Contest Scritti d'inizio anno [CONCORSO LETTERARIO DELL'ACCADEMIA SOHEADDIANA]

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Ostrègone

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Fantacalciaro
Eccoci finalmente giunti al momento più atteso, ovvero la pubblicazione degli scritti in gara per il concorso "Scritti d'inizio anno".
Un grazie agli scrittori partecipanti e agli utenti che voteranno.
Vi ricordo che è possibile esprimere una sola preferenza e che il poll verrà chiuso tra 10 giorni esatti.
 

Ostrègone

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Primo testo in concorso:

UN PENSIERO

Mettemmo a terra, insieme, la prima pietra di questo luogo; così il nostro desiderio era finalmente diventato il nostro presente.
La silenziosa nostalgia ammantava i ricordi della nostra vecchia casa, quella che ormai era troppo piccola e stretta per chi come noi era cresciuto lì dentro per tanti anni.
Una grande concordia e passione ci tenevano uniti in quei giorni e spronavano tutti a creare il luogo che avevamo immaginato negli iniziali entusiasmi, scaturiti da quella scintilla che ci aveva spinto a chiudere una porta e aprirne un’altra. Eppure la nuova casa non era ancora conclusa, anzi ogni giorno erano necessari dei cambiamenti per rendere sempre più bella la nostra dimora. Volevamo ripartire da qui, da questo nuovo inizio, più consapevoli e maturi.
Certo, non mancavano le difficoltà nell'attuare la nostra idea, forse troppo piena di speranza: chi ci lasciò perché era soltanto di passaggio, chi non riuscì ad ambientarsi e andò via silenziosamente, chi uscì tra le urla e le imprecazioni. Ma andavamo avanti, perché l’ideale e il senso d’appartenenza era la cosa più importante di ciò che stavamo costruendo lentamente.
Gli anni trascorrevano più velocemente del previsto, tanto che ci pareva assurdo che questo posto non esistesse da sempre nella nostra vita. Il tempo aveva portato con sé nuove persone, per lo più indifferenti al nostro spirito, ma anche tanti addii. Molte persone, infatti, si allontanarono da qui per mete di cui non sapemmo mai nulla. Dopo era veramente strano vedere i loro segni sulle pareti malinconiche, cariche di immagini della loro e della nostra memoria.
Adesso siamo solo io e te, in questo grande spazio che non ha più molta dell’energia che lo animava; e in quest’assenza i nostri sguardi non vogliono più incrociarsi quando siamo vicini.
Io non voglio arrendermi, e neanche tu per quanto ne so. Perché non salvarla insieme? È la nostra casa dopotutto, è stata ed è importante per te e per me, basta soltanto questo. Proviamoci.
 

Ostrègone

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Secondo testo in concorso:

LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Avvertenza:
CONTIENE BESTEMMIE

Sono ubriaco. E allora? Non vedo perché questo dovrebbe deporre a mio sfavore. Sarò sincero, come sempre, e questa è la prima e ultima garanzia che possa darvi. Semplicemente, non ne ho altre.
Sono fermo, all'impiedi, sotto una tettoia di lamiere suonata dalla pioggia come un hang, aspettando l'ultimo 2 che mi porterà a casa. E' mezzanotte e otto minuti, è il 21 febbraio 2014. Tra un mese sarà primavera.

LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Racconto per gente di trent'anni

