutti sti protocolli diversi indicano semmai che la verità non ce l'ha nessuno? Belin piuttosto facciano finta di essere tutti convinti e adottino una linea unitaria.
 

Epitaffio

SoHead Technician
E' finita finchè non riaprono i viaggi dall'estero e gli stronzi americani fanno riaprtire tutto
 

Rebaf

Get a life
Fantacalciaro
Semplicemente. Non finirà mai, se ci aspettiamo gli zero casi non succederà mai nella vita probabilmente. Purtroppo sono arrivato alla cinica conclusione che o continui con le misure dure per un anno ancora nella speranza di un vaccino/terapie efficaci, o le cose dovranno necessariamente fare il loro corso (inb4 Malthus si fa i seghini).
 

Mikhail Mengsk

MSPAINT OVERTYRANT
Che palle paragonare mele e pomodori.

Qual'è l'età media dei paesi? Quanto sono diffuse e rispettate le norme precauzionali? Qual'è la densità abitativa? Come è distribuita nel paese? Quanto sono sani gli anziani? Quanti posti in terapia intensiva sono disponibili? Quanto sono ben tenute le residenze per anziani? Come si è diffuso il contagio? Come vengono calcolate le vittime? Quanto sono affidabili i numeri pubblicati?

O si sanno tutte queste cose o si parla di aria fritta.
 
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