Poche persone, alla fermata del bus. Le passo in rassegna per non saper cosa guardare (cosa scrivere): una ragazzina di massimo vent'anni con il viso illuminato dalla luce liquida del suo enorme smartphone; una colombiana che ciarla al telefono con la sorella di Pasco (-6 ore di fuso); un cinquantenne rubizzo, e visibilmente ciucco, le cui orecchie sono nascoste da un paio di cuffie da 300 euro, e che porta una cartella di documenti sotto l'ascella; un giovane (tra i 15 e i 45 anni) proveniente dal Corno d'Africa e, con buone probabilità, dealer a fine turno; infine, proprio accanto a me, un cinese stagionato e puzzolente di birra. Mi sta guardando, e il suo volto è una smorfia di disgusto e fastidio. Ce l'ha con me? Sto per fare a pugni con lui?
Apro la bocca per dirgli “Che c'è, hai un problema?” ma un attimo prima le sue labbra fini si contraggono nuovamente come per uno sforzo, e sento un orrendo, gorgogliante peto fuoriuscirgli dal culo. Me l'ha palesemente dedicato, forse per odio o forse per improvviso, imperscrutabile moto di simpatia. Lo guardo malissimo e bestemmiando, ma decido di non ingaggiare la bagarre, e che tutto sommato non mi sento più di tanto offeso; qualche anno fa sarei finito in questura e lui in ospedale, ma adesso proprio non ho voglia: domattina alle 10 devo andare a prendere mio figlio, per passarci insieme la giornata, e ho bisogno di andare a letto, dormire, svegliarmi, farmi una doccia la barba un caffé e poi essere presentabile e presente al cospetto della carne della mia carne, nonostante questa cosa di poterlo vedere solo il sabato sia un vero palo in culo, giacché mi impedisce di vivere con spensieratezza i miei venerdì sera (ed è come darle a un che caga).
Mentre penso che la mia ormai ex moglie l'ha fatto apposta per rovinarmi ogni piacere, vedo i fari della polizia passare lentamente sulla strada. Repentino, ho un brivido di vero spavento, nonostante non abbia nulla addosso e nonostante siano passati ormai diversi anni dall'epoca in cui avevo ragione di temere una qualunque pattuglia, pure se lontana; chi ha vissuto nell'illegalità credo che mi capirà: la reazione osservata è un riflesso impossibile da evitare, un raggelamento improvviso e incontrollabile che per uno-due secondi fa pensare nuovamente “vai, è fatta, finalmente mi beccano, e mi fanno un culo così”.
La pattuglia non mi guarda nemmeno, di seguito il 2 arriva e ci saliamo tutti dentro; si trascina sferragliando tra vie sempre più periferiche e sempre peggio illuminate, e sul finestrino mille goccioline s'inseguono giocose e moribonde. Mi rilasso e mi addormento, ma non sogno nulla (troppo poco tempo, sarà per un'altra volta): per fortuna il nome della mia fermata, scandito dall'altoparlante, mi parla e mi sveglia, evitandomi la scena – già successa – dell'autista che mi scuote al capolinea, costringendomi a un'altra mezz'ora di cammino a ritroso per rientrare chez moi.
Prenoto la fermata, scendo e sono contento, assonnato e sereno; già prendo in mano le chiavi nella tasca, pregustando il piacere di entrare a casa mia, ma seduta sullo scalino del portone vedo una figura conosciuta; mi avvicino, lasciando la presa delle chiavi, e forzo un sorriso, pensando tuttavia “cosa cazzo vuole questa, qui e ora?”
Vanessa Schifano è una cara amica del bar “Tiglio”, una studentessa fuori corso di Itri (LT) che conosco da forse dieci anni e con cui ho passato tante serate a ubriacarci e dire cazzate fino a svenire; da qualche tempo tuttavia, da quando Marcello l'ha lasciata, è diventata insostenibile e persino antipatica, e forse gli eccessi l'hanno resa paranoica.
- Abbella! Che fai? Hai perso le chiavi di casa?
- No, no, ce le ho qui.
- E che fai allora? Non ti sei accorta che piove?
- Si, certo, non mi sono mica rincoglionita.
- Qual è il problema allora, perché mi aspettavi?
- Ho paura a rientrare a casa da sola, la strada è buia e non mi sento sicura. Mi riaccompagneresti tu?​
Vanessa Schifano abita nella strada parallela alla mia, non più di 2 minuti a piedi. Mi rallegro immensamente: ammetto che mi aspettavo qualche follia delle sue, tipo “portami subito a Napoli altrimenti mi suicido” quindi questa tenera richiesta di protezione mi suona lieta come un bacino di mio figlio.
Mi ero reso conto, ultimamente (e l'ho scritto poco sopra) che Vanessa sta diventando paranoica, anche se in quanto donna ha tutto il diritto di temere per la sua vita, di notte come di giorno. Tuttavia, tra il Tiglio e casa sua ci sono due palazzi, uno dei quali è il mio, e considerando che percorre questa strada almeno due volte al giorno da più di dieci anni, la sua improvvisa paura mi suona comunque sospetta, e non può che alimentare la mia teoria sulle manie di persecuzione che questa ex-giovane sta sviluppando.
- Chi c'era stasera?
- Mah, è passato Lollo con Carnevale, ma erano insopportabili, poi sono venuti Gigi e Vale con il bambino ma si sono fermati poco... Ah, è passato anche Marcello, con quella puttana di Carolina
- Ah
- Eh
- E vabbé dai, non è che te lo fa apposta, d'altra parte lui frequenta il bar da sempre, pure da prima che tu arrivassi
- Si ma se deve uscire con quella mongoloide, almeno che vada da un'altra parte, altrimenti è chiaro che lo fanno apposta per farmi stare male
- Ma no Vanessa, figurati...
- Ma no cosa, che ne sai tu?
- Hai presente quella canzone, “Prendila così”? Io la cito sempre quando c'è una coppia che scoppia... Dovresti ascoltarla, sembra scritta apposta per te
- Dimmi tu come cazzo ha fatto Battisti a scriverla per me. Uno che è morto da quindici anni, e quando la scrisse io manco ero nata
- E' vero, hai ragione...​
Capite quel che dico? La ragazza sta perdendo la testa, e tante ne ho già viste passare, di passere che dopo una delusione amorosa (sommata ad anni di uso smodato di droghe chimiche) diventano isteriche, oppure si deprimono. E' anche una questione statistico-scientifica: le donne si deprimono più degli uomini, i quali invece hanno una maggior tendenza alla schizofrenia. Non è questo il luogo per approfondire il tema, ma credetemi: me l'ha detto una psichiatra.
Arriviamo ovviamente in due secondi sotto casa sua, e io mi appresto a dileguarmi
- Eccoci cara, sani e salvi
- Sto malissimo
- Sani e salvi, e tu sei una rosellina. Adesso ti fai una tisana, ti metti su Gossip Girl e domani sera mi racconti tutta l'undicesima serie di... boh, quel cazzo che vuoi tu, va bene?
- No, senti, sto male per davvero, stasera non lo so come va a finire... Ti prego, sali su solo un momento, finché entro e mi sistemo
- Va bene, certo... Ma non ti devi preoccupare, Vané, va tutto bene, sul serio
- No guarda, non c'è niente che va bene.​
Porco dio raga, porco dio. Penso solo “speriamo bene” e la seguo, lungo le scale del suo squallido palazzo.
Oltre al sentimento che la povera Vanessa sia come le sabbie mobili, si aggiunge al fastidio di entrare in casa sua l'insopportabile e caratteristico festival di odori animali, che accoglie l'ospite sin dal pianerottolo. Vanessa possiede infatti due gatti, un cane e un acquario, che paradossalmente è la cosa che puzza di più, come una pozzanghera di colera in pieno soggiorno.
Prima ancora che la padrona apra la porta, quel cretino del cane sta già abbaiando; insieme, non mi risparmiano il siparietto in cui l'amico a quattro zampe muore di felicità mentre la bipede lo sommerge di carezze e paroline dolci, e io resto sullo zerbino aspettando di entrare, guardando davanti a me, fermo in corridoio, uno dei due gatti, che silenziosamente sembra dire
“siete uno più deficiente dell'altra”.
Sono d'accordo, gatto, sono d'accordo. Io, figurati se ti vorrei disturbare, io mi leverei proprio dal cazzo immediatamente, fosse per me. Non ci crederai, ma ero sotto casa mia, pronto a chiudere la giornata con una sega, un canale satellitare di sport e un sonno meritato, e idillicamente pre-vacanziero; invece, ho subito l'imboscata della tua padrona, che mi ha trascinato fin qui con la sola prospettiva di farle un piacere, senza che questo significhi, che so, un bocchino in cambio: tra me e Vanessa non c'è mai stato niente, nemmeno un bacio o una toccata di billo, tanto perché non mi ha mai attirato particolarmente, quanto perché lei è sempre stata schiava d'amore di Marcello, che giustamente alla fine l'ha lasciata.
In questo momento, Marcello starà probabilmente trivellando “quella mongoloide” (ma anche turbopassera) di Carolina, mentre io mi ritrovo con la sua esaurita ex, cercando di tenere a bada la sua follia incipiente.
Mi offre un bicchiere di whisky (di qualità, se non altro) e mentre io lo scolo in un gotto, lei si installa sul divano pieno di peli, come una comare che ha invitato la vicina per un afterhours di pettegolezzi. Io resto significativamente in piedi, con la giacca sì aperta, ma ancora addosso. Lei capisce, e sfodera i suoi classici occhi da “vittima di guerra”:
- Non te ne andare ancora, aspetta che mi sia calmata un attimo, mettiti a sedere, parliamo, guardiamo un film
- Vané io domattina devo essere sotto casa di Stefania alle 10 per prendere Lucio, devo andare a dormire, davvero
- aspetta cinque minuti cazzo, cinque minuti, che sono?
- Va bene.
Mi tolgo la giacca, la piego sull'avambraccio e mi siedo sul pulciosissimo divano. Conversiamo di qualcosa per circa un quarto d'ora, poi
- Andiamo a dormire ora dai, che abbiamo detto abbastanza cazzate per oggi!
- No ti prego, aspetta, aspetta che sia andata a letto!
- ?
- Aspetta che mi cambio e mi metto a letto, sono due minuti!
- E va bene​
(maledetta pazza).
Aspetto in soggiorno mentre lei si cambia, si lava il viso, i denti eccetera. Spunta al mio cospetto come una bambina che viene a mostrarsi al padre per ottenere approvazione, e devo ammettere che questa cosa, addizionata al suo pigiamino calduccio e le ciabattine di spugna, mi danno un'improbabile, sporchissima voglia di scopare: è forse la prima volta che Vanessa mi fa quest'effetto, e per un calcolo machiavellico decido di dirglielo:
- Mmm Vanessina, ti giuro che a vederti così mi viene voglia di metterti le mani addosso...
- Ah, sporcaccione, non me l'avevi mai detto! Se vuoi ti dò un pigiama di Marcel, chissà se fa quest'effetto anche a me...​
No ecco, non ci siamo capiti. Figuriamoci se ho intenzione di finire a letto con Vanessa Schifano, con il rischio di generare nuova paranoia in lei, e ritrovarmela sotto casa tutti i giorni, davanti a scuola di mio figlio o cose così: le ho parlato di sesso con l'unico, chiaro obiettivo di toglierle dalla faccia quel sorriso infantile, ovvero farle perdere l'intimità amichevole di cui sembra carica nei miei confronti. Tirando figurativamente fuori il cazzo, infatti, speravo di impaurirla, e ricordarle che, alla fin della fiera, gli uomini pensano sempre e solo al sesso, e che quindi un uomo che fa un piacere a una donna, in condizioni di intimità crescente, finisce per pensare che c'è spazio per farsi una scopata, ed è allora dovere della donna, secondo quel che le hanno insegnato in famiglia, far capire all'uomo che non succederà; se tuttavia, come in questo caso, l'uomo fa un'allusione e la donna risponde rilanciando, significa che i due stanno pericolosamente entrando in quel gioco di sfida erotica che spesso e volentieri finisce con un accoppiamento.
Ma stavolta non succederà, non può e non deve succedere: non perché non gradirei praticare un quarto d'ora di sesso con una trentenne senza epatite, ma perché farlo sarebbe un errore gravissimo, che alla mia età non posso più permettermi. Solo chi ha vissuto situazioni simili può capire perché io stia parlando di rischio, e di “errore gravissimo”: sembra solo carne, e invece è tutto.
- Mettiti a letto dai, ti rimbocco le coperte e spengo la luce
- No aspetta, aspetta che mi sia addormentata!
- E va bene.​
Si infila sotto le coperte, io mi installo ai piedi del letto. Conversiamo di nuovo, per qualche minuto, di qualcos'altro che ovviamente non merita di essere riportato. Ma Vanessa non ha sonno, parla e ride a voce alta, e ad ogni minuto che passa leggo nei suoi occhi il mantra “non deve andare via, non deve andare via, non deve andare via”. Non ho letto, tuttavia, che oltre alla preghiera, nella sua testa vi era anche una tattica in costruzione. D'improvviso, infatti, si ferma e propone
- Facciamo così: io non ci posso restare qui da sola. Andiamo da te. Dormo nella cameretta e così tu sei tranquillo, a casa tua, domattina mi svegli quando ti pare e usciamo insieme, tu vai da Lucio e io non lo so, ma almeno non resto qui da sola.​
Ebbrava! Guarda un po' la Schifano! E' un essere umano spezzato, alla deriva in un oceano di depressione, eppure non ha perso la capacità di pensare, anche se per un solo meccanismo di sopravvivenza: l'idea è buona, e porta con sé anche una nota di affettuosa attenzione nei miei confronti. Accetto di invitarla da me, e procediamo all'inversione della scena precedente: Vanessa si cambia e io l'aspetto sul divano. Quando ritorna, vestita come sempre, non reca più su di sé quella stessa carica sensuale, che per un istante era emersa in lei.
Pratichiamo il cammino al contrario e saliamo a casa mia. Non le offro niente, se non un bicchiere d'acqua significativamente deposto sul comodino del suo letto, e mentre lei si sta ancora togliendo la sciarpa, i guanti, il cappello e il giaccone, io sono già sulla porta socchiusa, con la mano sulla maniglia e il sorriso bonario di chi si appresta a dire
- Buonanotte.​
Stavolta l'ho presa in controtempo, e pur vedendo la morte affiorare nei suoi occhi, non riesce a protestare. Prova a dire “buonanotte” mentre io sto già chiudendo, ma quando indugio un istante sulla porta, come in apnea, dall'altra parte sento solo il silenzio. Dev'essere rimasta pietrificata dove l'ho lasciata.
A piccoli passi, entro in camera mia come in un rifugio in piena guerra, sospirando ad occhi chiusi, e assaporando il ritorno alla vita.
Ancora sto lì, beatamente in piedi, e ancora non mi sono tolto niente di dosso, che sento la porta della cameretta aprirsi, come una ferita nel costato di Gesù: resto in ascolto, rendendomi conto che la guerra non è ancora finita. Non sento più nulla e la immagino immobile sulla porta, terrorizzata da sé stessa e dalla sua vita e dal mondo e dalla Storia, finché un suono mi fa quasi morire d'infarto:
- TOC TOC​
Porcodioporco, mannaggia alla Madonna. Porco: Dio!
Apro la porta e me la vedo davanti, a metà strada tra un quadro di Munch e un documento d'identità, il bicchiere d'acqua tenuto davanti al viso con entrambe le mani, alla guisa di una zuppa calda in una notte russa.
- Che succede adesso?
- Ho paura di dormire da sola. Senti, non pensare che voglio scopare, ma posso dormire con te?
- Va bene, però dormiamo sul serio, ok?
- Certo.​
La lascio entrare, e sistemarsi sotto le coperte del mio letto matrimoniale, in cui Stefania non dorme più da quasi due anni, e la guardo con vero affetto, mentre mi tolgo i pantaloni, mi denudo e mi metto il pigiama. Lei mi ha guardato, mentre mi cambiavo, e nessuno dei due ha avuto un attimo di imbarazzo, o di maldestro impulso sessuale. Nel punto spazio-temporale in cui ci troviamo, la maschera dei presupposti sociali è finalmente caduta, e io posso mostrarmi completamente nudo ad una donna, un'amica, che si mostra completamente nuda a me. Protetta dal mio piumone, la guardo e capisco: in quest'istante, io sono tutto quello che quest'essere umano ha dalla sua parte, nella partita con la Morte che prima o poi perderà.
E cosa sono anch'io, se non un altro giocatore, che gioca da così tanto tempo da aver dimenticato sia il risultato, sia le regole, sia di giocare?!

La raggiungo sotto le coperte, continuando a percepire la meravigliosa vicinanza che ci unisce, il fascio finalmente visibile della nostra relazione, che è poi metafora (solo umana) della forza di gravità. Siamo sdraiati tra le lenzuola ancora fredde, lei si avvicina come un gattino, io apro il braccio per accoglierla. Poggia la testa sul mio petto e con le dita le accarezzo i capelli. Alza la testa e mi sorride, e allora io le bacio la fronte. Mi sorride di nuovo con una luce di vero amore negli occhietti socchiusi, e mi porge di nuovo la fronte, che io torno a baciare. Preme la fronte sulle mie labbra, e io, con la mano, spingo la sua nuca contro la mia bocca. Vanessa si incolla al mio corpo e mi abbraccia, affondando il viso nel mio collo e finendo col baciarlo, con una punta di lingua tra le labbra umide.
La luce è già spenta, finiamo l'uno dentro l'altra, le rivoluzioni umane sulla Terra non sono nient'altro che l'eterno ritorno dell'uguale.
 

Ostrègone

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Terzo testo in concorso:

UNA TRANQUILLA GIORNATA DI REGIME

Uscii dal conferimento del premio Poesia2 al Venerabile Gran Maestro di poesia, dove una platea di fantasmi si struggeva per le depistanti poesie bolognesi. Mentre una piccola sacca di eversivi mi distraeva dalle interessantissime opere massoniche

Camminando attirò la mia attenzione il chiasso sollevato in uno dei campi, quelli con le tende blu, quelli per gli sfollati dalle case che a casa non ci vogliono tornare. Sulla recincinzione un cartello recitava :"Vietato dare da mangiare agli sfollati".

Per le strade c'erano dei gentili concittadini che mettevano a disposizione il loro tempo per mantenere l'ordine e la dispilina durante una manifestazione del nostro supremo leader nonstante gli attentati di pericolosi manifestanti eversivi.

Entrai nel seggio per votare, presa la scheda mi diressi nella cabina. Soddisfatto della mia croce su uno degli unici due simboli rimasti per rappresentarci, uscii e consegnai la mia scheda. Il presidente di seggio l'aprì per controllare che non avessi sbagliato e sorridendo la infilava nell'urna.

Subito dopo un altro elettore consegnò la scheda e la faccia del presidente di seggio tradì indignazione, evidentemente aveva sbagliato a votare, ma senza troppo indugiare tirò fuori un accendino e sorridendo disse :"Grazie per aver partecipato alla vita democratica del nostro paese. I miei due collaboratori della guardia nazionale la scorteranno fino all'uscita per garantire ordine, disciplina e sicurezza".
 

Ostrègone

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Quarto testo in concorso:

DUBBI

E tu come funzioni?
Con che baratti la tua insicurezza?
Come reagisci se le delusioni
Sembran l'unica certezza?
Puoi definirti forte,
Inossidabile, melliflua e viva?
Ambisci a predestinata sorte
Di successo in prospettiva?
E se non fosse cronico
Il male che ti rode le budella
Sarei un po' meno comico
nel rammentarti che sei bella?
Ti sei mai rintanata nella fede?
Hai confidato nell'aver fiducia
Di chi per te stravede
E nonostante questo indugia?

Qualcosa t'ha cangiato?
Concordi mai davanti al tuo riflesso?
In un frangente hai mai valutato
di piegarti a un compromesso?
Per te è mai stato facile?
In quale istante di codesto viaggio
ti sei sentita tanto miserabile
ed indegna di un miraggio?
Hai realizzato, triste
Di esser malcelata alle odissee?
E quando poi le hai viste
Cos'hai detto alle chimere?

C'è un bruto a cui t'aggrappiù
Chi ti permette d'avanzare a stento?
Per chi disveli sensualmente i drappi
Che ricoprono il tormento?
Ti basta questa carne?
Non hai timore quando interagisci?
Hai uomini di cui non sai che farne
sol perché non li capisci?
Stai ancora rovistando?
Potrai mai accontentarti anche così?
Tra tutti questi dove, come, quando,
Comprenderai alfine anche il tuo chi?
 

Ostrègone

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È tempo di proclamare il vincitore e di svelare le identità come di consueto.

Il primo testo in concorso, Un pensiero, è scritto da...me medesimo, OSTRÈGONE. Dopo aver organizzato varie volte il concorso, questa è stata la mia prima volta in gara. L'importante è partecipare, no? :look:
Il terzo testo in concorso, Una tranquilla giornata di regime, è scritto da...PAOLO LECCESE. Un altro debuttante assoluto in questo concorso, a cui auguriamo in futuro altre partecipazioni.
Il quarto testo in concorso, Dubbi, è scritto da... OGHARD. Questa volta siamo di fronte a un veterano della competizione che, alla sua quinta partecipazione, ci ha presentato questa poesia.
Il secondo testo in concorso, La terza rivoluzione industriale, nonché vincitore di questo concorso letterario, è scritto da... MERSAULT. Organizzatore e concorrente nelle precedenti occasioni, si aggiudica il primo posto alla sua quarta partecipazione.

Grazie a tutti, partecipanti e votanti!

EASTER EGG:
Paolo Leccese ci aveva inviato un testo che, nella sua forma originaria, aveva vari link ipertestuali. Per mantenere una certa vaghezza e stimolare l'immaginazione dei lettori, avevamo concordato di riportare la prima versione solo a fine concorso. Eccola!

Una tranquilla giornata di regime (DIRECTOR'S CUT)

Uscii dal conferimento del premio Poesia2 al Venerabile Gran Maestro di poesia, dove una platea di fantasmi si struggeva per le depistanti poesie bolognesi. Mentre una piccola sacca di eversivi mi distraeva dalle interessantissime opere massoniche

Camminando attirò la mia attenzione il chiasso sollevato in uno dei campi, quelli con le tende blu, quelli per gli sfollati dalle case che a casa non ci vogliono tornare. Sulla recincinzione un cartello recitava :"Vietato dare da mangiare agli sfollati".

Per le strade c'erano dei gentili concittadini che mettevano a disposizione il loro tempo per mantenere l'ordine e la dispilina durante una manifestazione del nostro supremo leader nonstante gli attentati di pericolosi manifestanti eversivi.

Entrai nel seggio per votare, presa la scheda mi diressi nella cabina. Soddisfatto della mia croce su uno degli unici due simboli rimasti per rappresentarci, uscii e consegnai la mia scheda. Il presidente di seggio l'aprì per controllare che non avessi sbagliato e sorridendo la infilava nell'urna.

Subito dopo un altro elettore consegnò la scheda e la faccia del presidente di seggio tradì indignazione, evidentemente aveva sbagliato a votare, ma senza troppo indugiare tirò fuori un accendino e sorridendo disse :"Grazie per aver partecipato alla vita democratica del nostro paese. I miei due collaboratori della guardia nazionale la scorteranno fino all'uscita per garantire ordine, disciplina e sicurezza".
 
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